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Alla fine Edmund cominciò a chiedersi come mai il leone rimanesse immobile (non aveva mosso neanche un muscolo!). Si arrischiò a fare un passo avanti, badando di tenersi nell’ombra, e si accorse che il leone mirava non a lui, ma a qualcun altro: a un nano che stava a meno di un metro dalla belva, voltandogli le spalle ed evidentemente ignaro della sua presenza.

"Appena si slancia su di lui, io me la svigno" progettò Edmund. "A meno che il leone non volti la testa e mi veda."

Ma non si muoveva affatto, e neppure il nano. Fu allora che Edmund si ricordò dei discorsi sulla regina che trasformava chiunque in statue di pietra.

— Forse sono di pietra anche questi — esclamò, e si accorse che sulla schiena del leone, sulla criniera e perfino sul naso c’era della neve gelata. Nessun animale avrebbe sopportato di tenersi addosso la neve ghiacciata. — È una statua — sospirò Edmund con immenso sollievo.

Lentamente, con il cuore che batteva come se volesse scoppiargli in petto, Edmund si avvicinò al leone ma non si arrischiò a toccarlo subito, e quando finalmente trovò il coraggio allungò un dito e uno solo: pietra. Si era fatto spaventare da un leone di pietra.

Edmund riprese coraggio e, nonostante il freddo, un benefico senso di calore lo invase dalla testa ai piedi. Nello stesso tempo gli balenò un pensiero che gli parve più confortante ancora: "Forse è proprio il terribile Aslan di cui parlavano quei tali, sulla diga. Lei deve averlo trasformato in statua. La storia del grande leone è finita male: chi avrebbe paura di un Aslan? Puah."

Restò a fissare il leone di pietra, poi fece qualcosa di veramente sciocco, da ragazzino stupido. Tirò fuori un mozzicone di matita che aveva in tasca e scarabocchiò un paio di baffi sul muso del leone e un paio di occhiali a cavallo del naso. Infine esclamò: — Ebbene, vecchio scemo di un Aslan, come ti senti a essere di pietra? Ti credevi invincibile, vero?

Ma nonostante i baffi da bellimbusto e gli occhiali, il leone di pietra aveva un aspetto maestoso, grave e terribile oltre che un po’ triste. Edmund non provò gusto a sbeffeggiarlo, gli voltò le spalle in fretta e lo lasciò a fissare il chiaro di luna. Arrivato nel centro del grande cortile, si guardò intorno e vide decine e decine di statue di pietra disseminate senza ordine apparente, come le figure degli scacchi su una scacchiera abbandonata a metà partita. C’erano lupi e orsi, volpi e giaguari di pietra. C’erano graziose figure che sembravano ragazze ma erano ninfe del bosco, spiriti degli alberi e dei fiumi. C’erano un centauro, un cavallo alato e una forma lunga e flessuosa che a Edmund sembrò un drago o qualcosa di simile. Ed erano immobili come sono le statue, ma così perfettamente naturali che il colpo d’occhio sul cortile avrebbe fatto venire i brividi a chiunque.

Proprio nel mezzo c’era un personaggio simile a un uomo ma alto come un albero, la faccia burbera, barba ispida e una gran clava nella mano destra. Pur sapendo che il gigante era pietrificato come gli altri, Edmund non ebbe il coraggio di passargli davanti.

In fondo al cortile c’era una luce che veniva da una porta aperta; per arrivarci Edmund dovette salire una breve scalinata e vide che sulla soglia era sdraiato un grosso lupo.

"È solo un lupo di pietra" pensò. "Non può certo farmi del male."

E sollevò un piede per scavalcarlo. Immediatamente il bestione si alzò, drizzò i peli sul filo della schiena e mostrò i denti. Poi disse: — Chi va là? Chi sei, straniero e cosa vuoi?

— Pre-prego, signor lupo — balbettò Edmund tremando al punto da non saper cosa dire. — Io sono… il mio nome… mi chiamo Edmund. Sono quel figlio di Adamo che Sua Maestà ha incontrato l’altro giorno nel bosco. Sono venuto ad avvertirla che mio fratello e le mie due sorelle sono qui a Narnia. È stata lei a dirmi che li portassi, perché vuole vederli.

— Riferirò a Sua Maestà — fece Maugrim, cioè il lupo, che era anche il capo della Polizia segreta. — Tu non muoverti da dove sei. Se ci tieni alla pelle, non oltrepassare quella soglia.

Edmund non si spostò di un millimetro: aveva le dita irrigidite dal freddo al punto che gli facevano male e il cuore gli batteva in petto come se volesse scoppiare. Poi il lupaccio tornò: — Entra — ordinò. — Sei fortunato, la regina ha accettato di riceverti… o forse non è una fortuna. Entra.

Edmund entrò, badando di tenersi alla larga dalle zanne e dalle unghie del lupo Maugrim. Venne dunque in un salone immenso, circondato da un gran numero di colonne e pieno di statue come in cortile. Vicino alla porta c’era la statua di un giovane fauno con il viso straordinariamente triste. Edmund non poté fare a meno di chiedersi se non si trattasse del fauno che era diventato amico di Lucy.

Il salone era illuminato da un’unica lampada presso la quale sedeva la Strega Bianca. Edmund si precipitò verso di lei e con fare ansioso disse: — Sono tornato, Maestà. Eccomi.

— Solo? — chiese la strega con voce terribile. — Come osi presentarti a me, solo! Non ti avevo ordinato di venire con gli altri?

— Maestà, ho fatto del mio meglio — rispose Edmund, mettendosi di nuovo a balbettare dalla paura. — Li ho portati il più vicino possibile. Sono nella casa del signor Castoro, in cima alla diga.

— E sono tutte qui le novità?

— No, Maestà — si affrettò a dire il ragazzo. E le raccontò quello che aveva sentito dire prima di sgattaiolare dalla casetta dei castori.

— Cosa? Aslan? — gridò la regina. — Aslan è qui? Ma è proprio vero? Se scopro che mi hai mentito…

— Maestà, io ripeto quello che hanno detto — farfugliò Edmund.

Ma la regina non lo ascoltava più. Batté le mani con fare imperioso e davanti a lei comparve lo stesso nano che Edmund aveva visto la prima volta.

— Prepara la slitta — ordinò la strega. — Ma non usare i finimenti con i campanelli.

10

L’incantesimo comincia a svanire

Ora dobbiamo tornare alla coppia di castori e ai tre ragazzi che si preparavano ad abbandonare la casetta sulla diga. Non appena il signor Castoro annunciò che non c’era tempo da perdere, i ragazzi corsero a infilarsi le pellicce, ma naturalmente non la signora Castoro. Anzi, quest’ultima cominciò a tirar fuori certi sacchi e a riempirli in fretta, dicendo: — Per favore, marito mio, tirami giù il prosciutto. Prendi quel pacchetto di tè, passami i fiammiferi, dammi anche un po’ di zucchero. Le pagnotte sono là, in quella madia, chi me le porta? Grazie, grazie.

— Cosa fa, signora? — chiese Susan al colmo della meraviglia.

— Faccio i bagagli. Non vorrai che ci mettiamo in viaggio senza qualche provvista, no?

— Ma non abbiamo un minuto da perdere — ribatté Susan, abbottonandosi la pelliccia. — Non dobbiamo… Lei può essere qui da un momento all’altro.

— È quello che dico anch’io — sbuffò il signor Castoro.

— Va’ là, va’ là, marito — ribatté l’altra senza minimamente scomporsi. — Pensaci bene e capirai che non sarà qui prima di un quarto d’ora almeno.

— E non dovremmo prenderci un po’ di vantaggio? — intervenne Peter. — Non dobbiamo arrivare alla Tavola di Pietra prima della strega?

— Appena arriverà e vedrà che siamo andati via, cosa credete che farà? — chiese Susan rivolgendosi a tutti. Poi, avvicinandosi alla signora Castoro, disse: — Mia cara signora, quella ci inseguirà rapida come il vento.

— Oh, certo — rispose l’altra, e aggiunse imperturbabile: — Arriverà anche prima di noi. Lei ha la slitta e noi andiamo a piedi.