Sandy non ne fu né sorpreso né rassicurato. Si fermarono davanti alla rampa che conduceva al garage, dove Marguery mostrò un distintivo metallico alla guardia, quindi discesero la rampa fino al garage sotterraneo.
Hamilton Boyle li stava aspettando davanti alla porta dell’ascensore. — Da questa parte — ordinò a Sandy indicando un ingresso dalla volta arcuata. Marguery non disse nulla, limitandosi a fare cenno a Sandy affinché la precedesse. Non appena ebbe passato l’ingresso, Sandy vide una donna in uniforme che scrutava uno schermo, e solo allora si rese conto che lo avevano appena controllato per vedere se non avesse per caso armi addosso.
— Che cos’è questa storia? — domandò.
— Ora vedrai — rispose Boyle. — Dobbiamo salire fino al terzo piano.
Quando furono nell’ascensore, Marguery prese la mano di Sandy e la strinse. Boyle non poté fare a meno di notarlo, ma non disse nulla. Quando si aprirono le porte dell’ascensore, i tre si trovarono di fronte un’altra donna in uniforme, alta e piuttosto anziana, che portava una pistola alla cintura. La donna fece un cenno di assenso a Boyle e premette un pulsante davanti al suo pannello di controllo. Un cancello metallico si aprì silenziosamente alla loro destra, scivolando nel muro, e i tre vi passarono attraverso.
Una guardia armata! Una porta di prigione! Sandy aveva visto certe cose solo alla televisione, ma sapeva benissimo che cosa significassero.
A quel punto lasciò la mano di Marguery e si girò verso Hamilton Boyle. — Mi state arrestando? — domandò.
Boyle gli rivolse uno sguardo perplesso. — E perché mai dovrei fare una cosa del genere? — domandò. — Stiamo dalla stessa parte… o almeno lo spero.
— Allora perché tutto questo?
— Voglio mostrarti una cosa — disse Boyle con tono serio, precedendoli dentro una stanza. Al centro della stanza vi era un grosso tavolo da conferenza circondato da una serie di sedie. Una parete era occupata quasi interamente da un grosso schermo televisivo. — Accomodati — aggiunse mentre prendeva posizione dietro a una console.
Le luci della stanza si spensero, e Sandy rivolse lo sguardo verso Marguery, che gli restituì un piccolo sorriso per niente rassicurante. Poi venne acceso lo schermo.
Stavano nuovamente osservando la grande nave hakh’hli. L’immagine era chiara e nitida come lo era stata in precedenza, solo che la nave era diversa.
Evidentemente perplesso, Sandy si produsse in una smorfia. Una nuova struttura era stata aggiunta alla chiglia della nave, una struttura ancora incompleta che però stava iniziando ad assumere una forma ben definita. Si potevano intravedere anche degli operai extraveicolari hakh’hli che si davano da fare con dei piccoli veicoli per spostare delle paratie o dei gusci metallici.
— Ecco qua, Lisandro — disse Boyle. — Hanno iniziato a costruirlo ieri. Hai per caso idea di che cosa possa trattarsi?
Sandy scosse il capo.
— Non lo hai mai visto prima d’ora? — insistette Boyle.
— No — rispose Sandy. — Ma del resto, come avrei potuto? Qualunque cosa sia, ha un aspetto molto delicato, e quindi non è possibile che sia stato montato mentre la nave era in movimento. Avrebbe avuto bisogno di una serie di sostegni, altrimenti si sarebbe disintegrato nel giro di pochi secondi.
— Può anche darsi che si tratti di qualcosa di cui non hanno avuto bisogno in precedenza — commentò Boyle.
— Ma può anche essere qualcosa di totalmente inoffensivo — intervenne Marguery. — Se non ricordo male, gli hakh’hli hanno anche parlato di proiettare sulla superficie un raggio di energia sotto forma di microonde. Potrebbe trattarsi di un’antenna intesa proprio a questo scopo.
Nella semioscurità della sala, Boyle si girò per fissarla. — E tu ci credi?
Marguery si limitò a scrollare le spalle, rivolgendo lo sguardo in direzione di Sandy.
— Io non credo che sia questo lo scopo — disse Sandy. — La trasmissione di energia non è la mia specializzazione, ma l’ho studiata un poco e credo che usino un’antenna di tipo diverso per quello scopo.
— Allora di che cosa si tratta? — insistette Boyle. — È molto grande, Lisandro. Non ho mai visto un’antenna di quelle dimensioni. È persino più grande del vecchio disco di Arecibo. — Si concesse una pausa, poi sparò la sua domanda in tono brutale: — È un’arma?
— Un’arma? — ripeté Sandy scandalizzato. — Certo che no! Per quel che ne so io, gli hakh’hli non possiedono alcun tipo di armamento. Per loro, uno degli aspetti più negativi degli esseri umani della Terra è proprio il fatto che usino… cioè che usiamo, un sacco di armi. Non riesco a credere che possano farne uso anche loro. — Scosse il capo con vigore. — No. Credo che abbia ragione Marguery: probabilmente si tratta di un trasmettitore di microonde, solo di un tipo diverso rispetto a quelli che ho avuto modo di vedere io…
— Ma Sandy… — disse Marguery con un sospiro allungando nuovamente una mano per prendere la sua — anche un trasmettitore di microonde potrebbe essere usato come un’arma, non credi? Riesci a immaginare i danni che potrebbe provocare un raggio del genere se venisse puntato su Hudson City, Brasilia o Denver?
— Ma perché dobbiamo stare qui a tirare a indovinare — intervenne nuovamente Boyle — quando abbiamo un sacco di nastri che riportano tutte le loro trasmissioni, se solo tu ci aiutassi a tradurli?
Sandy fissò prima Boyle poi Marguery, dopodiché tornò a fissare l’immagine sul grande schermo. — Lo sapevate — disse con un tono da normale conversazione da salotto — che quegli hakh’hli che lavorano fuori dall’astronave sono stati generati in modo particolare, che posseggono una struttura e una forza fisica superiore a quelle di qualsiasi altro hakh’hli? Così possono svolgere tranquillamente quel tipo di lavoro. Solo che non vivono molto a lungo. Quando ero piccolo, desideravo diventare uno di loro.
Nessuno dei due rispose alcunché. Si limitarono a fissarlo entrambi.
— Hai detto che lo avresti fatto — intervenne infine Marguery.
Sandy emise un sospiro. — Va bene — disse. — Spegnete pure lo schermo, e andiamo ad ascoltare questi nastri.
Non era così facile. O almeno, non era un lavoro rapido come Sandy si era aspettato. A quanto pareva, gli hakh’hli che si trovavano sulla Terra erano rimasti in comunicazione con la nave madre per tutto il tempo in cui la nave si trovava al di sopra dell’orizzonte del Commonwealth dell’Inuit. Anche eliminando tutte le conversazioni in inglese e quelle che Sandy aveva già avuto modo di sentire, vi erano quasi 12 ore di nastri da tradurre. Alcuni erano solo audio, mentre altri erano anche video.
Nessuno sembrava contenere informazioni particolarmente interessanti.
Dopo mezz’ora di ascolto, Sandy si scostò dallo schermo. — Fermate il nastro — ordinò. — Avete sentito quello che ho appena tradotto?
— Certo — rispose Boyle. — Aspetta un attimo. — Premette dei tasti che fecero tornare indietro il nastro, poi ne premette un altro. La voce di Sandy risuonò negli altoparlanti:
— “ChinTekki dice che procederanno con la terza alternativa. Chiappa dice che hanno portato a termine la ristrutturazione degli schermi protettivi del modulo di atterraggio e che sono pronti a ripartire da un momento all’altro. ChinTekki dice che può essere necessario un rifornimento di carburante affinché possano volare nell’atmosfera fino al Sito Doppio-Dodici. Chiappa dice che farà una richiesta di carburante ai terrestri.”
— Ha già fatto richiesta — intervenne Boyle. — Abbiamo detto loro che ci serve un campione del loro alcol e del loro perossido di idrogeno per poterli duplicare. Ma che cos’è questa “terza alternativa”?
— È proprio questo il fatto — rispose Sandy con tono cupo. — Non ho mai sentito parlare di una terza alternativa. E non ho nemmeno mai sentito parlare del Sito Doppio-Dodici.