Camminando senza fermarmi, arrivai là dove non c’era nessuno, ne quelli che passeggiavano sulla spiaggia ne i bagnanti notturni. Solo la sabbia, che il vento aveva già ripulito da tutte le impronte del giorno, e l’enorme distesa grigia dell’oceano notturno, che senza posa sollevava i suoi frangenti sulla riva paziente. Nel cielo, le nuvole si muovevano veloci a perdita d’occhio, mentre discrete stelle apparivano in lontananza.
Che cosa avevo fatto? Avevo ucciso la sua vittima. Avevo estinto la luce dell’unico essere che mi ero impegnato di salvare. Ero tornato da lei e avevo giaciuto con lei. L’avevo presa e lei aveva esploso l’invisibile colpo troppo tardi.
Intanto la sete era tornata.
Dopo, l’avevo adagiata sulla triste trapunta di nylon del suo piccolo, candido letto, incrociandole le braccia sul petto e chiudendole gli occhi.
Buon Dio, aiutami. Dove sono i miei santi senza nome? Dove sono gli angeli dalle ali piumate che mi porteranno all’inferno? E quando verranno, saranno loro l’ultima cosa meravigliosa che vedrò? Mentre scenderò nel lago di fuoco, potrò ancora seguire il loro slancio verso il cielo? Potrò sperare di rivolgere un ultimo sguardo alle loro trombe dorate e ai loro visi, che riflettono lo splendore del volto di Dio?
Che cosa so del paradiso?
Per un certo tempo, rimasi lì a osservare la fuga notturna delle nuvole incontaminate. Poi guardai di nuovo le luci intermittenti degli alberghi restaurati e i bagliori dei fari delle auto.
Un mortale solitario se ne stava sul marciapiede, con lo sguardo fisso nella mia direzione. Forse però non aveva neppure notato quella piccola figura sull’orlo dell’immenso mare. Forse stava solo guardando l’oceano, proprio come stavo facendo io, stava scrutando la riva in cerca di un miracolo, magari sperando che l’acqua potesse ripulire le nostre anime.
Un tempo il mondo non era stato altro che mare: la pioggia cadde per cento milioni di anni! Ora invece il cosmo brulica di mostri.
Il mortale solitario dallo sguardo penetrante era ancora là. Attraverso la vaga oscurità di quel tratto deserto di spiaggia, a poco a poco mi resi conto che i suoi occhi erano fissi nei miei. Sì, mi stava guardando.
La cosa non mi diede molto pensiero e ricambiai lo sguardo soltanto perché non mi preoccupavo di voltarmi da un’altra parte. Fu allora che provai una curiosa sensazione, qualcosa che non avevo mai provato prima.
Inizialmente mi sentii un po’ confuso. Avvertii poi una vibrazione accompagnata da un lieve formicolio che mi corse lungo il tronco fino alle braccia e alle gambe. Era come se le mie membra si serrassero, comprimendo con forza la materia al loro interno. Fu una sensazione così netta che mi sembrò quasi di schizzar fuori da me stesso. Ero sorpreso. C’era un che di delizioso in tutto quello, soprattutto per un essere così freddo, duro e impenetrabile a tutte le sensazioni com’ero io. Era soverchiante, quasi quanto bere il sangue, sebbene non ci fosse niente di più viscerale di quest’ultima esperienza… Ma non avevo ancora finito di analizzare quella sensazione che mi resi conto che era finita.
Rabbrividii. Avevo immaginato tutto? Stavo ancora guardando quel mortale, quella povera anima che mi osservava a sua volta senza avere la minima consapevolezza di chi o di che cosa fossi.
Un sorriso si stava disegnando sul suo giovane volto, un sorriso fragile e pieno di folle meraviglia. A poco a poco mi resi conto che l’avevo già visto. Trasalii nel cogliere nella sua espressione qualcosa di singolare, come se mi avesse riconosciuto, accompagnato da uno strano atteggiamento di aspettativa. D’un tratto, lui alzò la mano destra e fece un cenno.
Sconcertante.
Ma io conoscevo quel mortale. No, per essere più esatti l’avevo già visto prima, più di una volta. Alcuni ricordi ben precisi riemersero allora con assoluta chiarezza.
L’avevo visto a Venezia, mentre si aggirava ai margini di piazza San Marco e, mesi più tardi, a Hong Kong, vicino al mercato notturno, ed entrambe le volte l’avevo notato perché lui aveva notato me. Sì, era proprio lo stesso individuo, alto, forte e robusto, dai medesimi capelli bruni, folti e ondulati.
Non era possibile… eppure lui era lì!
Fece di nuovo quel piccolo cenno di saluto. Quindi prese a correre verso di me, anche se in modo piuttosto impacciato. Rimasi a guardarlo con freddo stupore, mentre si avvicinava con quella sua curiosa andatura priva di grazia.
Cercai di leggere la sua mente: nulla. Era chiusa e impenetrabile. Solo il viso sogghignante diventava sempre più chiaro a mano a mano che si addentrava nel bagliore proveniente dal mare. L’odore della sua paura riempiva le mie narici insieme col profumo del suo sangue. Sì, era terrorizzato, ma anche in preda a una grande eccitazione. Improvvisamente mi apparve molto invitante: una nuova vittima che quasi veniva a gettarsi nelle mie braccia.
Come brillavano i suoi grandi occhi scuri, e che denti splendenti aveva!
Fermatesi col cuore in gola a un metro da me, con mano umida e tremante mi allungò un involucro sgualcito.
Continuai a fissarlo senza lasciare trasparire la minima emozione, ne orgoglio ferito, ne sorpresa per il fatto che fosse riuscito a trovarmi, ne considerazione per il suo ardire. Ero solo affamato quel tanto che bastava per prenderlo subito e nutrirmi di nuovo senza pensarci due volte. Mentre lo guardavo, non ragionavo più: vedevo solo sangue.
Lui parve intuirlo e, come se lo sapesse, s’irrigidì, guardandomi torvo per un momento. Quindi gettò l’involucro ai miei piedi e, mentre si voltava precipitosamente per fuggire, per poco non cadde, quasi improvvisando sulla sabbia smossa uno scomposto passo di danza, come se le sue gambe volessero staccarsi dal corpo.
La sete si calmò un poco. Forse non ragionavo, ma esitavo, e dunque stavo riflettendo. Chi era quel giovane e sfacciato figlio di puttana?
Di nuovo, cercai di scrutare dentro di lui: niente. Davvero strano. Ma esistono alcuni mortali che riescono a nascondersi in modo naturale, anche se non hanno la minima consapevolezza che qualcuno sta frugando nelle loro menti.
Goffo e disperato, corse senza posa lontano da me, finché non scomparve nell’oscurità di una strada secondaria.
Passò qualche istante.
Ormai non riuscivo più a cogliere il suo odore, fatta eccezione per il pacchetto che giaceva lì dove lui l’aveva lasciato cadere.
Che cosa poteva mai significare tutto ciò? Lui sapeva cos’ero, non c’erano dubbi. Venezia e Hong Kong non erano state semplici coincidenze. La sua improvvisa paura, se non altro, l’aveva reso evidente. Tuttavia il suo coraggio mi strappò un sorriso. Immaginate: seguire una creatura della mia risma !
Era forse un qualche adoratore fanatico, venuto a bussare alla porta del tempio nella speranza che gli facessi dono del Sangue Tenebroso per pietà o come premio per il suo ardire? All’inizio provai rabbia e amarezza, poi non me ne importò più nulla.
Raccolsi l’involucro: era un pacchetto anonimo, privo di sigillo. All’interno — chi l’avrebbe mai detto? — trovai un racconto, apparentemente strappato via da un tascabile.
Si trattava di un piccolo e spesso plico di pagine di carta scadente, pinzate insieme nell’angolo in alto a sinistra e senza traccia di appunti. L’autore del racconto era una cara creatura eh conoscevo bene, uno scrittore del soprannaturale e del macabre di nome H.P. Lovecraft. In effetti, conoscevo anche la storia, di cui non avrei mai potuto dimenticare il titolo: La cosa sulle soglia. Mi aveva fatto ridere.
La cosa sulla soglia… Sorridevo. Sì, ricordavo quella storia: voleva dire che era buona, che era stata divertente.
Ma perché quello strano mortale avrebbe dovuto darmi quel racconto? Era assurdo. Provai di nuovo un senso di rabbia, e perlomeno quel tanto di rabbia che poteva concedermi la mia tristezza.