Mangiarono lo stufato alla luce del fuoco, con la porta ben chiusa contro il vento che s’era all’improvviso rinfrescato. Astrin cenava tranquillamente, col bianco cacciatore Xel accovacciato ai piedi, e finché non ebbero terminato parve esser tornato ai suoi solitari silenzi di uomo abituato a vivere coi propri pensieri. Poi andò ad aprire la porta un istante. Fuori aveva cominciato a piovere forte. La richiuse, e il gatto sollevò la testa con un lamentoso miagolìo. Quando Astrin tornò al tavolo i suoi movimenti s’erano fatti nervosi, irrequieti: tastava libri e documenti senza aprirli, univa fra loro cocci che non si appaiavano in nessun modo e li lasciava ricadere, e il suo volto era inespressivo come se stesse ascoltando qualcosa oltre il fruscio della pioggia. Seduto accanto al caminetto Morgon aveva mal di capo e lo fissava senza pensare a nulla, tastandosi il taglio sopra l’occhio. Astrin smise di andare avanti e indietro e si fermò davanti a lui, osservandolo coi suoi strani occhi bianchi pieni di misteri finché egli distolse lo sguardo.
Con un sospiro Astrin sedette al suo fianco. Improvvisamente disse: — Sei enigmatico quanto la Torre del Vento. Io mi trovo qui da cinque anni, esiliato da Caerweddin. Parlo con Xel, con un vecchio di Loor da cui compro il pesce, con occasionali mercanti, e con Rork, Alto Nobile di Umber, che viene a farmi visita qualche volta. Di giorno, per curiosità, vado a fare scavi nell’immensa città in rovina dei Signori della Terra, sulla Piana del Vento. Di notte invece scavo in altre direzioni, talvolta nei libri di magia che ho imparato ad aprire, talvolta nelle tenebre oltre Loor, sul mare. Prendo Xel con me, e andiamo a guardare qualcosa che viene costruito sulle spiagge di Ymris nel segreto della notte, qualcosa per cui non c’è nome… Ma questa notte non posso farlo. Il mare sarà agitato con un vento come questo, e Xel odia la pioggia. — Per qualche istante tacque. — I tuoi occhi mi fissano come se tu capissi tutto ciò che dico. Vorrei sapere il tuo nome. Vorrei… — La voce gli si smorzò; i suoi occhi si fermarono, indagatori, sul volto di Morgon.
Improvvisamente come s’era seduto l’uomo si alzò, e da uno scaffale tolse un pesante tomo con un nome stampato in oro sulla copertina: Aloil. Era chiuso con due flange, di ferro in apparenza prive di ogni giuntura o fibbia. Le toccò, mormorando una parola, ed esse si aprirono. Morgon si alzò e gli andò accanto, lui alzò lo sguardo. — Sai chi era Aloil? — Morgon scosse la testa. Poi i suoi occhi si allargarono un poco, come se ricordasse, ma Astrin continuò: — Molti lo hanno dimenticato. Egli era il mago in servizio presso i Re di Ymris, e lo fu per novecento anni finché andò a Lungold; poi scomparve del tutto insieme all’intera scuola dei maghi, settecento anni fa. Io ho acquistato il libro da un mercante; mi sono occorsi due anni per scoprire la parola che lo apre. Parte delle poesie che Aloil scrisse erano dedicate alla maga Nun, in servizio a Hel. Tentai di aprire il libro usando il suo nome, ma non funzionò. Poi ricordai il nome del suo maiale favorito, un maiale davvero notevole fra tutti quelli di Heclass="underline" il maiale parlante, Hegdis-Noon… e quel nome aprì il libro. — Poggiò sul tavolo il pesante tomo, sfogliandolo con aria pensosa.
— Qui da qualche parte c’è l’incantesimo che fece parlare la pietra a Pian Bocca di Re. Tu conosci quella storia? Aloil era furibondo con Galil Ymris poiché il Re aveva rifiutato di seguire i suoi consigli durante l’assedio di Caerweddin, e come risultato di ciò la torre di Aloil era stata data alle fiamme. Così Aloil fece in modo che una pietra della pianura dietro Caerweddin parlasse per otto giorni e otto notti, con voce talmente forte che gli uomini la udirono anche nella lontana Umber e in Meremont, e la pietra recitò tutti i segreti di Galil. Fu da questo episodio che Pian Bocca di Re prese il nome. — Gettò un’occhiata da sotto in su a Morgon e lo vide sorridere. Si raddrizzò. — Non ho parlato tanto in tutto il mese. Xel non può ridere. E tu mi ricordi che sono sempre un essere umano. È una cosa che talvolta rischio di dimenticare; salvo quando Rork Umber è qui in visita perché allora son costretto a ricordare fin troppo bene chi sono. — Riabbassò gli occhi, girò una pagina. — Ecco, è qui. Adesso, se mi lasci leggere il manoscritto… — Per qualche minuto tacque, mentre Morgon si sporgeva a leggere oltre la sua spalla alla luce giallastra che la candela spandeva sulla pagina. Infine Astrin si volse a guardarlo, lo prese gentilmente per le braccia e sottovoce disse: — Se questo incantesimo è riuscito a dare voce a una pietra, penso che possa far parlare anche te. Non ho mai fatto molta penetrazione mentale; sono entrato nella mente di Xel, e una volta in quella di Rork, col suo permesso. Se hai paura preferisco non farlo. Ma forse, se andrò abbastanza in profondità, riuscirò a trovare il tuo nome. Vuoi che ci provi?
Una mano di Morgon si alzò a sfiorargli la bocca. Annuì, con gli occhi fissi in quelli di Astrin, e l’uomo fece un sospiro. — Molto bene. Siediti. Stai calmo e immobile. Il primo passo consiste appunto nel divenire come la pietra…
Morgon sedette sullo sgabello. Di fronte a lui Astrin, scuro come un’ombra nella vacillante luce della candela, si congelò nel silenzio più assoluto. D’un tratto Morgon notò uno strano tremolio nel locale, come se una seconda visione della stessa stanza si fosse sovrapposta alla sua, e rimise a fuoco gli occhi con uno sforzo. Incomprensibili frammenti di pensieri rotearono nella sua mente: la pianura che egli aveva visto all’esterno, il muso di Xel, le pelli che aveva appeso a seccare. Poi ci fu soltanto una lunga tenebra, e infine un senso di rinuncia.
Astrin si mosse, con le braci del focolare che gli creavano strani riflessi negli occhi. — Non c’era niente. È come se tu non avessi alcun nome. Non ho potuto penetrare fino allo strato in cui hai nascosto a te stesso il tuo nome e il tuo passato. È profondo, occulto… — Nel vederlo alzarsi tacque. Le mani di Morgon si chiusero intorno alle spalle di Astrin, lo strinsero, lo scossero con insistenza, e l’uomo borbottò: — Io ho tentato. Ma non ho mai trovato un altro individuo che si nasconda tanto a se stesso. Devono esserci degli altri incantesimi; li cercherò. Però non vedo perché tu debba prendertela così. Il fatto di non avere nome né memoria dovrebbe essere la quintessenza della pace… D’accordo. Ci studierò sopra. Porta pazienza.
Il giorno successivo, all’alba, Morgon lo sentì che si alzava e abbandonò anch’egli il suo giaciglio. La pioggia era cessata, sparsi cumuli di nuvole si spostavano sulla Piana del Vento. I due fecero colazione con lo stufato di lepre freddo, pane e vino, poi presero gli attrezzi di Astrin e con Xel alle calcagna s’incamminarono attraverso la piana verso le rovine dell’antica città.
La zona era un labirinto di colonne spezzate, muri crollati, stanze prive di soffitto, scale che non portavano in nessun posto, arcate abbattutesi al suolo, il tutto costruito in lisci e pesanti blocchi di pietra colorati in ogni sfumatura di rosso, verde, oro, azzurro, grigio e nero, strisciati o punteggiati di altre tinte in mescolanze policrome. Una larga strada pavimentata in pietre bianche e dorate, fitta di erbacce che crescevano negli interstizi, prendeva inizio sul lato orientale della città e la tagliava in due, terminando ai piedi dell’unico edificio rimasto apparentemente intatto: era un’altissima torre, intorno alla quale rampe di scale spiraleggiavano dal nero e irregolare basamento su fino a una piccola costruzione d’un azzurro intenso che si scorgeva sulla sommità. Svoltando sulla strada centrale fianco a fianco con Astrin, Morgon si arrestò bruscamente e alzò gli occhi a guardarla.