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Un attimo dopo, Sandy sentì l’acqua che scorreva e capì tutto. Allora anche la sera precedente, prima di fare l’amore, Marguery non aveva fatto altro che parlare al telefono, evidentemente con un telefono privato che teneva proprio lì nel bagno.

Così, quando Marguery uscì dal bagno, Sandy era già pronto per qualche brutta notizia.

E infatti la ricevette. — Devo uscire per fare alcune cose — disse Marguery con il volto privo di espressione. — Forse ci metterò un po’ di tempo, ma ti prego di non andartene. Aspetta, adesso ti mostro come funziona il registratore.

Prima ancora che Sandy riuscisse a rendersi pienamente conto di ciò che stava succedendo, Marguery era già uscita.

Non aveva mentito. Rimase fuori effettivamente “per un po’ di tempo”; quanto bastava perché Sandy ascoltasse quasi tutti i nastri e inserisse una serie di piccole, inutili correzioni sui fogli stampati della sua traduzione come gli era stato ordinato. Sandy venne colto da ben tre attacchi di fame, e in tutti e tre i casi non trovò praticamente nulla di commestibile all’interno del frigorifero.

Ciò nonostante, rimase sul posto. Fece come gli era stato ordinato. Era un po’ stanco, si disse fra sé, di fare sempre e solo ciò che gli veniva ordinato da qualcuno.

Quando sentì finalmente il rumore della chiave di Marguery che si infilava nella porta, era passato da uno stato d’ira a uno di depressione. A giudicare dall’espressione del suo volto, anche Marguery era piuttosto depressa. Entrò senza dire una parola, con il cappello e gli occhiali da sole in mano. Non li appoggiò mentre fissava Sandy in silenzio. — Oh, diavolo, Sandy — disse infine con tono triste, — Come vorrei che tu sapessi più di quanto sai.

— Cosa c’è che non va? — domandò Sandy con tono preoccupato.

— Temo che dobbiamo giocare al gioco io-spio-te — disse con un sospiro. — Avanti, preparati che andiamo subito al quartiere generale. C’è una cosa che Ham vuole mostrarti.

21

Quello di maturazione non è un processo facile, per nessun tipo di organismo, in nessun luogo dell’universo. Gli insetti si rinchiudono nei loro bozzoli ed emergono alati, completamente dimentichi del loro precedente stato larvale. I crostacei mutano guscio dolorosamente e in molti casi vengono divorati dai predatori prima di riuscire a formare un nuovo guscio. I serpenti perdono la pelle, gli uccelli abbandonano la sicurezza del nido, i giovani carnivori vengono allontanati dalle loro madri. Si tratta quasi sempre di un processo molto doloroso. In certi casi, è addirittura fatale. E per gli esseri umani è più o meno la stessa cosa, anche se per loro il mutamento avviene più che altro in senso psicologico. Quando un bambino di razza umana cessa di essere un bambino, i riti di passaggio che deve compiere sono pericolosi e dolorosi almeno quanto quelli di un granchio dal guscio morbido. Il processo di maturazione è difficile per chiunque, ma forse lo è molto di più per coloro che, come Lisandro Washington, sono sempre stati convinti di essere maturi già fin dall’inizio.

Sandy non si sorprese affatto quando vide profilarsi la sagoma dell’edificio dell’InterSec. — Avete intenzione di mostrarmi altre fotografie di ciò che stanno costruendo gli hakh’hli? — domandò.

— No, questa volta no — rispose Marguery mentre mostrava il distintivo alla guardia. — Ma stanno ancora costruendo, e anche molto rapidamente.

— E siete ancora convinti che si tratti di un’arma? Gli rivolse uno sguardo impenetrabile.

— No, adesso non crediamo più che quella sia un’arma. Senti, Sandy, cerca di avere un poco di pazienza. Adesso Ham Boyle ti spiegherà tutto.

Stranamente, Hamilton Boyle non stava sorridendo quando venne loro incontro. Il gran campione del sorriso questa volta aveva stampata sul volto un’espressione seria, determinata e apparentemente immutevole. Non pronunciò nemmeno una parola finché non ebbero portato a termine il passaggio rituale delle varie porte, dei vari ascensori e dei vari controlli. Sandy ebbe modo di notare che l’ascensore questa volta si era diretto verso il basso piuttosto che verso l’alto, e che aveva percorso un bel po’ di strada prima di fermarsi. Marguery e Hamilton Boyle fissavano i numeri elettronici che si alternavano rapidamente sull’indicatore come se fossero quotazioni di Borsa in una giornata decisamente negativa.

— Eccoci arrivati — disse infine Boyle, facendo cenno di entrare in una piccola stanza. Era poco più grande di una cella, notò Sandy con preoccupazione una volta entrato. — Accomodati — ordinò Boyle indicando a Sandy la poltrona dall’aspetto più solido. Proprio accanto ve ne era una più piccola sulla quale si sarebbe potuta accomodare Marguery, ma questa la ignorò, dirigendosi invece dalla parte opposta della stanza, dove si piazzò accanto a una scrivania con uno schermo e una tastiera. Alle sue spalle vi era una specie di tenda a listelle, di quelle che venivano chiamate “veneziane”. Le listelle erano inclinate in modo tale da non far passare luce da dietro, ma Sandy rifletté che in effetti non vi erano finestre in quell’edificio.

Quel luogo era ostile, pensò Sandy producendosi in una smorfia. Si sentiva molto teso, con i nervi a fior di pelle. Di tanto in tanto udiva un suono distante, come una specie di debole lamento. Quel suono naturalmente aumentava il suo disagio, anche se non riusciva a capire di che cosa potesse trattarsi.

— Allora, quali sono questi segreti che non volete che gli hakh’hli sappiano? — domandò.

Boyle sbatté le palpebre mentre lo fissava con aria sorpresa. — Temo che tu abbia capito tutto al contrario — disse. — Stiamo parlando dei segreti che gli hakh’hli non volevano che noi sapessimo. Come per esempio i loro piani per attaccarci.

Nonostante tutto ciò che gli aveva detto Marguery, per Sandy questa rimaneva comunque un’idea assurda. — Non hanno alcun piano simile — disse convinto.

— Sandy — intervenne Marguery in tono paziente — lo hanno eccome. Vogliono stabilirsi qui. Vogliono occupare il continente africano. Hanno intenzione di proporci la costruzione di alcuni habitat orbitanti, ma è solo una misura diversiva per distrarci dal loro vero obiettivo, e cioè l’insediamento in pianta stabile sulla Terra. In Africa, tanto per iniziare.

— Che cosa intendi con “habitat”?

— Dei grossi gusci metallici nello spazio, Lisandro — intervenne Boyle con voce cupa. — Come delle astronavi, ma molto più grandi. Gli hakh’hli hanno milioni di uova pronte a schiudersi, e hanno bisogno di un luogo per farle schiudere.

— Non credo a una sola parola di ciò che state dicendo! — gridò Sandy, protendendosi in avanti. La sua poltrona emise un preoccupante scricchiolio, ma lui non vi fece caso. — E anche se fosse vero — aggiunse — che cosa ci sarebbe di male? Non danneggerebbero nulla sulla Terra rimanendo in orbita.

— Ma Sandy, caro — disse Marguery con tono suadente — il problema è che loro non hanno intenzione di rimanere in orbita. Una volta che le loro uova si saranno schiuse e che i nuovi hakh’hli saranno cresciuti, scenderanno giù da noi. Ce l’ha detto Polly.

Sandy la fissò, assolutamente sconvolto. Questa era realmente la cosa più assurda che quei due avessero detto fino a quel momento. Cercò di farli ragionare. — Polly? Impossibile! Lei non vi rivelerebbe mai un’informazione segreta, sempre ammesso che esistano segreti da non rivelare.

— Non aveva scelta — disse Marguery cupa.

Sandy la guardò con aria truce. — Cosa stai cercando di dire? Non potete averla costretta a parlare. Che cosa potete fare, minacciarla? Torturarla? Ti ho già detto che non funzionerebbe mai!

Marguery emise un sospiro. — Ma mi hai anche detto ciò che avrebbe invece funzionato — rispose con tono colpevole. A quel punto si alzò in piedi e tirò la corda della veneziana.