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Per me, inoltre, è anche una questione di tessuto. Nel XVIII secolo era tutto così sgargiante! Non posso sopportare di non avere neppure un dettaglio luccicante. E quella bella giacca, abbinata ai calzoni attillati di velluto in tinta unita, mi calzava a pennello.

La camicia di seta bianca poi era così morbida che si poteva appallottolare nel palmo della mano. Perché mai dovrei indossare altro a contatto della mia pelle indistruttibile, eppure così curiosamente sensibile? Quindi gli stivali, del tutto simili alle raffinate scarpe acquistate di recente: con suole immacolate, dal momento che assai di rado toccano la terra.

Lasciai i capelli liberi di ricadere sulle spalle, formando la solita folta chioma di onde dorate. Che aspetto ho per i mortali? Onestamente non lo so. Come sempre, nascosi i miei occhi azzurri dietro un paio di occhiali scuri, per evitare che il loro fulgore colpisse a caso, il che sarebbe stata un’autentica seccatura. Per le mie delicate mani bianche, dalle unghie rivelatrici, trasparenti come vetro, scelsi il solito paio di guanti di morbido cuoio grigio.

Per finire, un tocco di lozione oleosa per scurire la pelle, da stendere sugli zigomi e sulle parti del collo e del petto che rimanevano scoperte.

Esaminai il risultato finale allo specchio: irresistibile, come sempre. Non a caso, nel corso della mia breve carriera di cantante rock, ero stato un autentico schianto. E come vampiro ho sempre avuto uno strepitoso successo. Grazie al cielo, nelle mie peregrinazioni aeree non ero divenuto invisibile. Un vagabondo che fluttua al di sopra delle nuvole, leggero come cenere nel vento… Soltanto a pensarci, mi veniva voglia di piangere.

La Caccia Grossa mi riportava sempre alla realtà. Inseguire la preda, aspettarla, catturarla proprio quando sta per uccidere la sua prossima vittima, e infine prenderla lentamente, con dolore, banchettando sulla sua depravazione, mentre do un’occhiata alle sue precedenti vittime attraverso la lente sporca della sua anima…

Per favore, cercate di capire, non c’è nessuna nobiltà in tutto ciò. Non credo che liberare un povero mortale da un tale demonio possa salvare la mia anima. Ho dato la morte troppo spesso… A meno che non si creda che un’unica buona azione abbia un potere infinito. Io non so se ci credo, tuttavia sono convinto che il male di un delitto sia infinito, e che la mia colpa sia come la mia bellezza, vale a dire eterna. Non posso essere perdonato, perché non esiste nessuno che mi possa perdonare per quello che ho fatto.

Ciò nondimeno, mi piace salvare quegli innocenti dal loro destino. Come mi piace prendere gli assassini perché sono miei fratelli, ci apparteniamo. Perché non dovrebbero morire tra le mie braccia invece che per mano di qualche povero mortale misericordioso che non ha mai fatto volontariamente del male a nessuno?

Queste sono le regole del mio gioco. E io gioco in base a queste regole, perché sono stato io a crearle. Mi ero anche più volte ripromesso di non lasciare in giro i corpi: volevo sforzarmi di fare ciò che gli altri mi hanno sempre ordinato. Eppure mi piaceva lasciare i cadaveri alle autorità: in seguito, dopo essere tornato a New Orleans, mi dilettavo a leggere sul computer l’intero referto post-mortem.

Fui distratto dal rumore di una macchina della polizia che stava passando sotto le mie finestre. Gli uomini a bordo stavano parlando del mio assassino, dicevano che ben presto avrebbe colpito ancora, che le condizioni astrali erano perfette, che molto probabilmente sarebbe successo nelle stradine laterali di South Beach, come già era accaduto in precedenza. Ma chi era? Come poteva essere fermato?

Erano le sette. Me lo dicevano le piccole cifre verdi dell’orologio digitale, ma io già lo sapevo. Chiusi gli occhi, lasciando ricadere la testa di lato, e cercai di raccogliere le forze, a causa degli effetti travolgenti di quel potere che tanto temevo. Sulle prime, avvertii di nuovo un’amplificazione dell’udito, come se avessi azionato un tasto di chissà quale moderna macchina. Il vago ronzio del mondo divenne un coro infernale, pieno di lamenti, risate sferzanti, menzogne, angosce e giustificazioni. Mi tappai le orecchie, come a volerlo fermare, e dopo un po’ riuscii a zittirlo.

A poco a poco vidi le immagini sfocate e sovrapposte dei loro pensieri alzarsi nel firmamento come un milione di uccelli svolazzanti. «Datemi il mio assassino, fatemelo vedere!»

Lui era lì, in una stanza piccola e tetra, molto diversa da quella in cui mi trovavo io, sebbene fosse distante soltanto due isolati. Si stava alzando dal letto. I suoi abiti dozzinali erano tutti gualciti e il viso volgare appariva coperto di sudore. Alzò una mano grossa e nervosa verso il taschino della camicia, per prendere le sigarette, poi sembrò dimenticarsene. Era un uomo massiccio, dai lineamenti sgraziati e con uno sguardo in cui si leggeva una vaga inquietudine, o forse un oscuro rammarico.

Non gli passò per la mente di vestirsi per la sera, per la festa cui era atteso con ansia. Ormai era sveglio, però sembrava quasi sopraffatto dal peso dei turpi, palpitanti sogni che aveva avuto. Si scrollò, lasciando che i capelli unti gli ricadessero sulla fronte sfuggente. Gli occhi parevano due pezzi di vetro scuro.

Rimanendo ancora nell’ombra silenziosa della mia stanza, continuavo a pedinarlo, a seguirlo lungo la scala sul retro, poi all’aperto, tra le luci abbaglianti di Collins Avenue. Passando accanto alle vetrine sporche e alle insegne sgangherate dei negozi, si spinse oltre, andando incontro all’inevitabile e ancora non designato oggetto del desiderio.

Chi sarebbe stata la donna fortunata che, confusa tra la squallida folla serotina, avrebbe incontrato l’orrore in quella desolata zona della città? Portava forse con sé un cartone di latte e un cespo di lattuga in un sacchetto di carta? Sarebbe fuggita alla vista dei tagliagole appostati all’angolo della strada? Si angustiava, pensando al lungomare su cui viveva — probabilmente felice — prima che architetti e arredatori la facessero sloggiare, relegandola presso locande scrostate e cadenti?

E cosa penserà il ripugnante angelo della morte una volta che l’avrà infine individuata? Davvero quella donna gli rammenterà la megera della sua infanzia, quella che lo picchiava senza motivo soltanto per poter entrare nel tormentato pantheon del suo inconscio? Oppure stiamo chiedendo troppo?

Insomma, voglio dire che esistono assassini incapaci di stabilire la pur minima connessione tra simbolo e realtà; assassini che, dopo pochi giorni, hanno già scordato tutto. Di certo le loro vittime non lo meritano, e loro, gli assassini, meritano invece d’incontrarsi con me.

Ebbene, io gli strapperò quel cuore traboccante di minaccia prima che lui abbia la possibilità di «farsela», e lui mi consegnerà tutto quello che ha, tutto ciò che è.

Scesi piano la scala, quindi attraversai lo scintillante atrio in stile art déco, bello di un’eleganza patinata. Che sensazione meravigliosa potersi muovere come un mortale, aprire le porte, passeggiare nell’aria fresca! Mi diressi verso nord, lungo il marciapiede, in mezzo ai passanti della sera, osservando gli alberghi rimessi a nuovo e i loro piccoli caffè.

Non appena arrivai all’angolo, la folla divenne più compatta. Di fronte a un raffinato ristorante all’aperto, alcune gigantesche telecamere puntavano i loro obiettivi su un tratto del marciapiede violentemente illuminato da enormi luci bianche. Alcuni camion bloccavano il traffico; le macchine rallentavano fin quasi a fermarsi. Si era radunato un capannello composto da giovani e vecchi, ma il loro interesse era piuttosto blando, dal momento che, nella zona di South Beach, non era difficile imbattersi in cineprese o telecamere.