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Penso mai a David senza pensare alla morte?

«David, dove sei?»

Mmm… Sento odore di sangue inglese…

«Voglio che tu mi chieda il Dono Tenebroso», gli avevo detto la prima volta che ci siamo incontrati. «Io potrei anche non dartelo, ma voglio che tu me lo chieda.»

Non l’ha mai fatto. Non lo ha mai voluto. E io lo amavo. Lo vidi poco tempo dopo averlo sognato. Dovevo vederlo. Ma non potevo dimenticare quella visione e forse mi capitò di averla più di una volta, durante il sonno profondo, in quelle ore diurne in cui divento inerme e freddo come il marmo sotto una fitta coltre di tenebre.

Bene, ora sapete dei sogni.

Ma immaginate ancora una volta la neve d’inverno in Francia, tra le mura del castello, e un giovane mortale addormentato nel suo letto di fieno, alla luce del fuoco, coi cani da caccia lì accanto. Quella era diventata l’immagine della mia vita umana perduta, più vera di ogni ricordo dei teatri lungo il boulevard du Temple di Parigi, dove prima della Rivoluzione ero stato davvero felice come giovane attore.

Ora siamo davvero pronti per iniziare. Voltiamo pagina, che ne dite?

I

LA STORIA DEL LADRO DI CORPI

1

Questa è Miami, la città dei vampiri. E questa è South Beach, al tramonto, avviluppata nel sensuale tepore di un inverno che tale non è. Bagnata dalle luci della sera, una brezza tersa soffia placidamente dal mare, sfiora il margine scuro della spiaggia color crema e arriva a rinfrescare i marciapiedi levigati, pullulanti di bambini mortali pieni di allegria.

Tra il rombo del traffico e il vocio della folla, com’era delizioso osservare la parata dei giovani uomini che, con una volgarità cosi esibita da risultare quasi commovente, ostentavano i muscoli palestrati, e delle giovani donne così orgogliose della loro eterea silhouette pressoché asessuata.

Antiche locande rivestite di stucchi, un tempo modesti rifugi per le persone anziane, parevano rinate grazie a nuovi intonaci in eleganti tinte pastello e sfoggiavano la loro nuova identità con elaborate insegne al neon. Sulle verande dei ristoranti, tremolanti candele guizzavano sulle tovaglie bianche. Grandi e luccicanti auto americane avanzavano lungo il viale, consentendo a guidatori e passeggeri di osservare l’abbagliante parata umana, mentre indolenti pedoni intasavano qua e là la strada principale.

Lontano, all’orizzonte, le immense nuvole bianche parevano montagne sotto un cielo infinito, punteggiato di stelle. Eh, si, non mancava mai di lasciarmi senza fiato, quel cielo meridionale di un azzurro smagliante, con quel suo moto sonnolento e inesorabile.

Verso nord, spiccavano in tutto il loro splendore le torri della nuova Miami Beach, mentre, a sud e a ovest, si alzavano gli splendenti grattacieli d’acciaio del centro città, in mezzo alle rombanti sopraelevate e alle banchine affollate di navi da crociera. Piccoli battelli da diporto sfrecciavano sulle acque spumeggianti di una miriade di canali urbani.

Nei tranquilli e intatti giardini di Coral Gables, innumerevoli lampioni illuminavano la splendida distesa di ville dai tetti rossi, mentre le piscine risplendevano di una luce turchese. Nelle ampie stanze oscurate del Biltmore si aggiravano i fantasmi. Gli imponenti alberi di mangrovia protendevano i loro robusti rami fino a coprire le ampie e curatissime strade.

A Coconut Grove, una clientela internazionale animava gli alberghi di lusso e i centri commerciali alla moda. Sugli alti balconi dei palazzi di vetro si stagliavano le sagome di coppie abbracciate, intente a godersi la vista sulle acque serene della baia. Sulle strade trafficate, le auto sfrecciavano accanto ai deliziosi alberi tropicali, alle palme eternamente ondeggianti e agli elaborati cancelli in ferro dietro i quali si trovavano squadrate residenze in cemento, rivestite da buganvillee violacee.

Ecco: questa è Miami, la città dell’acqua, della velocità, dei fiori tropicali, dei cieli sconfinati. Ed è soprattutto per venire qui, a Miami, fra tutti i luoghi possibili, che di tanto in tanto lascio la mia casa di New Orleans. Uomini e donne di varie nazionalità e di razze diverse vivono negli affollatissimi dintorni della città. Qui si sente parlare lo yiddish, l’ebraico, lo spagnolo in tutte le sue forme, la lingua di Haiti; qui si sentono i dialetti e gli accenti dell’America Latina, del profondo sud di questo Stato e del lontano nord. Sotto la superficie patinata di Miami si nascondono pericoli, disperazione e una palpitante cupidigia. Miami ha lo stesso battito profondo e costante di una grande capitale; un’energia che pulsa dal basso, una situazione di rischio costante.

Non fa mai completamente buio a Miami; questa città non è mai completamente tranquilla. È la città perfetta per un vampiro e non manca mai di regalarmi un assassino mortale: qualche perverso, malvagio boccone disposto a cedermi una dozzina dei suoi delitti allorché io berrò, insieme col suo sangue, anche il suo cumulo di memorie.

Ma quella era una notte di Caccia Grossa, una sorta di Pasqua fuori stagione dopo una Quaresima di digiuno: la preda era uno di quegli splendidi trofei umani il cui terribile modus operandi occupa intere pagine negli archivi degli enti che sovrintendono all’applicazione delle leggi mortali, un essere che, nel suo anonimato, aveva ricevuto un’«unzione» da parte della stampa adorante, che gli aveva conferito il fascinoso soprannome di «Strangolatore dei Vicoli».

Vado pazzo per quel genere di assassini!

Che fortuna per me che una tale celebrità fosse spuntata fuori nella mia città preferita. Che fortuna che avesse colpito per sei volte proprio lì, nelle strade di Miami, assassinando alcuni tra i numerosi vecchi e infermi che hanno scelto di trascorrere il resto dei propri giorni in quella zona dal clima così favorevole. Avrei attraversato un continente, pur di non lasciarmelo scappare. E invece lui era lì, e mi aspettava.

Quanto alla sua fosca storia, analizzata nei dettagli da almeno venti criminologi e da me trafugata grazie al computer che si trova nel mio rifugio di New Orleans, sappiate che l’ho arricchita in segreto di alcuni elementi cruciali, come il nome dell’uomo e l’indirizzo della sua abitazione mortale. Un semplice stratagemma, per un dio tenebroso che può leggere nelle menti: l’ho trovato grazie ai suoi sogni intrisi di sangue. E, quella notte, avrei avuto il piacere di mettere fine alla sua illustre carriera con un abbraccio crudele e tenebroso, senza provare neppure un barlume di scrupolo.

Ah, Miami, saresti stata un teatro perfetto per quella piccola Sacra Rappresentazione!

Io torno sempre a Miami, come torno a New Orleans. E sono l’unico immortale che va a caccia in questo glorioso angolo del Giardino Selvaggio, poiché, come forse sapete, gli altri hanno abbandonato questo nostro rifugio molto tempo fa, incapaci di sopportare la reciproca compagnia, ancor più di quanto non la sopportassi io.

E così è molto meglio: ho Miami tutta per me. Me ne stavo alla finestra di una delle camere che avevo conservato nel piccolo ed elegante Park Centrai Hotel di Ocean Drive e, ogni tanto, lasciavo che il mio udito soprannaturale cogliesse ciò che avveniva nelle stanze attigue. In quel luogo, i turisti facoltosi si godevano quanto di meglio si potesse chiedere in termini di solitudine: una totale privacy a pochi passi dal baccano della strada, quella strada che consideravo i miei Champs-Elysées, la mia via Veneto.

Il mio strangolatore si stava accingendo a lasciare il regno delle sue spasmodiche e frammentarie fantasie per affrontare la morte in una dimensione più prosaica. Per l’uomo dei miei sogni era arrivato il momento di vestirsi.

Pescando dal solito mucchio di scatole appena aperte, valigie e bauli, scelsi un abito di velluto grigio, da sempre uno dei miei tessuti favoriti, soprattutto quando il tessuto è spesso, con un tocco di lucentezza. Non era molto adatto a quelle notti calde, lo devo ammettere, ma considerate che io non percepisco le sensazioni di caldo e freddo come gli umani. La giacca era attillata, con piccoli revers, molto leggera e di linea avvitata, piuttosto simile all’elegante finanziera dei bei tempi andati. A noi immortali piacciono gli abiti un po’ démodé, perché ci ricordano il secolo in cui siamo nati nelle tenebre. A volte si può indovinare la vera età di un immortale dal taglio dei suoi abiti.