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«Non sei ancora abbastanza forte per questi giochi», dissi. «Se non la smetti, ti colpirò, facendoti finire a terra. Non ti piacerebbe. Hai troppa dignità perché una cosa del genere ti piaccia. Perciò piantala con le scazzottate mortali da quattro soldi.»

Mi voltò le spalle, incrociando le braccia sul petto e chinando il capo. Riuscivo a sentire i vaghi suoni di disperazione che provenivano da lui, e quasi riuscivo a percepire la sua angoscia. Si allontanò, e io seppellii di nuovo il volto nel braccio.

Ma poi lo udii tornare.

«Perché? Voglio qualcosa da te. Voglio un’ammissione di qualche genere.»

«No.»

Allungò una mano e mi prese per i capelli, intrecciandovi le dita. Quindi mi tirò di scatto la testa verso l’alto, mentre il dolore si diffondeva per il cuoio capelluto.

«Stai davvero raggiungendo il limite, David», ringhiai, liberandomi. «Ancora uno scherzo come questo e ti butto giù dalla scogliera.»

Tuttavia quando vidi il suo volto, quando vidi la sofferenza che c’era in lui, tacqui.

S’inginocchiò davanti a me, così che eravamo quasi alla stessa altezza.

«Perché, Lestat?» chiese. La sua voce suonava triste e distorta, e mi spezzò il cuore.

Travolto dalla vergogna e dalla disperazione, premetti gli occhi chiusi contro il braccio destro, e alzai il sinistro a coprirmi la testa. E nulla, né le sue preghiere, le maledizioni, le imprecazioni contro di me, né, alla fine, la sua silenziosa partenza, riuscì a farmi alzare di nuovo lo sguardo.

Andai a cercarlo molto prima che sorgesse il mattino. La piccola stanza sembrava di nuovo in ordine e la valigia era appoggiata sul letto. Il computer era stato richiuso e la copia del Faust giaceva nella sua custodia di plastica.

Ma lui non c’era. Lo cercai in tutto l’albergo, ma non riuscii a trovarlo. Cercai nei giardini, e poi nei boschi, ma senza fortuna.

Infine trovai una piccola caverna, in alto, sulla montagna, vi scavai una buca profonda e dormii.

A che scopo descrivere la mia disperazione? Descrivere il dolore sordo e oscuro che provavo? A che scopo dire che compresi di aver colmato la misura della mia ingiustizia, del mio disonore e della mia crudeltà? Conoscevo l’entità di quello che gli avevo fatto.

Conoscevo me stesso e tutta la mia malvagità nel modo più completo e non mi aspettavo nulla in cambio dal mondo, eccetto quella stessa malvagità.

Mi svegliai non appena il sole calò nel mare. Osservai il crepuscolo su un alto dirupo e poi scesi nelle strade della città per cacciare. Non ci volle molto prima che il solito ladro cercasse di mettermi le mani addosso per derubarmi: io lo trasportai in un vicoletto, prosciugandolo poi, lentamente e con molto gusto, a pochi passi dai turisti che passeggiavano. Nascosi il suo corpo in fondo al vicolo e me ne andai per la mia strada.

E qual era la mia strada?

Tornai all’albergo. Le sue cose erano ancora lì, ma lui non c’era. Ancora una volta lo cercai, lottando contro l’orribile timore che l’avesse fatta finita, per poi rendermi conto che era troppo forte perché quella risultasse una cosa facile. Persino se si fosse esposto alla furia del sole, cosa di cui dubitavo alquanto, non ne sarebbe stato distrutto.

Tuttavia ero tormentato da ogni immaginabile paura: forse era stato bruciato e reso così invalido da non farcela da solo. Era stato scoperto dai mortali. O forse gli altri erano arrivati e lo avevano portato via. Oppure sarebbe ricomparso per maledirmi ancora. Avevo paura anche di quello.

Alla fine feci ritorno a Bridgetown, incapace di lasciare l’isola finché non avessi saputo che cosa ne era stato di lui.

Un’ora prima dell’alba ero ancora lì.

La notte dopo non lo trovai. Né lo trovai durante la successiva.

Ferito nella mente e nell’anima, e dicendo a me stesso che non meritavo altro se non l’infelicità, andai a casa.

Il tepore della primavera era infine giunto a New Orleans e io la trovai brulicante dei soliti turisti, sotto un limpido e violaceo ciclo serale. Andai dapprima alla mia vecchia casa per prelevare Mojo dall’anziana signora che si era presa cura di lui e che non si dimostrò per niente felice di lasciarmelo, sebbene, evidentemente, al cane fossi mancato molto.

Poi, insieme, procedemmo verso rue Royale.

Capii che l’appartamento non era vuoto ancor prima di arrivare in cima alle scale sul retro. Mi fermai per un momento, guardando verso il cortile ristrutturato, col lastricato ripulito e con la piccola fontana romantica, completa di putti e di grandi conchiglie, simili a cornucopie, che riversavano un fiotto di acqua chiara nella vasca sottostante.

Un’aiuola di fiori scuri era stata piantata contro il vecchio muro di mattoni e un gruppetto di banani cresceva già nell’angolo, con le lunghe e graziose foglie a lama di coltello che annuivano nella brezza.

Quello spettacolo allietò oltre ogni dire il mio piccolo cuore egoista e depravato.

Entrai. I lavori nel salotto sul retro si erano conclusi: la stanza era stata arredata con le eleganti poltrone di antiquariato che avevo scelto all’uopo, e con lo spesso e pallido tappeto persiano color rosso spento.

Guardai lungo il corridoio in entrambe le direzioni, oltre la carta da parati a strisce oro e bianche, sopra i metri di tappeto scuro, e vidi Louis sulla porta davanti del salotto.

«Non chiedermi dove sono stato o cos’ho fatto», dissi. Camminai verso di lui, lo spinsi di lato ed entrai nella stanza. Ah, sorpassò tutte le mie aspettative: c’era una copia perfetta del suo scrittoio in mezzo alle finestre, il divano di damasco argentato, il tavolo ovale con intarsi in mogano e la spinetta contro la parete più lontana.

«So dove sei stato», ribatté. «E so che cos’hai fatto.»

«Oh? E adesso cosa viene? Qualche sciocco sermone senza fine? Su, avanti, parla. Così posso andare a dormire.»

Mi girai per affrontarlo, per vedere che effetto avesse prodotto su di lui quella dura replica. E fu così che, al suo fianco, vidi David, vestito con un abito di velluto nero di splendida fattura, con le braccia incrociate sul petto e appoggiato alla cornice della porta.

Entrambi mi stavano guardando coi pallidi volti privi di espressione. La figura di David era più scura e più alta, eppure i due apparivano simili in modo sorprendente. Soltanto gradualmente mi resi conto che Louis si era vestito per l’occasione e, una volta tanto, con abiti che non sembravano provenire dal baule di una soffitta.

Fu David a parlare per primo.

«Il carnevale di Rio inizia domani», disse, con voce ancora più seducente di quella che aveva da mortale. «Ho pensato che potremmo andarci.»

Lo fissai con sospetto. Sembrava che il suo volto fosse illuminato da una luce oscura. Dai suoi occhi traspariva un duro splendore. Ma la bocca era così gentile, senza neppure un cenno di malignità o di amarezza. Nessuna minaccia emanava da lui.

Poi Louis si riscosse dal suo fantasticare e se ne andò lungo il corridoio, verso la sua camera di un tempo. Come conoscevo bene quel ritmo di passi, di tavole che scricchiolavano debolmente! Mi sentivo molto confuso e quasi senza parole. Mi sedetti sul divano, e feci segno a Mojo di avvicinarsi. Lui si accomodò proprio di fronte a me, appoggiando il suo notevole peso contro le mie gambe.

«È davvero questo che intendi? Vuoi che ci andiamo insieme?» chiesi.

«Sì», rispose. «E poi, le foreste pluviali. Che ne diresti di andarci? Là, nel profondo di quelle foreste…» Sciolse le braccia e, a capo chino, cominciò a misurare la stanza a grandi passi lenti. «Mi hai detto qualcosa, non ricordo quando… forse è stata un’immagine che ho colto da te prima che tutto accadesse, qualcosa a proposito di un tempio nella giungla di cui i mortali non sono a conoscenza. Ah, pensa a quante scoperte del genere devono esserci…»