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Mi tenni discosto dalle luci, temendo il loro effetto sul mio viso ultra-riflettente. Come avrei voluto essere uno di quegli individui abbronzati che vanno in giro mezzi nudi, vestiti d’inconsistenti stracci di cotone, sprigionando l’aroma di costosi oli solari! Voltai l’angolo e di nuovo cercai la preda. Stava accelerando, la sua mente era così densa di allucinazioni che riusciva a stento a controllare i passi strascicati.

Non c’era tempo da perdere.

Con uno slancio, m’innalzai al livello dei tetti più bassi. Lì la brezza era più forte e piacevole e i rumori — le voci eccitate, il brusio monotono delle radio, il soffio stesso del vento — mi giungevano attutiti.

In silenzio, catturai la sua immagine negli occhi indifferenti di coloro che lo incrociavano e ancora una volta vidi le sue fantasie di mani e piedi avvizziti, di guance cascanti e seni rinsecchiti: il labile confine tra fantasia e realtà stava per infrangersi.

Toccai la superficie lastricata di Collins Avenue in modo così rapido da sembrare quasi un’apparizione, ma nessuno in quel momento stava guardando. Ero come l’albero caduto nella foresta che nessuno ha sentito cadere.

Dopo pochi istanti, mi avviai lentamente, tenendomi a pochi passi da lui. Forse avevo un’aria un po’ inquietante, mentre mi facevo largo tra i gruppetti di giovani teppisti che bloccavano la strada e seguivo la preda oltre le porte di vetro di un enorme e gelido drugstore. Che festa per gli occhi! Mi trovavo in una spelonca dai bassi soffitti, piena zeppa di ogni immaginabile genere di cibo confezionato e in scatola, di articoli da toilette e di prodotti per capelli, il novanta per cento dei quali non esisteva neppure nel secolo in cui ero nato.

Cose come assorbenti igienici, colliri, forcine in plastica, evidenziatori, creme e pomate per qualunque parte del corpo umano, detersivi liquidi per piatti in tutte le sfumature dell’arcobaleno, tinture cosmetiche dai colori impensabili e indefinibili… V’immaginate Luigi XVI che apre una frusciante busta di plastica con dentro una di queste meraviglie? Che cosa penserebbe delle tazze da caffè di polistirolo, dei biscotti al cioccolato avvolti nel cellophane o delle penne che non rimangono mai a secco d’inchiostro?

Io stesso non ho grande familiarità con simili oggetti, sebbene per due secoli sia stato testimone dei progressi della rivoluzione industriale. Un drugstore come questo può rapirmi per ore e ore. Talvolta mi capita di rimanere a bocca aperta nel bei mezzo di Wal-Mart.

Quella volta però avevo una preda in vista, no? Ci sarebbe stato tempo più tardi per Time e Vogue, per i traduttori computerizzati tascabili e per gli orologi da polso che continuano a indicare l’ora anche se stai nuotando in mezzo al mare.

Perché era andato lì? Le giovani famiglie cubane con bambini al seguito non incontravano il suo gusto. Eppure lui vagabondava per gli stretti e affollati corridoi, in apparenza ignaro delle centinaia di facce scure e dei motivetti canticchiati dagli ispanici intorno a lui, e frugando con gli occhi cerchiati di rosso gli scaffali ingombri. Passava inosservato per tutti, eccetto che per me.

Mio Dio, com’era sudicio! Aveva la faccia e il collo incrostati di sporcizia: nella sua follia era andata persa ogni traccia di decenza. Mi sarebbe piaciuto? Be’, era pur sempre una bella botte di sangue. Perché dare un calcio alla fortuna? Non potevo più uccidere bambini, no? E neppure godere delle prostitute sul lungomare, convincendomi che tutto era perfettamente a posto, giacché loro avevano, contaminato la loro quota di addetti alle chiatte. State forse pensando che la coscienza mi tormenta? Quando sei immortale, questa è una forma di morte davvero lunga e infamante. Guardatelo, quello sporco, fetido, goffo assassino: persino in galera si trovano bocconi migliori.

Poi, mentre penetravo per l’ennesima volta nella sua mente — che si aprì come un melone tagliato in due —, compresi. Lui non sa chi è! Non ha mai letto le notizie di cronaca che lo riguardano, non ricorda gli eventi della sua vita in ordine logico e non può neppure confessare i delitti che ha commesso poiché non li ricorda. Non sa nemmeno che stanotte ucciderà! Lui non sa quello che so io!

Che tristezza infinita… Avevo estratto davvero la carta peggiore, non c’erano dubbi. Mio Dio, che cosa mi era venuto in mente di cacciare proprio quell’uomo, quando il mondo illuminato dalle stelle trabocca di bestie più perverse e attraenti? Avevo voglia di piangere.

Ma eccoci al momento fatidico: aveva individuato la vecchia, osservandone le braccia rugose, la lieve gobba sulla schiena, le cosce magre e tremolanti sotto gli shorts color pastello. Immersa nel bagliore della luce fluorescente, la donna seguiva il suo percorso, godendosi il brusio palpitante della gente intorno a lei, col volto mezzo nascosto da una visiera di plastica verde e i capelli raccolti con l’aiuto di alcune forcine scure.

Nel suo cestello portava un litro di succo d’arancia in una bottiglia di plastica e un paio di pantofole così morbide da essere piegate in un piccolo involto. A tutto ciò aggiunse, con evidente gioia, un tascabile scelto dall’espositore. L’aveva già letto, ma continuava ad accarezzare l’idea di rileggerlo: sarebbe stato come fare quattro chiacchiere con un vecchio amico. Un albero cresce a Brooklyn: sì, anche a me piaceva.

Come in stato di trance, l’uomo si mise dietro di lei, così vicino che la donna probabilmente sentiva il suo fiato sul collo. La osservava con uno sguardo opaco e inebetito, mentre lei si avvicinava alla cassa ed estraeva pochi, sudici dollari dal colletto cascante della camicetta.

Uscirono quindi dal negozio, lui col piglio indolente di un cane dietro una cagna in calore, lei un po’ curva nel tentativo di bilanciare il peso della sporta grigia. La vecchia avanzava con fare impacciato, cercando di aggirare le bande di rumorosi giovinastri in caccia. Parlava da sola? Così sembrava. Non andai oltre con la mia analisi di quel piccolo essere che camminava sempre più veloce. Mi rivolsi invece alla bestia dietro di lei, a quell’essere del tutto incapace di vedere la donna come somma delle sue parti.

Pallidi, deboli visi balenavano nella sua mente, mentre la seguiva, arrancando. Come avrebbe voluto distendersi su una montagna di carne umana in disfacimento, posare una mano sopra una bocca decrepita!

La donna raggiunse il piccolo e misero condominio in cui abitava: protetto da palme contorte, era un cadente edificio che sembrava fatto di gesso, come ogni altra cosa in quella squallida zona della città. Lui d’un tratto si fermò, e, sebbene un po’ malfermo sulle gambe, rimase a osservarla, mentre lei percorreva il cortiletto piastrellato e saliva alcuni impolverati gradini di cemento verde. Individuò il numero della porta d’ingresso mentre lei la apriva, vi si avvicinò con passo pesante e, appiattendosi contro il muro, cominciò a pensare a come l’avrebbe uccisa, in una vuota e scialba camera da letto simile a una chiazza di luce e colore.

Guardatelo mentre se ne sta lì, contro il muro, come se fosse stato infilzato, con la testa ciondolante da un lato. Impossibile nutrire per lui il minimo interesse. Perché non ucciderlo subito?

Ma i minuti passavano, e la sera stava perdendo la sua incandescenza crepuscolare. Le stelle diventavano più brillanti. La brezza andava e veniva.

Rimanemmo in attesa.

Attraverso gli occhi di lei — come se potessi davvero vedere attraverso i muri — vidi il suo salotto. Era pulito, ma arredato con mobili vecchi, ricoperti di scadente piallaccio dagli spigoli smussati. Non avevano il minimo valore, per la donna. Eppure ogni cosa era stata lucidata con un olio profumato che le piaceva molto. Una luce al neon, lattiginosa e squallida come la vista sul cortile sottostante, penetrava dalle tende di materiale sintetico. Però lei godeva del confortevole calore delle sue piccole lampade posizionate con cura. E quello era ciò che le importava.