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Da allora, per un po’ di tempo, egli non uscì più la notte. Morgon lavorò con lui in città ogni giorno, a scavare fra le macerie, e nelle quiete lunghe serate provò a rimettere insieme frammenti di vetro e di altri materiali, mentre Astrin scartabellava fra i suoi libri. Ogni due o tre giorni andavano a caccia con Xel, nell’intricata boscaglia di querce che a meridione ricopriva la costa fin oltre i confini di Ymris.

Un giorno, mentre camminavano sul morbido tappeto di foglie morte del sottobosco, Astrin disse: — Potrei portarti a Caithnard. È ad appena un giorno di viaggio verso sud, oltre la foresta. Forse laggiù qualcuno ti conosce. — Ma Morgon si limitò a guardarlo senza espressione, come se Caithnard fosse il nome di qualche misteriosa terra al di là del mare, e Astrin non ne riparlò più.

Pochi giorni dopo Morgon rinvenne un insieme di frammente di vetro rossi e porpora, d’aspetto interessante, in un angolo del locale in cui stavano scavando. Li portò alla casupola di Astrin, li ripulì dal terriccio e li studiò incuriosito. Il mattino successivo pioveva a dirotto; non poterono tornare in città. Nella piccola casa l’aria era umida e pesante, e il fuoco emetteva molto fumo. Xel si agitava inquieto, fermandosi ogni tanto a miagolare lamentosamente in direzione di Astrin, il quale borbottava parole e frasi su un libro di incantesimi che non era ancora riuscito ad aprire. Morgon, con una dura colla che l’altro aveva miscelato in una ciotola, s’ingegnava a mettere insieme i cocci di vetro pezzo dopo pezzo.

Alzò lo sguardo nell’udire Astrin esclamare, seccato: — Xel, mettiti calmo. Sto impazzendo alla ricerca delle parole. Yrth era il più potente dei maghi, dopo il Fondatore stesso, e ha chiuso la serratura di questo libro fin troppo bene.

Morgon aprì la bocca, riuscì ad emettere un lieve suono e sul suo volto vi furono stupore ed emozione. In fretta si guardò attorno, trovò un rametto mezzo carbonizzato nel camino e lo ripulì. Con l’estremità nera scrisse sul tavolo, in lettere di cenere: «Ti occorre la sua arpa».

Stupito Astrin si alzò subito dallo sgabello, e lesse da sopra la spalla di Morgon. — Mi occorre la sua cosa? Hai una calligrafia più incomprensibile di quella di Aloil. Oh… Arpa! — Gli afferrò le spalle con energia. — Sì. Forse hai ragione. Forse egli chiuse il libro con una serie di note dell’arpa che aveva costruito… o con quella corda in chiave di basso che, come si narra, fracassava le armi. Ma dove mai potrei trovarla? Tu lo sai dove si trova?

Morgon scosse la testa. Poi poggiò il ramoscello sul tavolo, fissandolo con meraviglia come se esso avesse scritto di sua iniziativa. Dopo un poco girandosi incontrò lo sguardo di Astrin. Bruscamente l’uomo aprì uno dei libri di magia di Aloil, e mise una penna in mano a Morgon. — Chi ha pagato per la sua forma con le cicatrici sulle sue mani, e a chi?

Morgon prese a scrivere con cura sul margine di uno dei libri d’incantesimi di Aloil. Quando ebbe terminato la risposta a quell’antico enigma di Osterland e cominciò a scrivere l’interpretazione, Astrin emise fra i denti un fischio di stupore.

— Tu hai studiato a Caithnard. Ma nessun individuo senza voce ha mai studiato in quella scuola… io lo so. Io stesso ho trascorso un anno là. Puoi ricordartela? Rammenti qualcosa della scuola?

Morgon lo fissò a occhi sbarrati. Si alzò di scatto, facendo rovesciare lo sgabello dietro di sé; Astrin lo raggiunse mentre già apriva la porta come per andarsene seduta stante.

— Aspetta! Fra poco sarà buio. Domani io verrò a Caithnard con te, se hai pazienza di aspettare un poco. Ci sono alcune domande che voglio porre di persona ai Maestri.

Il mattino dopo si alzarono all’alba, con la pioggia che ticchettava leggermente sul tetto. Il cielo si schiarì assai prima che il sole spuntasse dalle montagne. Lasciarono Xel addormentato davanti al camino e si avviarono sull’umida pianura erbosa verso il confine di Ymris. Il sole si levò fra nuvole gravide di pioggia che veleggiavano sul mare come vascelli aerei. Il vento frusciava fra gli alberi scrollando via la brina dalle foglie quando essi entrarono nel sottobosco, diretti alla grande strada dei mercanti che attraversava Ymris da un capo all’altro unendo le antiche città di Lungold e Caithnard.

— Dovremo giungere alla strada verso mezzogiorno — disse Astrin.

Morgon, con l’orlo della lunga tunica fradicio di brina, gli occhi fissi sugli alberi come se potesse vedere al di là di essi una città che non conosceva, gli rispose con un borbottio assente. Numerosi corvi neri svolazzavano fra i rami di alberi lontani; i loro versi rauchi gli suonarono derisori, offensivi. D’un tratto udì delle voci umane: due mercanti che ridacchiavano indicandosi l’un l’altro i corvi appollaiati su un albero. Viaggiavano a cavallo nell’umidità del primo mattino, e avevano grossi involti rigonfi dietro le selle. I due cavalieri raggiunsero Morgon e Astrin, e rallentarono. Uno di essi abbassò cortesemente il capo.

— Nobile Astrin. È una combinazione incontrarvi qui. — Si girò a sciogliere il laccio di una bisaccia. — Ho un messaggio di Mathom di An a Heren di Ymris. Concerne, almeno credo, l’uomo che ha conquistato la corona di Peven. Per il vero, ho messaggi per metà dei sovrani di tutto il reame. Stavo per fermarmi a casa vostra e consegnarlo a voi personalmente.

Astrin aggrottò le bianche sopracciglia. — Tu sai che non vedo Hereu da cinque anni — disse piuttosto freddamente. Il mercante, un robusto individuo rosso di capelli, con una cicatrice che gli tagliava la barba sulla mandibola, lo fissò con ironia.

— Ah, sì? Ma vedete, il problema è che devo imbarcarmi a Meremont, cosicché non avrò occasione di passare per Caerweddin. — Frugò nella bisaccia. — Dovreste essere così gentile da portargli voi questo messaggio.

L’acciaio di una lama schizzò fuori dalla bisaccia in un lampeggiante semicerchio, abbattendosi con un fruscio addosso ad Astrin. Ma il cavallo del mercante ebbe uno scarto, e l’acciaio affilato mancò di un palmo il volto di Astrin, stracciando la manica del braccio che Morgon aveva proteso per difendere l’amico. Dopo un primo istante di sbalordita incredulità il giovane balzò avanti, e afferrò il polso del mercante prima che questi potesse risollevarlo per colpire ancora. L’altro mercante gli aveva però già incitato il cavallo addosso, e costui roteò la spada in un colpo di taglio che raggiunse Morgon su un lato del torace, sotto il braccio alzato.

La lama non trovò altro ostacolo che la scura e pesante stoffa della tunica. Col fiato mozzo per la sciabolata che gli aveva tolto la luce dagli occhi Morgon vacillò, sentì Astrin ringhiare ferocemente, poi per qualche istante non vide e non sentì più niente. Nella sua mente si diffuse uno strano torpore drogato, l’impressione di qualcosa di verde e di familiare, il cui odore non era dissimile da quello delle erbacce della radura. Quell’immagine si dileguò prima che egli potesse nominarla, ma non prima che avesse capito che in essa c’era il suo nome. Poi si ritrovò in ginocchio sull’erba, ansante, con un labbro stretto fra i denti, gli occhi confusi fissi su qualcosa che per un poco credette fosse sangue, finché si rese conto che era soltanto la pioggia, fitta e improvvisa.

Un cavallo senza nessuno in sella galoppava via fra gli alberi; Astrin, con in pugno una spada lorda di sangue, stava slacciando la sella dell’altro animale. La tolse via e afferrò il cavallo per il morso conducendolo verso Morgon. Sul suo volto c’era una striscia di sangue; i due mercanti giacevano scompostamente al suolo fra le loro selle e gli involti.

L’uomo aveva il fiato mozzo. — Ce la fai ad alzarti? Dove sei stato ferito? — chiese. Vide il sangue che inzuppava la tunica di Morgon sotto l’ascella e imprecò. — Lasciami dare un’occhiata.