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I due si sedettero ad aspettare: il signor Castoro, che se ne infischiava del freddo, stava immobile, con santa pazienza e con gli occhi fissi nel buco. A un certo momento ficcò la zampa nell’acqua e la ritirò di scatto: aveva preso una bella trota. La mise nel secchio e ricominciò ad aspettare.

Susan e Lucy, intanto, si erano messe ad aiutare la signora Castoro: prepararono la tavola, tagliarono il pane a fette, spillarono una bella caraffa di birra da un barile che stava nell’angolo, misero i piatti a scaldare nel forno e la teiera a bollire sul fuoco. Infine prepararono il necessario per friggere il pesce. Mentre faceva queste piccole cose, Lucy notò che la casa dei signori Castoro era pulita e non mancava di nulla, ma era molto diversa da quella del fauno. La tovaglia, candidissima, era di tela ruvida e grossolana. Alle pareti non c’erano quadri o scaffali di libri, ma soltanto arnesi da lavoro, accette, vanghe, cazzuole da muratore, recipienti per la malta, nonché reti e canne da pesca, impermeabili e stivaloni di gomma. Dal soffitto pendevano prosciutti e trecce di cipolle; sul pavimento mancava il tappeto; i letti non erano che due cuccette da marinaio, sistemate in un vano della parete. Insomma, si vedeva bene che quella era una casa di gente semplice e laboriosa.

Il grasso nella padella aveva già cominciato a sfrigolare, quando la porta si aprì ed ecco il signor Castoro con pesce per tutti. Bastava infarinarlo e friggerlo, perché aveva già provveduto a pulirlo con il coltellino mentre si trovava alla diga. Appena il pesce cominciò a dorarsi un poco, nella stanza si sparse un profumino delizioso.

Ai ragazzi venne l’acquolina in bocca, ancor più quando la signora Castoro disse: — Tra poco ci siamo.

Susan pelò le patate, Lucy aiutò la padrona di casa a fare le porzioni e un attimo dopo ognuno prendeva il suo sgabello (nella casa c’erano soltanto sgabelli a tre gambe e una sedia a dondolo speciale per il signor Castoro). Il pranzo ebbe inizio; per i giovani c’era una bella caraffa di latte e panna — la birra era riservata al padrone di casa — e in mezzo alla tavola un grosso pezzo di burro: ognuno poteva prenderne a volontà e mangiarlo con le patate calde.

I ragazzi mangiavano di gusto, trovando che non ci fosse niente di più delizioso di un buon pesce d’acqua dolce (e io sono d’accordo con loro), soprattutto quando arriva a tavola mezz’ora dopo essere stato pescato e un attimo dopo essere stato fritto.

Quando ebbero finito, la signora Castoro tirò fuori dal forno qualcosa di inatteso: uno splendido rotolo di pastafrolla e marmellata, ancora fumante. Mentre i ragazzi si buttavano sul dolce, la brava signora si occupò del tè; quando l’ultima briciola di dolce fu scomparsa, il tè era pronto per essere versato. Alla fine i commensali accostarono lo sgabello alla parete, per appoggiare la schiena, e diedero un gran sospiro di soddisfazione.

— Ora che la mia birra è finita — annunciò il signor Castoro, allontanando la caraffa vuota e tirando a sé la tazza di tè — lasciatemi accendere la pipa, poi parleremo di cose serie. — Diede un’occhiatina fuori dalla finestra e aggiunse: — Ricomincia a nevicare. Tanto meglio, vuol dire che non avremo visite. Oggi nessuno verrà a disturbarci. Se qualcuno vi avesse visti da lontano e cercasse di rintracciarvi, la neve coprirebbe le vostre impronte e nessuno riuscirebbe a trovarvi.

8

Cosa accadde dopo pranzo

— E ora, per favore, ci dica che ne è del signor Tumnus — chiese subito Lucy.

— Oh, un brutto affare — sospirò il signor Castoro, scuotendo la testa. — Un affare bruttissimo. Non c’è dubbio: lo ha portato via la polizia. A me l’ha detto un uccello che era presente al fatto.

— Ma dove lo hanno portato? — chiese ancora Lucy.

— Verso nord, e sappiamo bene cosa significhi.

— Noi no che non lo sappiamo — obiettò Lucy.

Il signor Castoro tornò a scuotere la testa con aria cupa. Poi disse: — Temo proprio che lo abbiano portato da quella là.

— E cosa gli faranno?

— Non si può dire con esattezza — rispose l’altro. — Non sono molti quelli che tornano indietro da laggiù. Pare che sia un posto pieno di statue: nel cortile d’ingresso, nella sala grande, su per le scale, nelle camere. Statue dappertutto… — Il signor Castoro fece una piccola pausa, rabbrividì e infine aggiunse: — Lei trasforma tutti in statue. Di pietra.

— Ma noi, signor Castoro, non possiamo… — balbettò Lucy. — Voglio dire che dobbiamo fare qualcosa, salvarlo. È terribile pensare che sia accaduto per causa mia.

— Non dubito della tua buona volontà, mia cara — intervenne la signora Castoro — ma non c’è modo di entrare in quella casa senza il permesso della strega. E capirai anche tu che, stando così le cose, non c’è nessuna probabilità di uscirne vivi.

— Non si potrebbe escogitare qualche stratagemma? — chiese Peter. — Travestirci da venditori ambulanti, per esempio. Oppure aspettare che lei esca ed entrare di soppiatto. Oh, maledizione, dev’esserci un modo. Il fauno ha salvato mia sorella mettendo a repentaglio la vita. Non possiamo permettere che gli facciano, sì, insomma, quello che sappiamo.

— Non puoi far nulla, figlio di Adamo — replicò il signor Castoro. — Non ci provare neppure. Tu e i tuoi fratelli meno di qualsiasi altro. Ma ora che Aslan si è messo in moto…

— Già, ci parli di lui — fece un coro di voci.

Una volta ancora Peter, Susan e Lucy si erano sentiti invadere da uno strano sentimento, qualcosa di simile all’emozione che ci prende all’inizio della primavera o al sentire una buona notizia.

— Chi è Aslan? — chiese Susan.

— Come, non sai chi è Aslan? — ribatté il signor Castoro, stupito. — Ma è il re, il padrone di tutto. Non viene spesso qui, certo, ma è il signore del bosco. Io non l’ho mai visto e neppure mio padre, ma abbiamo saputo del suo arrivo. Ora è qui nel paese, metterà a posto la cosiddetta regina. Sarà lui che salverà Tumnus, non voi quattro.

— Lei non tramuterà in pietra anche questo tale? — chiese Edmund.

— Che Dio ti benedica, figlio di Adamo. Come ti vengono in mente certe cose? — esclamò il signor Castoro con una gran risata. — Di pietra lui? Come se fosse facile. Sarà molto se la regina riuscirà a resistere al suo sguardo. No, no. Aslan sistemerà tutto, anche lei. C’è un’antica profezia che dice esattamente così:

Il dolore sparirà, quando Aslan comparirà;

al digrignare dei suoi denti fuggon tutti i malviventi;

quando romba il suo ruggito, gelo e inverno è ormai finito;

se lui scuote la criniera, qui ritorna primavera.

— Lo vedremo anche noi? — chiese Susan.

— Ma certo, figlia di Eva. È per questo che siete qui. Io vi porterò da lui. Conoscerete il grande Aslan.

— È un uomo? — chiese Lucy.

— Aslan un uomo? — fece il signor Castoro, con un’espressione quasi costernata. — No di certo. Vi ho detto che è il re del bosco, figlio del grande imperatore d’Oltremare, no? Non sapete, dunque, chi è il re di tutti gli animali? Aslan è un leone, anzi, è il grande leone.

— Oh, credevo fosse un uomo — esclamò Susan. — E non è pericoloso? Io non mi sento molto tranquilla all’idea di incontrare un leone. Credo che avrò paura.

— Ma certo che avrai paura, mia cara — intervenne dolcemente la signora Castoro. — Se c’è qualcuno che può comparirgli davanti senza tremare o è il più coraggioso che ci sia al mondo, o è semplicemente uno sciocco.

— Ma non è innocuo? — chiese Lucy.

— Innocuo? — ripeté il signor Castoro, con fare sorpreso. — Non hai sentito cosa ha detto mia moglie? È grande e terribile, ma è buono. È terribile, ma giusto. È il re.