«Per l’amor di Dio», risposi con voce roca e distorta. «Come può importarti se mi sono fatto male?»
Si ritrasse da me, spalancando gli occhi, come se la sua vista si espandesse di secondo in secondo, poi si voltò e fu come se si fosse dimenticato che mi trovavo lì. Continuò a guardarsi intorno con la stessa aria incantata. Quindi, piegandosi in due per il dolore, facendo una smorfia, si girò, avviandosi sulla piccola veranda e verso il mare.
Mi alzai a sedere. L’intera stanza scintillava. Gli avevo dato ogni goccia di sangue che avrebbe potuto prendere. La sete mi paralizzava, riuscivo a malapena a sostenermi. Strinsi un braccio intorno al ginocchio e cercai di stare seduto lì, senza ricadere a terra per la debolezza.
Sollevai la mano sinistra per studiarla alla luce: le vene sul dorso erano sollevate, anche se, mentre guardavo, si stavano distendendo.
Potevo sentire il mio cuore battere, famelico. E, per quanto acuta e terribile fosse la mia sete, sapevo che poteva attendere. Perché stessi guarendo da ciò che avevo fatto non lo sapevo, proprio come un mortale ammalato non può conoscere l’esatto percorso della sua guarigione. Eppure qualcosa di oscuro dentro di me stava lavorando, indaffarato e silenzioso, per il mio recupero, come se quell’abile macchina per uccidere, che poi ero io, dovesse essere sanata di ogni debolezza per poter cacciare ancora.
Quando infine mi alzai, ero me stesso. Gli avevo dato molto più sangue di quanto non ne avessi mai dato a coloro che avevo creato. Era finita. Lo avevo fatto bene. Sarebbe stato così forte! Signore Iddio, sarebbe stato più forte degli anziani.
Ma dovevo trovarlo. In quel preciso istante, stava morendo. Dovevo aiutarlo, anche se avesse cercato di cacciarmi via.
Lo trovai immerso nell’acqua fino alla cintola. Stava tremando e soffriva al punto che il dolore gli strappava rantoli sommessi, sebbene lui cercasse di rimanere in silenzio. Aveva il medaglione e la catena d’oro era avvolta intorno alla sua mano serrata.
Lo circondai col braccio per sostenerlo. Gli dissi che non sarebbe durata a lungo, quella condizione. E, una volta passata, sarebbe svanita per sempre.
Lui annuì.
Dopo un po’ sentii che i suoi muscoli si rilassavano. Lo sollecitai a seguirmi tra le onde dell’acqua bassa, dove avremmo potuto camminare con maggiore facilità, quale che fosse la nostra forza. Passeggiammo insieme lungo la spiaggia.
«Avrai bisogno di nutrirti», dissi. «Credi di poterlo fare da solo?»
Scosse la testa.
«Va bene, ti prenderò con me e ti mostrerò tutto ciò che devi sapere. Ma prima la cascata, laggiù. Io la posso udire. Tu riesci a sentirla? Ti potrai lavare.»
Annuì e mi seguì a capo chino. Gli tenevo il braccio ancora serrato intorno alla vita, e il suo corpo si tendeva ogni tanto, per gli ultimi violenti crampi, tipici della morte.
Quando raggiungemmo la cascata, salì senza difficoltà sulle rocce infide, si tolse i pantaloncini e rimase nudo sotto il grande getto scrosciante, facendoselo passare sul volto, sul corpo e sugli occhi spalancati. Ci fu un momento in cui venne scosso da capo a piedi e sputò l’acqua che gli era entrata accidentalmente in bocca.
Rimasi a fissarlo, sentendomi sempre più forte a mano a mano che i secondi passavano. Poi balzai in alto, sopra la cascata, e atterrai sulla scogliera. Lo potevo vedere laggiù, una minuscola figura, in piedi, coperta dal getto, che mi guardava.
«Puoi raggiungermi?» mormorai.
Annuì. Era davvero un’ottima cosa che mi avesse udito. Si rizzò e fece un grande balzo, saltando fuori dell’acqua e atterrando sul fianco inclinato della scogliera solo alcuni metri più in basso rispetto a me, con le mani che afferravano con facilità le scivolose rocce bagnate. Vi si arrampicò senza guardare in basso neppure una volta, finché non si trovò al mio fianco.
In tutta franchezza ero sbalordito dalla sua forza. Ma non si trattava solo di quello. Era anche la sua assoluta mancanza di timore a stupirmi. E lui stesso sembrava essersi dimenticato della paura. Stava guardando di nuovo lontano, verso le nuvole che correvano e il vago luccichio del ciclo. Stava contemplando le stelle, e poi l’interno, la vegetazione che scendeva lungo la scogliera.
«Riesci a sentire la sete?» chiesi. Lui annuì, guardandomi solo di sfuggita, e poi rivolgendo gli occhi verso il mare.
«Va bene, ora torniamo ai tuoi vecchi alloggi. Ti vestirai adeguatamente per andare in cerca di prede nel mondo mortale. Poi andremo in città.»
«Così lontano?» chiese. Indicò l’orizzonte. «C’è una piccola imbarcazione da quella parte.»
La individuai, e la vidi attraverso lo sguardo dell’uomo a bordo. Una creatura crudele e disgustosa. Era impegnato in una missione di contrabbando. E lui era risentito perché i compagni ubriachi lo avevano lasciato da solo a compierla. «D’accordo», dissi. «Andremo insieme.» «No», replicò lui. «Credo che dovrei andare… da solo.» Si voltò senza attendere la mia risposta e discese con rapidità e grazia sulla spiaggia. S’inoltrò come un lampo di luce attraverso l’acqua bassa, si tuffò tra le onde e cominciò a nuotare con bracciate rapide e potenti.
Camminando, scesi verso il bordo della scogliera, trovai un piccolo sentiero accidentato, e lo seguii finché non raggiunsi la stanza. Fissai la devastazione: lo specchio rotto, il tavolo rovesciato e il computer lì accanto, il libro caduto sul pavimento, la sedia ribaltata sulla piccola veranda. Mi girai e uscii.
Salii fino ai giardini. Era sorta la luna, molto in alto, e io camminai lungo il sentiero di ghiaia fino all’estremità del punto più elevato, rimanendo là a guardare, in basso, il sottile nastro di spiaggia bianca e il dolce mare silenzioso.
Alla fine mi sedetti contro il tronco di un grande albero scuro i cui rami si aprivano sopra di me a formare un etereo baldacchino, e feci riposare il braccio sul ginocchio, appoggiandovi poi la testa. Trascorse un’ora.
Lo udii arrivare, camminando sul sentiero di ghiaia veloce e leggero, con un passo che nessun mortale ha mai avuto. Quando alzai lo sguardo, capii che aveva fatto il bagno e si era vestito, e che persino i suoi capelli erano pettinati. L’aroma del sangue che aveva bevuto aleggiava: forse era quello sulle sue labbra. Non era una creatura debole, di carne, come Louis. Oh, no, era assai più forte. E il processo non era ancora terminato. I dolori della morte erano cessati, ma lui si stava indurendo anche mentre lo guardavo, e la tenera lucentezza dorata della sua pelle era incantevole a vedersi.
«Perché lo hai fatto?» domandò. Il suo volto sembrava una maschera. E poi si accese d’ira quando riprese a parlare. «Perché lo hai fatto?»
«Non lo so.»
«Oh, non prendermi in giro. E non piangere! Perché l’hai fatto?»
«Ti sto dicendo la verità: non lo so. Potrei darti una lunga serie di motivi, ma la verità è che non lo so. L’ho fatto perché volevo farlo. Volevo vedere cosa sarebbe successo se lo avessi fatto, volevo… e non potevo non farlo. L’ho capito al mio ritorno a New Orleans. Io… ho aspettato e aspettato, ma non potevo non farlo. E ora è fatto.»
«Miserabile, bastardo bugiardo. L’hai fatto per crudeltà e bassezza! L’hai fatto perché il tuo piccolo esperimento col Ladro di Corpi è andato male! E perché, da quell’esperimento, io sono stato miracolato, ho avuto la giovinezza, una rinascita! Ti faceva infuriare che una cosa simile potesse accadere, che io potessi guadagnarci mentre tu avevi tanto sofferto!»
«Forse è vero!»
«È vero. Ammettilo. Ammetti la tua meschinità. Ammetti la tua bassezza, il fatto che non potevi soffrire che io scivolassi nel futuro con questo corpo che tu non avevi il coraggio di sopportare!»
«Forse è così.»
Mi si avvicinò e, afferrandomi con una presa salda il braccio, cercò di trascinarmi in piedi. Non accadde nulla, ovvio. Non riuscì a muovermi di un centimetro.