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Le creature ridenti circondavano Aslan e gli danzavano intorno, nascondendolo agli occhi di Lucy e Susan. Il cortile, già invaso dal mortale silenzio delle statue, ora echeggiava di ruggiti e latrati festosi, di nitriti e abbaiamenti, squittii e cinguettii; e scalpitar di zoccoli, grida di gioia, risate e canzoni.

— Lucy, guarda — esclamò a gran voce Susan.

Lucy guardò dalla parte che la sorella indicava e vide Aslan soffiare sui piedi di un gigante grande come una casa.

— Va bene così — gridò Aslan gioiosamente. — Quando sono a posto i piedi, il resto viene da sé.

— Non è di questo che dubitavo — mormorò Susan.

Già il gigante si risvegliava, muoveva i piedi, le gambe e il braccio che reggeva un’enorme clava; infine si portò una mano al viso e disse, stropicciandosi gli occhi: — Santo cielo, devo aver dormito un bel po’. Ma dove è andata a ficcarsi l’orribile piccola strega che mi stava tra i piedi? Non può essere lontana: dev’essere da queste parti.

Qualcuno si prese la briga di spiegargli cos’era accaduto, ma il gigante era un po’ sordo: perciò dovettero gridargli tutto da capo. Lui si mise la mano all’orecchio e infine capì. Allora cominciò a toccarsi il berretto in segno di saluto, a fare grandi inchini verso Aslan, con la faccia raggiante di riconoscenza (oggi i giganti sono diventati rari, soprattutto quelli molto buoni: scommetto che non ne avete mai visto uno con la faccia raggiante; be’, vi assicuro che è uno spettacolo che vale la pena).

— E adesso tutti nel castello — ordinò a un certo momento Aslan. — Non sappiamo quanti prigionieri ci siano là dentro. Bisognerà frugare dappertutto, anche nella camera della padrona di casa.

Si lanciarono tutti dietro ad Aslan nell’orribile, tetro castello dove le stanze erano sempre buie e sapevano di chiuso. Ci fu subito un gran rumore di finestre spalancate e frasi come «Dammi una mano con questa porta», oppure «Non dimenticate le cantine e le soffitte» e anche «Che odore di muffa, qui dentro!» E poi «Vieni per di qua, c’è un’altra scala a chiocciola» e ancora «Sta’ attento a quella botola, guarda dove porta.»

Poi una voce gridò: — Qui c’è un canguro di pietra, Chiamate il grande Aslan!

— Ne abbiamo bisogno anche qui — gridò un’altra voce. — Ci sono molte statue, su questo pianerottolo.

Ma il momento più bello fu quando Lucy si lanciò su per le scale, urlando: — Aslan, Aslan! Ho trovato il signor Tumnus. Vieni, presto! — Pochi minuti dopo Lucy e il fauno si tenevano per mano, facendo un pazzo girotondo, beati e felici. Il faunetto non aveva sofferto troppo nella sua condizione di statua, era vivacissimo e chiedeva di sapere le ultime novità.

Poi anche la scorribanda nel castello della strega finì. La tetra fortezza era assolutamente vuota, con porte e finestre spalancate perché la luce brillante del sole e la fresca aria primaverile entrassero anche negli angoli più bui, dove ce n’era maggior bisogno.

Il lungo corteo delle statue chiamate in vita da Aslan tornò nel cortile d’ingresso. Fu allora che qualcuno chiese (forse proprio il fauno Tumnus): — Ma come faremo a uscire?

Il cancello, infatti, era ancora chiuso e solo Aslan avrebbe potuto scavalcarlo con un salto, come aveva fatto prima. Allora il leone si avvicinò al gigante, dicendo: — Sistemeremo anche questa faccenda. — Si mise una zampa alla bocca e ruggì: — Ehi, lassù. Come ti chiami?

— Gigante Fracassone, eccellenza — rispose quello, toccandosi nuovamente il berretto.

— Bene, Fracassone, te la senti di aprire il cancello?

— Agli ordini, eccellenza — rispose il gigante. Poi, rivolto agli altri: — Via tutti, piccoletti, via. Lontano da me.

Si avvicinò al cancello e… bang-bang-bang, giù colpi con l’enorme clava. Al primo colpo il cancello scricchiolò un poco, al secondo scricchiolò di più e al terzo tremò tutto. Allora il gigante si dedicò alle due torri che lo fiancheggiavano e, dopo qualche colpo ben assestato, torri, cancello d’ingresso e buona parte del muro di cinta crollarono con gran fragore, in un ammasso di rottami e calcinacci.

Quando il polverone si diradò, il gruppo che stazionava nel lugubre cortile della strega vide l’erba verde attraverso la breccia aperta da Fracassone, gli alberi che stormivano al vento, il luccichio di un ruscello, la foresta, le colline fiorite e il cielo azzurro.

— Devo fermarmi perché sono sudato — sbuffò il gigante, che effettivamente ansimava come una locomotiva sotto pressione. — Sudati si sta male; ma forse, belle signorine, qualcuna di voi ha un fazzoletto per me?

— Io ce l’ho — rispose prontamente Lucy, e si alzò in punta di piedi agitando un quadratino di stoffa bianca.

— Grazie, signorina — disse l’altro, chinandosi.

Un attimo dopo la piccola Lucy si trovò a mezz’aria, tra il pollice e l’indice del gigante Fracassone. Lui se la stava già portando al faccione quando si accorse dello sbaglio. La rimise a terra e balbettò, confuso: — Dio, ho preso su anche la ragazzina. Scusa, scusa, signorina, credevo che il fazzoletto fossi tu.

— No, no — rise Lucy — eccolo qui.

Stavolta il gigante riuscì a prendere il fazzolettino, che rispetto alla sua statura aveva le proporzioni che avrebbe per voi una zolletta di zucchero. Cominciò ugualmente a strofinarselo su e giù per il viso, finché Lucy gridò: — Temo che non serva a niente, è troppo piccolo.

— Oh, no, grazie. Va benissimo — rispose lui gentilmente. — Non ho mai visto un cosino così grazioso. Questo… come si dice, questo fazzoletto è talmente bello e utile che non ho parole.

— Che gigante gentile — commentò Lucy rivolta al signor Tumnus.

— Oh, sì, sì — disse il fauno. — Appartiene alla famiglia dei Fracassa. Gente per bene, una delle più rispettate, qui a Narnia. Hanno una tradizione di grande bontà. Forse non troppo intelligenti, ma insomma, i giganti non lo sono quasi mai. E se non fosse stato così buono, certamente la Strega Bianca non lo avrebbe trasformato in statua.

In quel momento si udì la voce di Aslan che imponeva silenzio a tutti.

— La nostra giornata di lavoro non è ancora finita. Se dobbiamo sconfiggere la Strega Bianca prima di sera, sarà meglio sbrigarci. La battaglia è già cominciata.

— E combatteremo anche noi, vero? — chiese uno dei centauri.

— Sì, certamente — rispose Aslan. Quindi ordinò: — Quelli che non ce la fanno a correre a perdifiato, e cioè le due ragazze, i nani e le bestie più piccole, monteranno in groppa agli animali più grandi: leoni, centauri, unicorni, orsi e aquile. Quelli che hanno buon fiuto si metteranno in testa al gruppo con noi leoni. Avanti i cani da caccia e le volpi, bisogna scovare le tracce della strega. Indietro gli altri, ognuno al suo posto, presto, presto!

Per alcuni minuti nel cortile ci fu un gran trambusto. Quello che faceva più confusione era il giovane leone, che andava in giro fingendo di mettere in formazione gli altri e dicendo a tutti: — Avete sentito Aslan? Ha detto noi leoni. Questo vuol dire lui e io, noi due. Mi piace, Aslan: non fa distinzioni, non pretende che si tengano le distanze. Ha detto noi leoni, questo ha detto. Capite?

Alla fine Aslan gli caricò sul groppone tre nani, una driade, due coniglietti e un porcospino e quello finalmente si azzittì.

Quando furono tutti ai loro posti (l’unico che aiutò veramente Aslan fu un vecchio cane da pastore), lo strano esercito uscì dal castello attraverso il varco aperto dalla clava del gigante. All’inizio i cani da caccia, le volpi e i leoni annusarono il terreno in tutte le direzioni, senza decidere nulla; poi un grosso segugio diede un gran latrato e si lanciò sulla pista giusta, naso a terra. Lo seguì un codazzo di creature lungo tre o quattrocento metri, e tutte correvano a più non posso. I cani da caccia facevano un concerto assordante, e ogni tanto ai loro guaiti si aggiungeva il ruggito del giovane leone, che qualche volta riusciva a sfoderare una voce potente quasi come quella di Aslan.