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— Non è tutto così negativo, sai? — intervenne Marguery. — Quella cosa che stanno costruendo, per esempio, non è altro che un’antenna radio. Polly dice che non hanno ricevuto segnali dal loro mondo d’origine da molti secoli ormai, e che sperano di captare qualche segnale grazie a questa antenna.

— Sono completamente soli, come se si fossero smarriti, sai? — intervenne seccamente Boyle. — E a questo punto sono quasi disperati. Che ne pensi, Lisandro? Adesso la palla è in mano tua. Sei tu che devi prendere una decisione. Da che parte hai intenzione di stare?

— Ho forse una possibilità di scelta? — ribatté Sandy con tono aggressivo.

— Non molta. Anche a te può succedere qualche disgrazia, proprio come a Ippolita. Tuttavia, se hai intenzione di aiutarci…

— Aiutarvi in che modo?

Boyle ebbe un attimo di esitazione. — Abbiamo un piano — disse. — Possiamo metterlo in atto anche senza di te, ma riuscirà sicuramente meglio se ci darai una mano. In questo momento, la grande nave è molto vulnerabile. Solo che non abbiamo molto tempo a disposizione. Può anche darsi che le navette hakh’hli stiano già posizionandosi per buttarci addosso qualche grosso rottame spaziale, magari su Seattle o Hudson City.

Sandy li fissò entrambi a turno, e alla fine guardò negli occhi Marguery Darp. Ma non vi era nulla da leggere nei suoi occhi. Il volto della donna era privo di espressione, e stava evidentemente aspettando la sua risposta.

— Spiegatemi i dettagli del piano — disse infine Sandy. Si trattava della sua prima avventura nel mondo scaltro e ingannevole degli adulti.

22

Tremila anni di storia sono parecchi. Tremila anni fa, la storia dell’umanità non era nemmeno iniziata. A quell’epoca la civiltà umana consisteva in una collezione di piccoli regni nel fertile Medio Oriente, e né la Cina né l’Antica Grecia erano state ancora inventate. La storia degli hakh’hli è almeno altrettanto lunga, e certamente altrettanto vaga nelle sue origini. Gli hakh’hli sanno solo che prima di allora i loro antenati vivevano su un pianeta piuttosto che un altro di un certo consorzio di pianeti (composto da quattro mondi, ognuno dei quali si trovava in un sistema solare differente) e che avevano a disposizione immensi poteri. Poteri che permisero loro di costruire una dozzina di navi come quella in cui erano venuti sulla Terra e di mandarle a spasso per la Galassia alla ricerca di nuove case per la razza hakh’hli. Ma quella era la loro Epoca d’Oro, e gli hakh’hli ne sono perfettamente consapevoli. E sanno altrettanto bene che i tremila anni trascorsi dal momento in cui la loro nave è stata lanciata fra le stelle non sono stati affatto dorati, caratterizzati unicamente da lunghi e monotoni viaggi e da faticose ricerche senza frutti. Per essere precisi, si può parlare di tremila anni di fallimenti ininterrotti.

Il volo per raggiungere il sito di atterraggio della navetta hakh’hli non fu tranquillo e confortevole come quello in dirigibile. Questa volta avevano fretta, e di conseguenza avevano deciso di usare un aereo supersonico in grado di attraversare il continente nordamericano nel giro di un’ora e 40 minuti volando a 19 chilometri di altezza. Non si trattò di un volo piacevole. L’accelerazione del decollo appiccicò persino Sandy al suo sedile, e tutti i passeggeri rimasero immobilizzati nei loro posti finché il velivolo non raggiunse la sua quota di crociera.

Anche allora però non vi fu alcuna conversazione. Marguery Darp sembrava persa nei suoi pensieri, e Sandy, che sedeva accanto a uno dei piccoli finestrini, passò gran parte del tempo a scrutare fuori per cercare di cogliere quel poco di paesaggio visibile che sfrecciava sotto di loro.

Per l’occasione, Hamilton Boyle aveva indossato la sua uniforme, con tanto di stivali di cuoio, fondina con pistola, cappello e tutto il resto. Era come se avesse bisogno di una conferma alla sua posizione ufficiale. Quando raggiunsero la quota di crociera, si girò verso Sandy e gli domandò senza alcun preambolo: — Sai quello che devi fare?

Sandy scostò lo sguardo dal finestrino. — Come potrei averlo dimenticato? — domandò. — Me lo hai ripetuto almeno cento volte. Il mio compito consiste nel fare uscire gli hakh’hli dalla navetta. A quel punto entrate in azione voi, che li arrestate.

— È per il bene della razza umana, Lisandro — gli ricordò Boyle.

— Ciò che non mi avete ancora spiegato, invece — continuò Sandy — è ciò che farete con la navetta una volta che l’avrete catturata.

— Non abbiamo ancora deciso. — ribatté Boyle. — Prima dobbiamo scoprire con che tipo di tecnologia abbiamo a che fare.

Sandy annuì, come se si fosse aspettato proprio una risposta del genere. Quel gesto però non significava che stava accettando ciò che gli aveva detto Boyle, ma piuttosto che si era aspettato che non gli venisse detta la verità. Increspò le labbra, scrutando Hamilton Boyle con espressione innocente. — Sai — gli disse — una persona particolarmente sospettosa potrebbe anche pensare che il vostro vero scopo sia un altro. Potrebbe pensare che avete intenzione di usare il modulo di atterraggio per speronare la grande nave hakh’hli.

L’espressione di Boyle fu più che sufficiente come risposta per Sandy. Quando si girò verso Marguery, si trovò davanti un volto dall’aria lugubre. — Oh, al diavolo — disse lei. — Tanto vale che iniziamo veramente a fidarci l’uno dell’altro, Ham! Sandy, hai quasi azzeccato. L’InterSec ha una mezza dozzina di testate nucleari nascoste, da usare solo in casi estremi. Quando ci avrai consegnato la navetta, Ham ha intenzione di caricarvi sopra una di queste testate e di decollare immediatamente. Ma non per speronare la grande nave, Sandy! Non vogliamo farlo, a meno che non siamo assolutamente costretti.

— Ah no? — chiese Sandy con tono forzatamente cordiale. — E allora che intenzioni avete?

— Vogliamo solo minacciare di speronarli! Tutto qui. E a quel punto dovranno arrendersi per forza. La nave hakh’hli è sospesa lassù come un bersaglio immobile, con i motori spenti.

— Capisco — disse Sandy senza lasciar trasparire alcuna emozione. Non aggiunse altro.

Boyle attese circa dieci secondi, poi intervenne nuovamente. — Che cosa c’è che non va, Sandy? Credi che non funzionerebbe?

Sandy ci rifletté sopra con attenzione. — Non ho mai sentito parlare di un hakh’hli che si arrende — disse. — Anche se dicono che c’è sempre una prima volta. Come ha appena detto Marguery, in effetti non avrebbero molta scelta, giusto? Inoltre — continuò, come se fosse stato improvvisamente colto da un’illuminazione — con ogni probabilità non avete nemmeno bisogno di portarvi dietro una bomba. Basterebbe solo speronare la nave madre con la navetta nel punto in cui si trovano i propulsori principali e sarebbe fatta. Immaginatevi che cosa succederebbe se la materia anomala si mettesse a schizzare fuori dalla nave! Naturalmente, morirebbe anche chiunque stia pilotando la navetta in quel momento.

— Credi che questo sia un problema? Ci sono sempre un sacco di esseri umani disposti a morire per motivi patriottici.

— Così mi hanno detto — ammise Lisandro. — Solo che…

— Cosa? — domandò Boyle perentorio.

Sandy scrollò le spalle. — Solo che a quel punto non vedo proprio quale possa essere la vostra mossa successiva. Che cosa ne farete degli hakh’hli una volta che si saranno arresi?

— Li prenderemo prigionieri!

— Sì, fin qui ci ero arrivato. Ma poi?

— Poi dipenderà da ciò che decideranno le autorità civili — ribatté Boyle. — Non devi preoccuparti per questo, Lisandro! Non li ammazzeremo di sicuro. Abbiamo delle leggi ben precise per quanto riguarda i prigionieri di guerra.

— Sì, li mettete in campi di concentramento — disse Sandy annuendo. — E per quanto tempo avreste intenzione di tenerli lì?