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I cavalieri oltrepassarono i cancelli, avviandosi su per la lieve salita pavimentata in ciottoli. Gli spessi battenti di quercia sotto un’arcata di una seconda cinta di mura vennero aperti per dar loro il passo; entrarono in un cortile dove gli stallieri presero le redini dei cavalli, mentre essi smontavano, affrettandosi a gettare spesse coperte pelose sulla groppa sudata degli animali. In silenzio attraversarono il vasto cortile, con la pioggia che rigava i loro volti.

La sala del trono, costruita in levigate e scintillanti pietre scure, conteneva un ampio camino che campeggiava al centro della parete più interna. Rabbrividendo, gocciolando acqua, essi furono attratti come falene dalle fiamme del camino, quasi inconsci dei cortigiani silenziosi che sostavano intorno a loro. Un vivace echeggiare di passi nel corridoio li indusse a voltarsi.

Hereu Ymris, un uomo pesante e dall’ossatura massiccia i cui capelli scuri apparivano lucidi di pioggia, accennò un cortese inchino della testa in direzione di Morgon e disse: — Siate il benvenuto nella mia casa. Io ebbi il piacere d’incontrare vostro padre non troppo tempo fa. Rork, Deth, vi sono debitore. Astrin… — Subito tacque, quasi che il nome appena pronunciato gli avesse riempito la bocca di un sapore amaro.

Il volto di Astrin era chiuso e impenetrabile come uno dei libri di Yrth; nei suoi occhi bianchi non c’era alcuna espressione. Pallido e teso nelle sue vesti malconce, girò uno sguardo estraneo sulla lussuosa sala. Morgon, sentendosi attribuire un padre che egli non conosceva, desiderò futilmente e disperatamente che lui ed Astrin fossero ancora nell’unico luogo a cui sentiva di appartenere, nella piccola casa sul mare, a rimettere insieme pezzi di vetro e cocci. Volse gli occhi attorno, sui silenziosi estranei che lo fissavano. Poi il suo sguardo fu attratto da qualcosa in fondo alla sala, qualcosa che scintillava fino a lui da quella distanza e che lo costrinse a girarsi da quella parte come in risposta a un cenno.

Un lieve ansito gli uscì di bocca. Nella mutevole luce delle torce, una grande arpa troneggiava su un tavolo. Era di fattura antica e stupenda, con intrecci d’oro ribattuti nel levigatissimo legno chiaro intarsiato con lune e mezze lune, d’avorio e d’osso. Sulla faccia anteriore del montante, in basso, fra un serto di lune piene in oro, c’erano tre perfette stelle rosso-sangue.

Morgon si avvicinò ad esse, sentendosi come se la sua voce e la sua identità e i suoi ricordi fossero stati strappati via da lui una seconda volta. Nulla esisteva più nella sala, se non quelle lampeggianti stelle ed il suo accostarsi ad esse. Le raggiunse, le toccò. Le sue dita scivolarono via da loro seguendo la traccia del bel disegno d’oro profondamente sepolto nel legno. La sua mano si mosse lungo le corde, e alla ricca, dolce cascata di note che si sparse nell’aria, in lui nacque per quell’arpa un amore che soverchiò tutte le sue traversie, tutti i ricordi delle ultime oscure settimane. Si volse, tornò a fissare il gruppo silenzioso dietro di lui. Il volto sereno dell’arpista ebbe una lieve contrazione nella luce del fuoco. Morgon fece un passo verso di lui.

— Deth!

CAPITOLO QUARTO

Nessuno si mosse. Morgon, sentendo il mondo scivolare di nuovo al suo posto normale con semplicità, come se si ridestasse allora da un sogno, girò una seconda volta lo sguardo sulle antiche e massicce mura del salone, sugli sconosciuti che lo fissavano, sulle collane nobiliari a doppi anelli che scintillavano sui loro petti. I suoi occhi tornarono sull’arpista. — Eliard…!

— Sono andato a Hed per informarlo… in qualche modo… che forse eri affogato; lui ha replicato che tu dovevi essere ancora vivo, dal momento che il governo della terra non era ancora passato affatto a lui. Così ho cercato di ritrovarti, da Caithnard a Caerweddin.

— Come avete…? — Tacque, ricordando il vascello vuoto inclinato su un fianco, l’ululare del vento. — Come abbiamo potuto sopravvivere?

— Sopravvivere a cosa? — chiese Astrin. Morgon lo fissò senza vederlo.

— Quella notte stavamo navigando verso An. Portavo ad Anuin la corona di Peven di Aum. L’equipaggio è svanito di colpo. Siamo stati travolti da una burrasca.

— L’equipaggio è… che cosa? — domandò Rork.

— Sono svaniti. I marinai, i mercanti, in mare aperto… In mezzo a una tempesta, la nave si è fermata d’improvviso ed è affondata, con tutto il carico di grano e di animali. — Tacque ancora, risentendo la frusta del vento scatenato e carico di spruzzi, ricordando qualcuno che era lui e che tuttavia non era lui disteso semi-affogato su una spiaggia, senza nome, senza voce. Si girò a sfiorare l’arpa. Poi, abbassando gli occhi sulle tre stelle che bruciavano sotto la sua mano come le stelle che aveva sulla fronte, ansimò stupefatto: — Da quale angolo del mondo viene quest’arpa?

— Alcuni pescatori l’hanno trovata la scorsa primavera — rispose Hereu Ymris, — non lontano da dove vi trovavate voi e Astrin. Era stata gettata a riva dal mare. La portarono qui poiché pensarono che fosse stregata. Nessuno la può suonare.

— Nessuno?

— Nessuno. Le corde erano mute finché voi non le avete toccate.

Morgon allontanò la mano dall’oggetto. Vide il lampo di timore negli occhi di Hereu riflettersi identico in quelli di Astrin mentre i due lo guardavano, e si sentì di nuovo, per un momento, uno straniero per se stesso. Volse le spalle all’arpa, tornò di fronte al camino. Dinnanzi ad Astrin si fermò; i loro occhi s’incontrarono in un breve, familiare silenzio. In un sussurro Morgon disse: — Grazie.

Per la prima volta da quando Morgon lo conosceva, Astrin sorrise. Poi guardò Hereu, oltre la spalla di Morgon. — Questo è sufficiente? O intendi ancora portarmi a giudizio per aver tentato di uccidere un sovrano?

Hereu strinse i denti. — Sì! — La sua espressione testarda era il riflesso oscuro di quella di Astrin. — Lo farò, se cercherai di andartene da questa sala senza avermi dato una spiegazione del motivo per cui hai ucciso due mercanti, e poi hai minacciato di ucciderne un terzo quando egli vide il Principe di Hed ferito in casa tua. Qui ad Ymris ci sono già state fin troppe chiacchiere infondate su di te: non voglio che se ne aggiunga un’altra di questo genere.

— Perché dovrei dare spiegazioni? Tu desideri credermi? Poni le tue domande al Principe di Hed. Cosa ne avresti fatto di me, se egli non avesse ritrovato la voce?

Hereu esplose, esasperato: — Cosa credi che avrei dovuto fare? Mentre tu te ne stavi all’altro capo di Ymris a scavare cocci di bottiglia, Meroc Toc ha messo a ferro e fuoco metà delle terre costiere di Ymris. Ieri ha attaccato Meremont. A quest’ora potresti essere morto, se non avessi mandato Rork e Deth a toglierti da quella baracca a cui stavi attaccato come un’ostrica!

— Tu li hai mandati per…

— Cosa credi che io sia? Pensi forse che io creda a ogni voce che sento su di te… inclusa quella secondo cui ogni notte ti trasformi in un animale e vai in giro a scannare i gatti?

— Cos’è che farei io?

— Tu sei l’Erede di Ymris, e sei mio fratello, col quale io sono cresciuto. Ne ho abbastanza di mandare messi in Umber ogni tre mesi, per sapere da Rork se sei vivo o morto. Ho per le mani una guerra che non capisco, e ho bisogno di te. Ho bisogno delle tue capacità e della tua intelligenza. E voglio sapere questo: chi erano i mercanti che hanno cercato di ammazzare te e il Principe di Hed? Erano uomini di Ymris?

Astrin scosse la testa. Sembrava stordito. — Non ne ho idea. Noi eravamo… io lo stavo portando a Caithnard per scoprire se i Maestri lo conoscessero, quando siamo stati aggrediti. Lui è stato ferito; io ho ucciso i mercanti. Non credo che fossero davvero mercanti.