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— La Torre del Vento — lo informò Astrin. — Sulla sua cima non è mai salito alcun essere umano… maghi compresi. Aloil ci provò; arrancò su per le scale per sette giorni e sette notti, e non riuscì mai a raggiungerne la fine. Ho tentato anch’io, molte volte. Sono convinto che sulla cima di questa torre debba esserci la risposta a domande così antiche che tutti abbiamo smesso di farcele. Chi erano i Signori della Terra? Quale fu lo spaventoso avvenimento che distrusse loro e le loro città? Io inganno il tempo come un bambino fra questi scheletri di pietra, raccogliendo qui una bella pietruzza, là un piatto rotto, sempre sperando di trovare un giorno la chiave di questo mistero, l’inizio di una risposta… ho portato un frammento di quei grossi blocchi di pietra anche a Danan Isig; mi ha detto che non è a conoscenza di nessuna cava nel reame del Supremo dove si estragga materiale di quel genere. — Toccò un braccio di Morgon per richiamare la sua attenzione. — Io vado laggiù, in quel locale privo del tetto. Mi troverai là, quando ne avrai voglia.

Lasciato a se stesso nella risonante immensità della città di macerie, Morgon si aggirò fra edifici crollati e locali aperti alla pioggia, scavalcando mucchi di pietre profondamente infossati nel terriccio e cespi di erbacce. Il vento soffiava con la forza di un cavallo selvaggio, ululando lungo la strada, torcendosi in furibonde spirali attorno alla torre e gemendo nelle sue misteriose stanze. Lasciandosi spingere da esso Morgon si accostò all’immensa e lucente struttura, poggiò una mano sulla parete azzurra e nera e salì sul primo gradino della scala. Erano gradini dorati, che salivano curvando a destra fino a sparire alla vista. Alle sue spalle il vento premeva con violente raffiche, come per incitarlo a salire. Dopo qualche istante si volse e andò a cercare Astrin.

Lavorò per tutto il giorno accanto all’uomo, scavando in una piccola stanza il cui pavimento era sepolto sotto strati di tufo, ed a mani nude spostò il terriccio in cerca di pezzi di metallo, di vetro, di stoviglie. Dopo qualche tempo, sporco di fango nerastro fino ai gomiti, s’accorse d’annusare con piacere l’odore intenso del terriccio, e in lui qualcosa reagì con un fremito di desiderio. Quando se ne accorse gli sfuggì un mugolio. Astrin si girò a guardarlo.

— Che c’è? Hai trovato qualche oggetto?

Lui abbassò gli occhi nella fossa e scosse il capo, mentre le lacrime gli offuscavano lo sguardo senza che ne capisse il motivo.

Al crepuscolo, mentre tornavano a casa coi loro reperti accuratamente avvolti in un vecchio telo, Astrin osservò: — Ti comporti con molta pazienza e calma, qui. Chissà che tu non sia nativo di queste parti, e che non abbia già lavorato in silenzio fra queste cose dimenticate. E accetti la mia strana vita senza far domande, come se tu avessi scordato com’è l’esistenza altrove, dove gli uomini vivono insieme… — Tacque un istante. Poi mormorò, come se lo ricordasse a se stesso: — Io non ho sempre vissuto da solo. Sono cresciuto a Caerweddin, con Hereu, e coi figli degli Alti Nobili di nostro padre, nella rumorosa e splendida casa che Galil Ymris fece costruire con le pietre dei Signori della Terra. A quel tempo Hereu ed io eravamo molto uniti, l’uno l’ombra dell’altro. Questo era prima che litigassimo. — Accorgendosi che Morgon lo fissava scosse le spalle, sbuffando. — Vivere qui non fa nessuna differenza per me. Non tornerò mai più a Caerweddin, e in quanto a Hereu lui non verrà mai da queste parti. Ho già dimenticato che una volta non conoscevo la solitudine. Dimenticare è facile.

Quella sera, subito dopo cena, Astrin lo lasciò solo in casa. Morgon lo attese pazientemente, ripulendo dal fango i frammenti di vasellame che avevano trovato. Qualche ora dopo il tramonto il vento cominciò di nuovo a soffiare con forza, e a disagio egli ebbe l’impressione che scuotesse la piccola costruzione come se volesse sradicarla dal suolo. Il tetto cigolava, all’esterno si sentivano rotolare oggetti pesanti. Pur sapendo che era inutile aprì la porta nella speranza di veder tornare Astrin; il vento gli strappò il battente dalle dita, lo mandò a fracassarsi quasi contro il muro, ed egli fu costretto a lottare con la violenza delle raffiche per poter richiudere.

Quando infine, come accadeva spesso, l’aria tornò improvvisamente immobile, un immenso silenzio scese sulla Piana del Vento nella debole luce lunare. La torre si ergeva fra i cumuli di pietre abbattute, intatto e solitario monolito che si lasciava contemplare muto dalle stelle. Morgon gettò altri ceppi sul fuoco, si fece una torcia con un ramo di quercia e uscì. Ma aveva fatto appena due passi che udì un ansito oltre l’angolo della casupola, e ci fu un lento e strascicato scalpiccio. Si volse e vide comparire Astrin, che con una mano si appoggiava al muro.

Mentre Morgon gettava al suolo la torcia e correva a sostenerlo, l’uomo ansimò: — Sto bene. — Nella luce che usciva dalla finestra la sua faccia appariva grigiastra. Poggiò un braccio sulle spalle del giovane e si lasciò condurre all’interno, poi sedette sul giaciglio. Aveva le mani ricoperte di graffi e abrasioni, ed i capelli incrostati di salsedine. Con una smorfia si poggiò la mano destra sulle costole e restò immobile, sfinito, finché Morgon s’accorse del sangue che gli scorreva fra le dita e gli si accostò con un gemito di cordoglio. Astrin si lasciò ricadere all’indietro sul pagliericcio, la mano gli scivolò via dal fianco. Non fu lieto, quando Morgon strappò la cucitura per aprirgli l’abito.

— No. Sono a corto di vestiti — sussurrò. — Lui mi ha visto per primo, ma io l’ho ucciso. Poi è rotolato in mare, e ho dovuto andare a riprenderlo fra gli scogli e le onde, altrimenti loro lo avrebbero ritrovato. L’ho seppellito nella sabbia. Loro non potranno trovarlo, adesso. Lui era fatto di… ha preso forma dalle alghe e dalla spuma e dalla madreperla bagnata, e la sua spada era fatta di tenebra e di acqua d’argento. Mi ha colpito e gettato a terra come un ranocchio, e se Xel non mi avesse avvertito a tempo ora sarei morto. Se non mi fossi girato… — Ebbe un sussulto allorché Morgon gli toccò il fianco con un panno umido. Poi tacque, ad occhi chiusi, stringendo i denti intanto che lui gli lavava la profonda ferita e strappava strisce della tunica per bendarlo. Infine chiese un po’ di vino, bevve ed i tremiti del suo corpo si placarono. Parve rilassarsi alquanto. — Grazie. Xel… grazie. Se Xel ritorna fallo entrare.

Per il resto della notte l’uomo giacque senza riaprire gli occhi, esausto. Solo verso l’alba si svegliò, sentendo Xel che grattava alla porta. E Morgon, che era rimasto sveglio a sedere davanti al caminetto, si alzò per aprire al felino, bagnato fradicio e infangato.

Il giorno successivo Astrin non disse quasi nulla dell’accaduto. Insistette per alzarsi e si mosse attorno rigidamente, con un’espressione cupa e triste che si rischiarava soltanto quando i suoi occhi incontravano quelli muti e preoccupati di Morgon. Trascorsero la giornata in casa, Astrin sui libri di magia fra le cui pagine sembrava annusare come un animale, e Morgon cercando di lavorare e rammendare i vestiti di lui, mentre tutte le domande a cui non riusciva a dar fiato gli si contorcevano in gola come uccelletti in gabbia.

Infine, verso il tramonto, Astrin emerse dalle sue fosche riflessioni. Con un sospiro chiuse un libro, la cui serratura di ferro si bloccò da sola, guardò la piana attraverso la finestra e dichiarò: — Dovresti dirlo a Hereu. — Batté le mani sul libro e le strinse a pugno, sussurrando: — No. Lasciamo che veda coi suoi occhi. Il regno è affar suo. Lasciamo che impegni il suo nome su questo. Cinque anni fa mi ha cacciato da Caerweddin per aver detto la verità; perché dovrei tornare indietro?

Seduto davanti al caminetto, con le dita che lottavano con l’ago e il filo, Morgon emise un grugnito interrogativo. Astrin si premette una mano sul fianco e aggiunse legna al fuoco per scaldare la cena. Si fermò un attimo accanto a Morgon per dargli una pacca affettuosa su una spalla. — Sono contento che tu fossi qui ieri notte. Se c’è qualcosa, qualsiasi cosa, che io possa fare per te, la farò.