— Scusi — la interruppe improvvisamente Edmund. — Non potrei avere un’altra di quelle gelatine? Magari solo un pezzetto, per mangiarlo strada facendo?
— No, no — esclamò la regina, divertita. — Dovrai aspettare fino alla prossima volta. — Così dicendo fece cenno al nano di continuare il cammino, e mentre la slitta spariva rapidamente, Edmund si trovò di nuovo solo e in mezzo alla neve.
Teneva ancora lo sguardo fisso nel punto in cui era scomparsa la slitta, quando sentì qualcuno chiamarlo per nome. Era Lucy, e veniva verso di lui da tutt’altra parte.
— Oh, Edmund — esclamò raggiante di gioia. — Sei venuto anche tu. Non è meraviglioso?
— Sì — rispose Edmund. — Devo riconoscere che avevi ragione. Ma, se non ti dispiace, vorrei sapere dove sei stata tutto questo tempo. Ti ho cercata ovunque, sai?
— Se avessi saputo che eri entrato nell’armadio magico, ti avrei aspettato — rispose Lucy, troppo contenta per rendersi conto del tono sprezzante con cui Edmund le aveva parlato e di come fosse rosso in faccia, tutto stravolto. — Sono stata dal caro signor Tumnus, il fauno dell’altra volta. Abbiamo mangiato insieme e parlato un po’. Ho visto con piacere che la Strega Bianca non gli ha fatto niente di male. Forse non si è neanche accorta che mi ha lasciata tornare a casa.
— La Strega Bianca? — chiese Edmund. — E chi è?
— Una persona veramente terribile. Dice di essere la regina di Narnia ma non ne ha il diritto, proprio no. Le driadi, le ninfe, i fauni e gli animali del bosco, o per lo meno i migliori, non la possono soffrire. Può trasformare la gente in statue di pietra e fare mille stregonerie. È per colpa sua se a Narnia, adesso, è sempre inverno. Sempre inverno e mai Natale, pensa… E intanto lei se ne va in giro su una slitta trainata da renne bianche, tiene la bacchetta magica in mano e una corona d’oro in testa.
— E tutta questa roba a te chi l’ha raccontata?
— Il signor Tumnus, il fauno — rispose Lucy.
— E dai retta alle chiacchiere di un fauno? — chiese ancora Edmund, nel tono di uno che la sa lunga. — Non si può credergli.
— Chi l’ha detto?
— Ma lo sanno tutti, cara mia — ribatté Edmund. — Chiedi a chi vuoi. Ora muoviamoci di qui, torniamo a casa.
— Sì, andiamo — accondiscese Lucy. — Se sapessi come sono contenta che tu sia venuto. Adesso anche Peter e Susan dovranno credere che il paese di Narnia esiste davvero. Ci verremo tutti e ci divertiremo tanto.
Edmund, in cuor suo, pensava che per il momento lui si sarebbe divertito meno: doveva darle ragione di fronte agli altri, dopo averla canzonata più degli altri. Inoltre, qualcosa gli diceva che Peter e Susan avrebbero immediatamente parteggiato per il fauno e contro la regina, mentre lui aveva quasi deciso che era meglio stare dalla parte di lei. Forse gli altri se ne sarebbero accorti e per questo era meglio non parlare dell’incontro con la regina di Narnia.
Camminarono un bel po’ per arrivare al lampione, lungo il sentiero tra gli alberi. Improvvisamente, si resero conto di essere tra le morbide pellicce custodite nel guardaroba. Un attimo e furono nella grande stanza vuota.
— Ehi — esclamò Lucy, guardando bene in faccia il fratello. — Non ti senti bene? Hai una brutta cera, Edmund.
— Sto benissimo — rispose lui, ma non era vero. Si sentiva lo stomaco sottosopra.
— Vieni, allora, cerchiamo gli altri — disse Lucy. — Abbiamo un sacco di cose da raccontare.
5
Da questa parte dell’armadio
Il gioco a nascondino continuava, quindi ci volle un bel po’ prima che i ragazzi si trovassero tutti insieme. Quando questo avvenne (nella lunga stanza con l’armatura di ferro), Lucy cominciò subito: — Peter, Susan, è come dicevo io. C’è veramente un altro paese dall’altra parte dell’armadio… C’è venuto anche Edmund, poi ci siamo ritrovati nel bosco e abbiamo fatto insieme la strada del ritorno. Su, Ed, diglielo.
— Cos’è questa storia? — chiese Peter. — Di che si tratta, Ed, cos’hai da dirci?
Fu allora che si verificò la cosa più spiacevole della nostra storia. Edmund non aveva ancora deciso cosa dire e non dire dell’avventura nel regno di Narnia. Si sentiva male e aveva la nausea; inoltre, era seccato con Lucy perché non gli andava di doverle dar ragione in pubblico. Quando Peter gli rivolse una domanda ben precisa, fece la peggior cosa che si possa immaginare: restò muto come un pesce. Susan lo incoraggiò, dicendo: — Dai, parla — ma lui gettò un’occhiata di superiorità alla povera Lucy, come se fosse molto più grande (invece aveva solo un anno di più) e disse, sogghignando: — Lucy e io abbiamo fatto un gioco, fingendo che la storia del paese immaginario fosse vera. Uno scherzo tra noi, naturalmente. Non c’è proprio nulla dietro l’armadio, l’abbiamo visto benissimo.
Lucy lo guardò un attimo sbigottita, poi fuggì dalla stanza. Edmund, che diventava più cattivo ogni minuto, fu certo di aver ottenuto un gran successo e continuò nel tono di prima: — Ecco che scappa di nuovo. Cos’ha, adesso? Il guaio con questi bambini è che…
— Senti un po’ — lo interruppe Peter, voltandosi verso Edmund con grande durezza. — Innanzi tutto chiudi il becco. Da quando Lu ha cominciato con la storia dell’armadio, ti sei comportato come un mostro verso di lei, l’hai presa in giro senza pietà. E ora ti metti a fare giochetti, prima fingi che sia vero e poi…? Vuoi farla diventar matta? Credo che tu sia un gran dispettoso, Ed.
— Ma è tutta una faccenda senza senso — replicò Edmund.
— Certo che non ha alcun senso. È proprio questo il punto. Da quando siamo arrivati qui, Lucy è cambiata: a casa stava benissimo, era calma, simpatica e sincera. Ora è diventata una gran bugiarda oppure ha perso una rotella. Ma che sia questo o che sia quello, cosa credi di ottenere sbeffeggiandola prima e incoraggiandola dopo? Eh, sì, ieri la maltrattavi e oggi inventi questo gioco sul paese oltre l’armadio.
— Io credevo… credevo… — balbettò Edmund.
— Tu non credevi proprio niente. L’hai fatto per dispetto, ti è sempre piaciuto maltrattare i più piccoli. Lho visto anche a scuola, sai.
— Basta — ordinò Susan a questo punto. — Smettetela, tutti e due. Se stiamo qui a litigare le cose non andranno meglio. Cerchiamo Lucy, invece.
Quando la trovarono, parecchio più tardi, nessuno si meravigliò nel vedere che aveva gli occhi rossi e gonfi come di chi abbia pianto molto. Cercarono inutilmente di farla ragionare. Lucy ripeteva sempre la stessa storia: per lei era la verità.
— Dite quel che volete, pensate quel che volete, non me ne importa nulla. Potete dirlo al professore o scrivere alla mamma, insomma, fate come vi pare. Io so di essere stata in quel bosco e ho davvero incontrato il fauno. Vorrei essere rimasta là, perché voi siete… stupidi, stupidi, stupidi.
Fu una serata spiacevole. Lucy si sentiva tanto infelice e anche Edmund cominciava a capire che forse il suo piano non aveva funzionato. Peter e Susan si erano quasi convinti che a Lucy avesse dato di volta il cervello. Restarono un bel po’ in corridoio a confabulare tra loro, mentre la più piccola era già addormentata nel suo letto. Alla fine decisero che il mattino seguente avrebbero raccontato tutto al professore.
— Ci penserà lui a scrivere a papà — aveva concluso saggiamente Peter. — Dirà se le condizioni di Lucy sono davvero preoccupanti. Noi non possiamo capire.
Così andarono tutti e due nello studio del professore, bussarono alla porta e, quando lui fece avanti!, entrarono. Il professore li fece accomodare su due poltroncine e si dichiarò a loro disposizione per tutto quello di cui avessero bisogno, poi sedette e ascoltò la storia senza interromperli, le punte delle dita di una mano premute contro quelle dell’altra. Quando i ragazzi ebbero finito, il professore restò in silenzio, si schiarì la gola e disse l’ultima cosa che Peter e Susan avrebbero immaginato di sentirgli dire. Chiese semplicemente: — Come fate a sapere che la storia di vostra sorella non è vera?