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— Oh, no. Sei vivo, sei vivo! — gridò Lucy, e tutt’e due si lanciarono verso di lui, ripresero ad abbracciarlo, accarezzarlo e coprirlo di baci.

— Ma cosa significa? — chiese Susan, quando si furono un po’ calmate.

Aslan rispose: — Significa che la Strega Bianca conosce la Grande Magia, ma ce n’è un’altra più grande che non conosce. Le sue nozioni risalgono all’alba dei tempi: ma se potesse penetrare nelle tenebre profonde e nell’assoluta immobilità che erano prima del tempo, vedrebbe che c’è una magia più grande, un incantesimo diverso. E saprebbe che, quando al posto di un traditore viene immolata una vittima innocente e volontaria, la Tavola di Pietra si spezza e al sorgere del sole la morte stessa torna indietro.

— Oh, è meraviglioso — esclamò Lucy battendo le mani e saltando dalla gioia. — E ora come ti senti, Aslan?

— Sento che mi tornano le forze e, bambine mie, prendetemi se vi riesce!

Così dicendo Aslan le fissava con i grandi occhi lucenti, il corpo percorso da un fremito, e si frustava i fianchi con la lunga coda. Restò così per qualche attimo ancora, poi spiccò un balzo e atterrò dall’altra parte della Tavola di Pietra, oltre le teste di Susan e Lucy. Lucy scoppiò a ridere senza un vero perché e fece l’atto di acchiappare il leone. Aslan saltò di nuovo e la caccia cominciò. Lui correva intorno al grande prato sulla sommità della collina, ora lasciandosi avvicinare al punto che le ragazze quasi potevano toccargli la coda, ora sgusciando via lontano; ripiombava tra loro con una specie di gran tuffo, le ghermiva con le grosse zampe vellutate, le lanciava in aria per riprenderle al volo. Si fermò inaspettatamente e le piccole gli furono addosso, poi tutti e tre rotolarono sull’erbetta in una gran confusione di criniera, capelli, braccia, gambe e zampe. Fu un gioco chiassoso e felice, come si può fare solo nel paese di Narnia, e Lucy non capiva bene se stesse giocando con il grande Aslan dalla voce di tuono o con un affettuoso micione. E la cosa più strana fu che quando si trovarono stesi sul prato, ansanti e allegri tutti e tre, le ragazzine non sentirono più la minima stanchezza, né fame né sete.

— E ora occupiamoci di cose serie — disse infine Aslan. — Tappatevi le orecchie, bambine, perché sento che devo fare un gran ruggito.

Susan e Lucy obbedirono. Il leone spalancò le fauci e assunse un’espressione così terribile che le due ragazze non osarono più guardarlo. Videro invece che gli alberi davanti a lui si piegavano come fuscelli al soffio del vento.

— Dobbiamo fare un lungo viaggio. Meglio che mi montiate in groppa — concluse Aslan.

E si accucciò per permettere alle due ragazzine di salirgli sul dorso coperto di pelliccia calda e dorata. Susan salì per prima e si afferrò alla criniera, Lucy le si mise dietro, cingendola con le braccia intorno alla vita. Aslan si tirò su e con un grande balzo si lanciò per la collina e quindi nel bosco.

Forse la corsa a cavalcioni del leone fu la cosa più bella che capitasse alle sorelle nel regno di Narnia. Siete mai stati in groppa a un cavallo al galoppo? Immaginate qualcosa di simile, ma senza il rumore degli zoccoli che percuotono il terreno, senza il tintinnio delle redini e del morso. Immaginate una gran corsa tranquilla e veloce al tempo stesso, accompagnata dal tonfo leggero di grandi zampe dai polpastrelli di velluto. Invece del colore bruno, grigio o nero del cavallo, immaginate di avere sotto di voi una pelliccia dorata e di vedere la gran criniera che ondeggia al vento. E naturalmente, la corsa sarà almeno due volte più rapida che sul più rapido destriero.

Aslan correva e correva, senza esitare e senza stancarsi.

Andava e andava, passando sicuro fra i tronchi d’albero, penetrava nel cuore della foresta, balzava sui grossi cespugli, oltre le siepi di rovo, guadava i torrenti e nuotando agilmente attraversava i fiumi più profondi. Immaginate di andarvene così, non per le strade di campagna, nei viali del parco o tra le dune della spiaggia, ma nel meraviglioso paese di Narnia, in primavera. Aslan percorreva viali di faggi altissimi, boschi di querce frondose, prati fioriti e filari di ciliegi in boccio, candidi come la neve; passava vicino a cascate ruggenti e a rocce muschiose, sfiorava caverne piene d’echi e di tenebre; su per scoscesi pendii battuti dal vento, giù per discese coperte di ginestre spinose; sul cocuzzolo di colline incappucciate d’erica, sulla vetta di monti altissimi; giù giù a precipizio nelle gole profonde e di nuovo nelle valli che si stendevano per chilometri e chilometri, trapunte di fiori azzurri.

Era già quasi mezzogiorno quando arrivarono sulla cima di una collina molto ripida: davanti a loro, in fondo alla valle, si ergeva un castello che sembrava piccolo come un giocattolo, fatto di sole torri puntute. Il leone correva così veloce che Susan e Lucy si trovarono di fronte al castello prima ancora di avere il tempo di chiedere a chi appartenesse. Adesso non sembrava più un giocattolo, ma un edificio sinistro, coronato di torri minacciose. Sui bastioni merlati non si vedeva anima viva, neppure una sentinella. Il grande cancello appariva ben chiuso, ma non per questo Aslan rallentò l’andatura.

— Il castello della strega — gridò. — Tenetevi ben salde, bambine mie.

Un attimo dopo il mondo sembrò capovolgersi, Lucy e Susan si sentirono il cuore in gola: Aslan si era improvvisamente ritirato in se stesso, poi era scattato in aria per compiere il più gran salto che sia mai stato fatto (ma sarebbe più giusto chiamarlo un volo). Così superarono, d’un balzo, le mura di cinta del castello. Le due sorelline rotolarono dalla groppa di Aslan, sane e salve, nel bel mezzo di un grande cortile pieno di statue.

16

Cosa accadde alle statue

— Che posto straordinario — esclamò Lucy. — Sembra di essere in un museo, con tutte queste statue.

— Ssst! — la zittì Susan. — Guarda cosa sta facendo Aslan.

Aslan, infatti, faceva qualcosa di strano. Si era avvicinato al leone di pietra e gli soffiava addosso. Poi continuò in queste stranezze: si girò di scatto, proprio come un gattino che gioca con la coda, e soffiò sul nano di pietra che dava le spalle al leone (ricordate?); quindi si spostò di fianco e soffiò su una driade, poi su un coniglietto e su due centauri più a destra. Fu in quel momento che Lucy gridò: — Susan, Susan, guarda il leone!

Immagino che vi sarà capitato di vedere qualcuno che accende il fuoco mettendo un foglio di giornale sotto un mucchietto di ramoscelli secchi e accostando un fiammifero acceso: per qualche istante non succede niente, finché una sottile striscia di fuoco serpeggia lungo il giornale e dopo qualche secondo il falò scoppietta allegramente. Ebbene, accadde qualcosa del genere.

Quando Aslan aveva soffiato sul leone non era successo niente, l’animale di pietra era quello di sempre. Poi era apparsa una striscia dorata lungo il dorso e ben presto si era allargata e allungata, guizzando sul corpo di pietra come la fiamma sul giornale. La parte posteriore del leone era ancora rigida e lui già scuoteva la criniera. Le pesanti ciocche rapprese nella pietra si sciolsero, diventarono morbide e fluenti: vive. Il leone aprì la bocca, fece un potentissimo sbadiglio, alzò una zampa e, dato che il corpo era tornato completamente alla vita, si diede una bella grattatina. Poi vide Aslan, lo raggiunse di corsa e si mise a saltellargli intorno come un cucciolo, uggiolando di felicità e tentando di leccargli il muso.

Susan e Lucy seguivano la scena con gli occhi sbarrati per la sorpresa, ma intorno a loro si succedevano tali e tante meraviglie che dimenticarono il leone e guardarono altrove.

Il grande cortile non somigliava più a un museo, ma a uno zoo: il gelido biancore delle statue si era trasformato in una festa di colori tra i quali spiccava il bruno dorato dei gropponi dei centauri, il corno color indaco degli unicorni, il rossiccio delle volpi, il mantello pezzato dei cani e il piumaggio variopinto degli uccelli. C’erano i nani con il cappuccio cremisi e le calze gialle, le ninfe che abitano gli alberi avvolte in freschi veli trasparenti: argentei come il tronco delle betulle, verde chiaro come le foghe dei faggi e quasi gialli come le gemme dei larici.