— E allora? — domandò Susan. — Non c’è nessuna speranza?
— Non ti agitare — rispose la signora Castoro. — Dammi sei fazzoletti puliti, sono là nel cassettone. Una speranza c’è, ovviamente. Non di arrivare prima di lei, ma di arrivare senza cadere nelle sue mani. Passeremo per sentieri nascosti, dove non penserebbe mai di venire a cercarci. E forse ce la caveremo.
— Hai ragione, moglie mia — confermò il vecchio signor Castoro. — Ma sbrighiamoci lo stesso.
— Non metterti a far confusione anche tu — lo rimboccò subito la moglie. — Là, ecco fatto. Questi sono quattro bei fagotti e uno più leggero, per la più piccolina.
Così dicendo consegnò a Lucy la sua parte di peso da portarsi dietro.
— Oh, per favore, andiamo ora! — supplicò Lucy.
— Be’, ormai sono quasi pronta — sospirò la signora Castoro, e lasciò che il marito l’aiutasse a infilare gli stivaletti da neve. Poi aggiunse: — Credi che la macchina per cucire sia troppo pesante?
— Senza dubbio — tagliò corto il marito. — La macchina per cucire resta qui, è ingombrante. Pensi che avrai bisogno di cucire per strada?
— Non è questo — sospirò la moglie. — È che non riesco a sopportare l’idea che la strega ci metta le mani sopra. Forse me la porterà via, o peggio ancora la farà a pezzi!
— Andiamo immediatamente — esclamarono in coro i tre ragazzi.
Finalmente uscirono tutti. Sulla porta di casa la signora Castoro perdette ancora qualche istante per chiudere a doppia mandata.
— Così la strega ci metterà un bel po’, prima di entrare — disse, e tutti si avviarono caricando i fagotti sulle spalle.
In quel momento non nevicava più ed era apparsa la luna. La piccola comitiva procedeva in fila indiana: davanti il vecchio signor Castoro, poi Lucy, Peter, Susan e, per ultima, la signora Castoro.
Attraversarono la diga, raggiunsero la riva destra del fiume e proseguirono lungo una specie di sentiero tracciato tra i cespugli e gli alberi folti, ma sempre costeggiando il fiume. Dopo un po’, sulla riva opposta apparve la valletta in fondo alla quale si ergeva il castello della Strega Bianca.
— Teniamoci alla larga — disse il vecchio signor Castoro, indicando le torri che scintillavano in lontananza al freddo splendore della luna. — È meglio fare il giro più lungo rimanendo tra i cespugli, perché con la slitta qui non può venire. Dovrà tenersi sul sentiero alto, sul crinale dei colli.
Il paesaggio notturno era molto bello e sarebbe stato meraviglioso poterlo ammirare da una casa comoda e riscaldata, seduti in poltrona, vicino alla finestra. Ma anche camminando nella neve, con il fagotto sulle spalle, la piccola Lucy si godette il primo tratto di strada come se si trattasse di una gita.
Cammina cammina, a un certo punto Lucy smise di guardarsi intorno e cominciò a chiedersi se ce l’avrebbe fatta ancora, con il fardello che sembrava più pesante ogni minuto. Alzò gli occhi ad ammirare le stelle innumerevoli e la luna d’argento nel cielo, poi le alte cime degli alberi scintillanti di neve e giù, giù, la cascata di ghiaccio lucente e il fiume serpeggiante. Poi riabbassò lo sguardo e vide davanti a sé le zampe del signor Castoro che continuava a camminare, pad-pad-pad-pad, tranquillo e instancabile come se non dovesse fermarsi più.
La luna scomparve dietro le nubi e dopo poco riprese a nevicare. Lucy si sentiva ormai troppo stanca, andava avanti quasi meccanicamente e le pareva di dormire camminando.
Improvvisamente si accorse che il signor Castoro aveva cambiato direzione e ora li guidava su per una collina molto ripida, dove i cespugli erano folti che più non si poteva. Poi lo vide infilarsi in un grande buco che lei aveva notato solo all’ultimo momento, ma la piatta coda della creatura già spariva dentro. Lucy lo seguì pronta e dovette chinarsi un poco: intanto dietro di lei veniva il rumore di altri passi e un continuo sbuffare e ansare. Capì che gli altri avevano imitato il suo esempio e quello del signor Castoro.
— Dove siamo finiti? — chiese Peter, la cui voce risuonava nel buio come se fosse stanca e "pallida" (voi capite cosa intendo, vero?).
— È un vecchio nascondiglio che solo i castori conoscono — rispose la bestiola. — Non è un bel posto, ma è davvero segreto e abbiamo bisogno di riposare. Dormiremo un poco e poi riprenderemo il viaggio.
— Ecco! — esclamò sua moglie in tono irritato. — Se non mi avessi fatto tanta confusione mi sarei ricordata di portare dei cuscini.
Lucy trovò che la caverna non fosse ampia e graziosa come quella del signor Tumnus, ma sarebbero stati all’asciutto e al caldo.
Quando si sdraiarono per dormire (e formarono davvero un gran mucchio di pellicce) la signora Castoro tirò fuori una fiaschetta e la passò in giro perché tutti bevessero un sorso del "qualcosa" che c’era dentro, qualcosa che prima ti faceva tossire e bruciava in gola, poi ti dava un senso di benessere e calore che aiutava il sonno. Lucy ebbe appena il tempo di sospirare tra sé: — Ah, se il terreno fosse un po’ più soffice — che già era bell’e addormentata, e come lei tutti gli altri.
Un minuto dopo (ma in realtà erano passate ore e ore) ebbe una sensazione di freddo e sentì qualcosa di rigido e pungente che le sfiorava la guancia. Intuì vagamente che erano i baffi del signor Castoro, il quale si era alzato, diremo così, dal letto. Fuori della caverna vide la luce del giorno; gli altri si erano svegliati e messi a sedere, e avevano la bocca aperta e gli occhi spalancati come se ascoltassero qualcosa in lontananza.
Lucy si sentiva irrigidita e quasi incapace di muovere un dito. La prima cosa che pensò con chiarezza fu che le sarebbe piaciuto fare un bagno caldo, poi si tirò su anche lei. Aveva percepito un suono che presto o tardi tutti avevano temuto di sentire: l’allegro, caratteristico scampanio di una slitta trainata da renne bardate con campanellini chiassosi.
Il vecchio signor Castoro era già schizzato fuori dalla caverna e Lucy si meravigliò che avesse fatto una cosa tanto stupida. Ma forse avrete già capito che la coraggiosa creatura aveva preso una decisione sensata. Sapeva che avrebbe potuto strisciare tra i cespugli, portarsi sulla riva del fiume e vedere senza essere visto da quale parte arrivasse la slitta della strega. Gli altri rimasero in attesa, con il fiato sospeso.
Aspettarono non più di cinque minuti, poi ebbero un gran spavento perché sentirono delle voci.
— Si è fatto prendere! — esclamò Lucy. — La strega lo ha visto e lo ha preso. — Ma con sua grande sorpresa era proprio il signor Castoro che gridava: — Tutto bene, moglie, vieni fuori. E venite anche voi, figli e figlie di Adamo. Non c’è mica lei!
Il signor Castoro, lo avrete notato, si era preso qualche libertà con la grammatica, ma quando sono eccitati i castori parlano un po’ a casaccio: quelli di Narnia, naturalmente, perché i nostri non parlano affatto.
Uscirono in gruppo dalla caverna, sbattendo le palpebre per l’improvviso passaggio dal buio alla luce. Avevano l’aspetto di chi ha dormito sulla nuda terra: erano coperti di polvere, con foglie secche tra i capelli spettinati e gli occhi appiccicosi per il sonno.
— Venite, venite — continuava il signor Castoro, ballando dalla contentezza. — Guardate chi c’è. Questo sì che è un brutto colpo per la Strega Bianca. Il suo potere comincia a svanire, altroché.
— Che significa? — chiese Peter, che era stato il primo ad avvicinarsi.
— Non ti ho detto che lei ci ha portato l’inverno, sempre inverno e mai Natale? Ora vieni a vedere.
Quando raggiunsero la cima della collina si accorsero che si avvicinava una bella slitta tirata da due grandi renne con i finimenti tintinnanti di campanellini. Non erano renne bianche come quelle della strega, ma brune e possenti. Sulla slitta, molto più ampia di quella della Strega Bianca, sedeva un personaggio che bastava dargli un’occhiata per capire di chi si trattasse. Era un uomo grande e molto grasso, con un vestito rosso come le bacche dell’agrifoglio, il cappuccio foderato di pelliccia bianca e una gran barba che gli cadeva sul petto come una cascata di candida schiuma. I ragazzi lo riconobbero subito perché nel nostro mondo (il mondo al di qua dell’armadio) tutti ne parlano e spesso ne fanno ritratti o imitazioni. Ma vederlo in carne e ossa — cosa che può capitare solo a Narnia — be’… era tutta un’altra cosa.