— Bada a camminare, tu. Non guardare in giro — gridò il nano, con un violento strattone che torse malignamente la corda.
Ma Edmund non poteva impedirsi di vedere quello che aveva davanti agli occhi. Più in là, ecco un grande albero ai piedi del quale spuntavano i fiori del croco nei loro splendidi colori bianco, viola e giallo dorato. E infine non si trattò solo di vedere, ma di sentire: era un suono più delizioso del mormorio dell’acqua corrente. Sul ramo di un albero un uccellino cinguettò e un altro gli rispose da lontano. Fu come un segnale: in pochi minuti si levarono altri cinguettii e altri trilli e gorgheggi, prima sommessi e timidi, poi sempre più sicuri e sonori. Il bosco echeggiò di una melodia meravigliosa: bastava che Edmund girasse un momento lo sguardo ed ecco apparire un uccello su un ramo, un altro che volteggiava nell’aria ad ali spiegate, altri due che si inseguivano saltellando o semplicemente si lisciavano le piume col becco.
— Più in fretta. Più in fretta! — gridava la strega.
La nebbia era ormai sparita del tutto. Il cielo era di un bell’azzurro intenso, solcato di tanto in tanto da un’ultima nuvoletta frettolosa. Nelle radure fiorivano primule a migliaia. Una brezza leggera e profumata accarezzava il volto dei tre viaggiatori, spruzzandoli di goccioline cadute dai rami. Gli alberi tornavano alla vita: larici e betulle mostravano le prime gemme di un pallido verde, i maggiociondoli si coprivano di germogli color oro, sui faggi spuntavano le foglioline e l’aria nel complesso sembrava verdeggiare. Un’ape attraversò il sentiero, ronzando.
— Questo non è il disgelo — gridò a un tratto il nano, fermandosi di botto. — Questa è la primavera! — Poi si rivolse alla sua padrona e chiese: — E adesso? Cosa facciamo? L’inverno se n’è andato. Questa è opera di Aslan.
— Se pronunci ancora quel nome… — lo interruppe la strega. — Se pronunci quel nome ti ammazzo.
12
La proma battaglia di Peter
Mentre il nano e la strega dicevano queste cose, i castori e i ragazzi continuavano nella marcia, con l’impressione di avanzare in un sogno delizioso. Di ora in ora l’aria si faceva più tiepida, finché i ragazzi rinunciarono alle pellicce. Ogni tanto si fermavano un attimo per dire: — Oh, guarda le campanule! — oppure: — Un martin pescatore, là sul fiume!
— E senti questo tordo! — oppure: — Cos’è questo profumo?
— Sono mughetti…
A volte proseguivano per lunghi tratti in silenzio, come estasiati. Passavano dai prati assolati ai freschi, ombrosi boschetti; dalle radure in cui crescevano i grandi olmi che ostentavano le prime fronde, ai gentili pergolati di foglie tenerelle; dai cespugli di ribes ai sentieri fiancheggiati dal biancospino. Talvolta il profumo era persino eccessivo. Vedendo che l’inverno cedeva così rapidamente il passo alla primavera, e che il bosco passava dal gelo di gennaio ai fiori di maggio nel giro di poche ore, i tre ragazzi furono sorpresi quanto Edmund. Non sapevano che era l’effetto dell’avvicinarsi di Aslan (come invece sapeva molto bene la strega), ma intuivano che qualcosa era andato storto nel tremendo incantesimo che aveva fatto durare l’inverno così a lungo. Inoltre, si resero conto che con il disgelo la loro nemica non avrebbe più potuto approfittare della slitta. Per questo rallentarono l’andatura e si concessero pause sempre più frequenti e più lunghe. Erano stanchi, naturalmente, ma non penosamente stanchi. Direi piuttosto che erano infiacchiti, come succede a volte dopo una giornata trascorsa all’aperto: provavano una sensazione di sognante languore. Susan, però, aveva una vescichetta sul tallone.
Già da tempo si erano allontanati dal fiume perché la strada li portava verso est (per raggiungere la Tavola di Pietra avevano dovuto piegare a destra); ma se anche non fosse stata la direzione giusta, sarebbero stati costretti ad abbandonare il fiume in ogni caso: con tutta la neve che si era sciolta in poco tempo, il letto era diventato gonfio e tumultuoso e aveva straripato per larghi tratti, cancellando i sentieri.
Ora il sole cominciava a scendere, s’era fatto più rosso e sul terreno si disegnavano ombre più lunghe, mentre i fiori pensavano che fosse venuto il momento di chiudere le corolle e prepararsi a dormire.
— Non manca molto — annunciò a un tratto il signor Castoro, guidando il gruppo su per un’altra collina e giù in una valle in cui crescevano solo alberi altissimi, ma il cui tappeto di soffice muschio era un riposo per i piedi stanchi; quindi affrontarono un’altra ripida salita. La piccola Lucy si domandò se ce l’avrebbe fatta ad arrivare in cima senza prima riposarsi un poco, quand’ecco che arrivarono alla meta.
Si trovavano in un grande spazio aperto che dominava la foresta verde, estesa a perdita d’occhio in tutte le direzioni tranne a est. Laggiù, a oriente, qualcosa brillava e palpitava in lontananza.
— Mio Dio — mormorò Peter a Susan. — Il mare!
Proprio sulla vetta della collina sorgeva la Tavola di Pietra: una lastra grigia, dall’aspetto un po’ rozzo, sostenuta da quattro macigni dello stesso colore. La tavola era molto vecchia e coperta di strani segni che avrebbero potuto essere lettere di un alfabeto sconosciuto. A guardarli si provava una sensazione del tutto particolare, inspiegabile.
Poi videro una tenda eretta in lontananza: era meravigliosa, soprattutto ora che i raggi del tramonto ne illuminavano le bande di seta gialla, i cordoni di velluto cremisi e i paletti d’avorio. Sulla tenda sventolava una bandiera con un leone rampante in campo rosso. Mentre i ragazzi osservavano estasiati, la brezza del mare che agitava il vessillo si allungò a carezzare i loro visi; ed ecco che dal lato opposto sentirono arrivare una musica. Si voltarono in quella direzione e videro l’essere che erano venuti a incontrare.
Aslan stava al centro di una folla di creature che gli si erano raggruppate intorno, formando una mezzaluna. Le fanciulle degli alberi e le fanciulle delle sorgenti (quelle che noi chiamiamo driadi e naiadi) tenevano in mano strumenti a corda da cui traevano musica soave. C’erano quattro grandi centauri, per metà cavalli di proporzioni gigantesche e metà uomini altrettanto imponenti, dall’espressione calma e grave. C’erano un toro con la testa d’uomo, un unicorno, un pellicano, un’aquila e un cane, gigantesco anche quello. Accanto ad Aslan stavano due leopardi, uno dei quali gli portava la corona e l’altro lo stendardo.
In quanto a lui, Aslan, i ragazzi rimasero a guardarlo senza sapere cosa dire o fare. Chi non è mai stato nel regno di Narnia non può rendersi conto di come una creatura possa essere buona e terribile allo stesso tempo. Anche se i tre.ragazzi non avevano mai pensato a cose del genere, ora se ne rendevano conto perfettamente. Quando tentarono di fissare Aslan, riuscirono a cogliere per un attimo la visione di una gran criniera dorata e due grandi occhi splendenti dall’espressione grave e solenne, veramente regale; poi abbassarono lo sguardo, intimiditi.
— Andiamo, su — mormorò il vecchio signor Castoro.
— Vada avanti lei, signor Castoro — disse Peter.
— Oh, no. Prima i figli di Adamo e poi gli animali.
— Allora vai tu, prima le donne — bisbigliò Peter rivolgendosi a Susan.
— No, il maggiore sei tu. Tocca a te — rispose lei.
Peter capì che Susan aveva ragione e che, indugiando, le cose diventavano solo più difficili. Perciò sguainò la spada e alzandola in segno di saluto, mormorò: — Su, coraggio, venitemi dietro. — Poi, avviandosi verso il maestoso leone, aggiunse: — Aslan, noi siamo qui per…