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— Ferma! — ordinò la signora.

Il nano tirò le redini con tanta forza che le renne si bloccarono sul colpo.

— Che cosa sei? — domandò imperiosamente la signora, fissando su Edmund uno sguardo gelido.

— C-cosa… s-sono? Mi chiamo Edmund — rispose lui goffamente. Non gli piaceva essere guardato in quel modo.

— È questo il modo di parlare con una regina? — chiese ancora lei, accigliandosi.

— Mi scusi, Maestà, non lo sapevo — balbettò Edmund.

— Non conosci la regina di Narnia? Ah. Mi conoscerai meglio in seguito, vedrai — esclamò lei, poi riprese: — Ma chi sei? Cosa sei?

— Mi scusi, Maestà, ma non capisco la domanda — rispose Edmund. — Sono uno che va a scuola. Ma oggi è vacanza. Cioè, andavo a scuola. Ora sono in vacanza.

4

Le gelatine di frutta

— Cosa sei? — ripeté la regina. — Un nano più alto degli altri a cui hanno tagliato la barba?

— No, Maestà — rispose Edmund. — Non ho mai avuto la barba. Sono ancora un ragazzo.

— Un ragazzo! — esclamò la signora. — Vuoi dire che sei un figlio di Adamo?

Edmund rimase fermo e zitto. Era troppo confuso per capire il senso della domanda.

— Chiunque tu sia, sei un idiota e lo vedo — scattò la regina. — Rispondimi, una volta per tutte, o perderò la pazienza. Sei un essere umano?

— Sì, Maestà — rispose subito Edmund.

— E come hai fatto a entrare nei miei dominii, se è lecito?

— Maestà, sono entrato dal guardaroba.

— Guardaroba? Che vuol dire?

— Io… io ho aperto una porta e mi sono trovato qui.

— Ah — esclamò la regina, come parlando a se stessa. — Una porta. Una porta sul mondo degli uomini. Ho già sentito parlare di queste cose, possono rovinare tutto. Ma è uno solo, facile da trattare.

Così dicendo si era alzata in piedi, fissando bene in faccia Edmund. I suoi occhi fiammeggiavano. Alzò la bacchetta dorata che teneva sempre in mano ed Edmund fu certo che stesse per capitargli qualcosa di terribile, ma sembrava che non riuscisse più a muoversi. Si dava già per perso, quando la regina tutt’a un tratto cambiò idea.

— Mio povero ragazzo — disse con voce completamente diversa. — Mi sembri impietrito dal freddo. Vieni a sederti vicino a me sulla slitta. Ti coprirò con il mantello e faremo due chiacchiere.

La proposta non gli piaceva affatto, ma Edmund non osò disobbedire. Salì sulla slitta e sedette ai piedi della regina, che gli buttò addosso un lembo del suo mantello di pelliccia e glielo rimboccò ben bene da tutte le parti.

— Vuoi bere qualcosa di caldo? — chiese lei.

— Grazie, Maestà — rispose Edmund che batteva i denti dal freddo.

La regina tirò fuori una fiaschetta che pareva fatta di rame, allungò il braccio e lasciò cadere vicino alla slitta una goccia del suo contenuto. Edmund vide la goccia brillare a mezz’aria, fulgida come un diamante, ma quando toccò il suolo coperto di neve ci fu un sibilo e un attimo dopo, al suo posto, c’era una coppa tempestata di gemme preziose e piena di un liquido fumante. Il nano la prese immediatamente e la porse al ragazzo facendo un bell’inchino, ma con un sorriso tutt’altro che simpatico.

Appena sorseggiata la bevanda calda, Edmund si sentì meglio: non aveva mai assaggiato niente di simile. Era dolce, cremosa e con tanta schiuma in superficie. Ebbe l’effetto di riscaldarlo bene, dalla testa alla punta dei piedi.

— Figlio di Adamo, non è bello bere senza mangiare nulla — disse allora la regina. — Cosa ti piacerebbe?

— Mangerei volentieri delle gelatine di frutta, maestà — rispose lui.

La regina allungò di nuovo il braccio e lasciò cadere un’altra goccia di liquido. Subito, sulla neve apparve una grande scatola rotonda, legata con un nastro di seta verde. Era piena dei più bei dolci che Edmund avesse mai visto: saranno stati almeno due chili. Ognuno era semplicemente perfetto: chiaro e trasparente sotto il velo di zucchero, leggero, gommoso al punto giusto e squisito. Edmund non ne aveva mai mangiati di così buoni. Quel che si dice una delizia, come ne sanno preparare solo in Turchia.

Mentre Edmund mangiava le gelatine di frutta una dopo l’altra, la regina cominciò a fargli domande una dopo l’altra. All’inizio Edmund cercò di non parlare con la bocca piena, ma presto dimenticò questa regola fondamentale della buona creanza e badò a ingozzarsi più che poteva. Intanto rispondeva alle domande, senza chiedersi perché la regina fosse tanto curiosa. Raccontò di avere una sorella e un fratello maggiori e una sorellina minore che era stata a Narnia per puro caso, incontrandovi un fauno gentile.

La regina sembrò colpita soprattutto dal fatto che Edmund avesse tre fratelli e chiese ancora: — Siete proprio in quattro? Ne sei certo?

— Sì, Maestà.

— Due figli di Adamo e due figlie di Eva? Non uno di più o uno di meno?

— Gliel’ho già detto — esclamò Edmund, dimenticando di parlare con il dovuto rispetto a "Sua Maestà".

Quando le gelatine di frutta furono finite Edmund fissò la scatola vuota, sperando che lei chiedesse se ne voleva ancora. La regina conosceva benissimo il desiderio del ragazzo, perché i dolci erano stregati e chiunque ne mangiasse una volta continuava a volerne fino a scoppiare. Ma questa volta era diverso: la regina voleva delle risposte.

Quando ebbe finito di interrogarlo bene e fu sicura che solo Edmund e Lucy fossero entrati nel suo regno, mentre Peter e Susan ne conoscevano l’esistenza per sentito dire, cominciò a fargli certe proposte.

— Mi piacerebbe conoscere tuo fratello e le tue sorelline. Perché non li porti da me?

— Ci proverò — disse Edmund, sempre fissando la scatola vuota.

— Se tornerai, con gli altri naturalmente, ti preparerò tante belle gelatine di frutta. Ora non mi è possibile, perché la magia funziona una volta soltanto. A casa mia, invece, è tutta un’altra cosa.

— Perché non ci andiamo subito? — chiese Edmund.

— È un posto incantevole, quello dove abito — disse la regina. — Ti piacerà. E poi, ci sono sale intere piene di gelatine di frutta e non ho figli miei. Vorrei averne uno come te, per educarlo come un principe e farlo diventare re, quando io non ci sarò più. Re di Narnia. Ma come principe dovrebbe portare una corona d’oro in testa e mangiare gelatine da mattina a sera. Ti farò diventare principe quando mi avrai portato gli altri.

— Perché non subito? — chiese ancora Edmund.

— Come faresti a guidarli da me? Io voglio conoscerli bene. Tu sarai principe e prima o poi re; tuo fratello diventerà duca e le tue sorelle duchesse.

— Oh, non c’è niente d’interessante in quei tre — esclamò Edmund. — E in ogni modo, potrei andarli a prendere in qualsiasi momento.

— No, no. — La regina scosse la testa. — Staresti così bene a casa mia, ti divertiresti tanto da dimenticare tutto. Tornare indietro a prendere tuo fratello e le tue sorelle ti sembrerebbe una seccatura: non lo faresti più. Perciò è meglio che torni indietro subito, verrai qui insieme a loro. Ma se torni da solo è inutile, capito?

— Io non conosco la strada — si lamentò Edmund.

— Presto fatto — rispose la regina. Poi, indicando il lampione sotto il quale si erano incontrati il fauno e Lucy, aggiunse: — Dritto per di là, vedi?, c’è il mondo degli uomini. Adesso voltati nella direzione opposta e dimmi se riesci a vedere le due collinette che spuntano tra gli alberi.

— Sì — rispose Edmund. — Le vedo.

— Ebbene la mia casa è proprio là, tra le due colline. La prima volta che tornerai, non avrai che da metterti sotto il lampione e cercare davanti a te le due colline. Attraversato il bosco ci arriverai direttamente. Ma ricordati, se tornerai solo mi arrabbierò moltissimo.