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Com’era genuino quello slancio, com’era sonora la sua voce.

«Perché mi hai perdonato?» chiesi.

Smise di camminare, e mi guardò. Io venni distratto dall’evidenza del sangue che era in lui, nonché dal cambiamento avvenuto nella pelle, nei capelli e negli occhi. Per un momento non fui in grado di pensare. Alzai una mano, pregandolo di tacere. Perché non mi abituerò mai a quella magia? Lasciai ricadere la mano, permettendogli di proseguire, anzi invitandolo a farlo.

«Sapevi che lo avrei fatto», disse, assumendo il suo tipico tono misurato e controllato. «Quando hai agito, sapevi che avrei continuato ad amarti. Che avrei avuto bisogno di te. Che ti avrei cercato e mi sarei aggrappato a te, soltanto a te, fra tutti gli esseri del mondo.»

«Oh, no, giuro che non lo sapevo», sussurrai.

«Me ne sono andato via per un po’ per punirti. Esauriresti la pazienza di chiunque, davvero. Sei la più dannata di tutte le creature, come sei stato chiamato da individui più saggi di me. Ma sapevi che sarei tornato. Sapevi che sarei stato qui.»

«No, non me lo sono mai neanche sognato.»

«Non ricominciare a piangere.»

«Mi piace piangere. Devo. Altrimenti perché lo farei tanto?»

«Be’, smettila!»

«Oh, sarà divertente, vero? Pensi di essere il capo di questa piccola congrega, eh? E ti appresti a tiranneggiarmi.»

«Come sarebbe?»

«Non sei mai stato il più anziano di noi due, e ora non ne hai più nemmeno l’aspetto. Ti fai ingannare dal mio bel viso irresistibile nel modo più semplice e sciocco. Sono io il capo. Questa è casa mia. Sarò io a dire se andremo a Rio.»

Cominciò a ridere. Dapprima piano, poi in maniera più libera e profonda. Se in lui c’era un qualche segno di minaccia, era soltanto nelle improvvise modifiche nell’espressione, nell’oscuro riflesso dei suoi occhi. Ma non ero affatto certo che ci fosse davvero una minaccia.

«Tu sei il capo?» chiese, sprezzante. L’antica autorità. «Sì, lo sono. Così sei scappato via… Volevi dimostrarmi che potevi farcela senza di me. Che riuscivi a cacciare da solo. Che eri in grado di trovare un nascondiglio durante il giorno. Che non avevi bisogno di me. Eppure eccoti qui!» «Vieni a Rio con noi oppure no?» «Vieni con noi ! Hai detto ‘noi’ ?» «L’ho detto.»

Raggiunse la poltrona più vicina all’estremità del divano e si sedette. Mi resi conto che lui possedeva già il pieno controllo dei suoi nuovi poteri. E io, naturalmente, non riuscivo a valutare quanto fosse forte soltanto guardandolo. Il tono scuro della sua pelle nascondeva troppo. Accavallò le gambe e si sistemò in una posizione comoda, pur mantenendo intatta la sua abituale dignità. Forse quella dignità era in relazione al modo in cui la sua schiena aderiva allo schienale, o alla posa elegante con cui la sua mano stava appoggiata sulla caviglia, mentre l’altro braccio si sistemava sul bracciolo della poltrona… Comunque solo i folti e ondulati capelli castani erano un po’ in contrasto con quell’atteggiamento composto: gli ricadevano sulla fronte in modo tale da indurlo a scuotere il capo.

D’un tratto, però, la sua compostezza si dissolse. Sul suo volto comparvero i segni di un profondo stato di confusione, e poi di puro dolore.

Non potevo sopportarlo. Ma mi sforzai di rimanere in silenzio.

«Ho tentato di odiarti», confessò, con gli occhi spalancati e con la voce che si smorzava in un sussurro. «Non ho potuto farlo. Tutto qui.» E per un momento trasparì in lui la minaccia, la grande collera soprannaturale. Il volto diventò una maschera di sofferenza, poi assunse un’aria triste.

«Perché no?»

«Non giocare con me.»

«Io non ho mai giocato con te! Io intendo davvero ciò che dico. Come puoi non odiarmi?»

«Farei lo stesso tuo errore se ti odiassi», rispose, inarcando le sopracciglia. «Non capisci che cos’hai fatto? Tu mi hai dato il dono, ma mi hai risparmiato la capitolazione. Mi hai trascinato con tutta la tua abilità e la tua forza, ma non hai preteso da me la sconfitta morale. Tu mi hai estorto la decisione, e mi hai dato quello che non potevo fare a meno di volere.»

Ero senza parole. Era tutto vero, eppure era la più infame menzogna che avessi mai sentito. «Dunque la violenza e l’omicidio rappresenterebbero la nostra strada verso la gloria! Non la bevo. Sono cose ripugnanti. Noi siamo tutti dannati e ora lo sei anche tu. Ed è questo ciò che ti ho fatto.»

L’unica sua reazione a quelle parole fu un leggero ritrarsi. Poi fissò di nuovo i suoi occhi su di me. «Ti ci sono voluti duecento anni per imparare quello che volevi», disse. «Quando mi sono ridestato dallo stordimento, ti ho visto là a terra. Sembravi un guscio vuoto. Sapevo che ti eri spinto troppo lontano. Ho temuto molto per te. E ti stavo guardando con questi nuovi occhi.»

«Sì.»

«Lo sai che cosa mi è passato per la mente? Ho pensato che tu avessi trovato un modo per morire. Mi avevi dato ogni goccia del tuo sangue. E allora, in quel momento, tu stavi morendo proprio davanti ai miei occhi. Sapevo che ti amavo. Sapevo che ti avrei perdonato. E a ogni respiro che traevo e a ogni nuovo colore o forma che vedevo davanti a me, sapevo di volere ciò che tu mi avevi dato, la nuova visione e la vita che nessuno di noi può davvero descrivere! Oh, non riuscivo ad ammetterlo. Dovevo maledirti, lottare con te per un poco. Ma alla fine non è stato altro che questo: una breve lotta.»

«Tu sei molto più forte di me», mormorai.

«Be’, è naturale, che ti aspettavi?»

Sorrisi. Mi sistemai meglio sul divano. «Ah, questa è la Magia Tenebrosa», bisbigliai. «Come hanno avuto ragione gli anziani, a darle quel nome. Mi chiedo se la magia abbia agito su di me. L’essere che se ne sta seduto qui con me è un vampiro, un bevitore di sangue di enorme potere, mio figlio… Che significano ora per lui le vecchie emozioni?»

Lo guardai, e ancora una volta sentii sopraggiungere le lacrime. Non mi abbandonavano mai.

Lui aveva un’aria accigliata e le sue labbra erano dischiuse. Sembrava che gli avessi inferto un colpo terribile. Ma non ribatté. Appariva confuso, e poi scosse il capo come se non potesse replicare.

Compresi che quel suo atteggiamento non era dettato dalla vulnerabilità, bensì dalla compassione e da un’evidente ansia nei miei confronti.

Abbandonò la poltrona, cadendo in ginocchio davanti a me. Mi appoggiò le mani sulle spalle, ignorando il fedele Mojo che lo fissava con occhi indifferenti. Era consapevole del fatto che quello era il modo in cui io avevo affrontato Claudia nei miei sogni febbricitanti?

«Tu sei lo stesso», disse. Scosse il capo. «Proprio lo stesso.»

«Lo stesso come?»

«Oh, ogni volta che sei venuto da me, mi hai toccato il cuore. Hai suscitato in me un profondo istinto di protezione. Mi facevi provare amore. E adesso è la stessa cosa. Solo che sembri molto più smarrito e bisognoso di me. Io ti devo condurre avanti, lo vedo chiaramente. Io sono il tuo legame col futuro. È attraverso di me che tu vedrai gli anni a venire.»

«Anche tu sei lo stesso. Un puro ingenuo. Un maledetto sciocco.» Tentai di scostare la sua mano dalla mia spalla, ma non vi riuscii. «Tu sei in cerca di grossi guai. Aspetta e vedrai.»

«Oh, com’è eccitante. Ora, vieni, dobbiamo andare a Rio. Non dobbiamo perdere nulla del carnevale. Lo so che potremo tornarci ancora… e ancora… e ancora… Ma vieni.»

Io rimasi seduto con aria calmissima, guardandolo a lungo. Alla fine, sul suo viso, comparve di nuovo un’aria ansiosa. La pressione delle sue dita sulle mie spalle era davvero forte. Sì, con lui avevo operato bene in ogni passaggio.

«Che cosa c’è?» mormorò. «Sei addolorato per me?» «Forse, un poco. Come hai detto, non sono bravo come te nel sapere quello che voglio. Tuttavia, probabilmente, sto cercando di fissare questo momento nella mia mente. Voglio ricordarlo per sempre. Voglio ricordare il modo in cui sei ora, qui con me… prima che le cose comincino ad andare storte.»