Morgon si appoggiò indietro sulla sedia. Stancamente disse: — Non posso usare un’arpa per aggiustare il tetto di Snog Nutt.
— Cosa?
— Non ho mai sentito dire che un segno del destino possa essere di qualche utilità a un Principe di Hed. Mi spiace che Hereu abbia sposato la donna sbagliata, ma questo è affar suo. È molto bella, e lui la ama, così non vedo perché tu debba prendertela tanto. Io stavo andando ad Anuin per prender moglie a mia volta, quando per poco non sono stato ucciso. Secondo logica sembrerebbe infatti che qualcuno mi voglia eliminare, ma questo è affar suo; io non ho intenzione di lambiccarmi il cervello nel tentativo di immaginarne i motivi. Non è che io mi sia rimbecillito; è che se solo comincio a pormi delle domande… ad esempio come: cosa sono queste tre stelle?… allora m’imbarco in una gara di enigmi che non vorrò mai lasciare interrotta. Dunque preferisco non conoscere. Preferisco andarmene a casa mia, aggiustare il tetto di Snog Nutt, e poi bere un bicchiere di birra in buona compagnia.
Astrin studiò il suo volto per alcuni secondi, ma fu a Deth che si rivolse: — Chi è questo Snog Nutt?
— Il guardiano del suo porcile.
Astrin allungò una mano a sfiorare il volto di Morgon. — Avresti fatto meglio a morire nella boscaglia, visto come ti ha ridotto questa cavalcata interminabile sotto la pioggia. Sarei disposto a portarti in spalla a Hed e poi ad aggiustare con le mie mani il tetto del tuo lavorante, pur d’essere certo che lascerai vivo questa camera. Io temo per la tua vita, in questa casa, specialmente ora che hai scoperto quell’arpa così opportunamente sistemata qui, e sotto gli occhi di Eriel Ymris. Deth, tu hai quasi perso la vita a causa di quel popolo misterioso; il Supremo ti ha detto chi sono costoro?
— Il Supremo, oltre al fatto d’aver salvato la mia vita e senza dubbio anche quella di Morgon, per ragioni sue personali, non mi ha detto assolutamente nulla. Ho dovuto scoprire per conto mio se Morgon fosse vivo o no, e dove fosse finito. Tutto ciò era imprevisto per me, ma il Supremo segue i suoi propositi e solo lui li conosce. — Piazzò un ceppo fra le braci e restò a fissarlo. Ai lati della sua bocca s’erano formate delle sottili e rigide rughe. Proseguì: — Voi sapete che io non posso fare niente senza le sue istruzioni. Devo guardarmi bene dall’offendere in qualche modo il Re di Ymris, visto che agisco nel nome del Supremo.
— Lo so. Avrete notato che non vi ho chiesto se mi credete o no. Ma avete qualche consiglio da darmi?
Deth gli indicò Morgon. — Vi consiglio di far chiamare la dottoressa del Re.
— Deth…
— Non c’è altro che si possa fare, se non attendere. E vegliare. Malato com’è! Morgon non può esser lasciato solo.
Qualcosa si rilassò sul magro e pallido volto di Astrin. Si alzò con decisione. — Convincerò Rork a stare in guardia, come noi. Può darsi che non mi creda, ma mi conosce abbastanza da intuire qualcosa di losco in questa faccenda.
La dottoressa del Re, Dama Anoth, un’anziana e simpatica donna dalla voce secca, diede un’occhiata a Morgon e ignorando le sue proteste lo costrinse a bere un liquido che lo fece piombare in un sonno drogato. Si risvegliò molte ore dopo, lucido e inquieto. Astrin, rimasto a sorvegliarlo, aveva ceduto al sonno accanto al caminetto, esausto. I suoi pensieri tornarono all’arpa nel salone, ne udì ancora la limpida e ricca voce, risentì sotto le dita la tensione delle corde perfettamente registrate. Nella sua mente prese poi forma una riflessione inquietante, un’interrogativo su ciò che stava dietro l’antica origine e la magia di quell’arpa. Si alzò con qualche fatica, si avvolse attorno alle spalle la coperta pelosa del letto e uscì di camera senza far rumore. Nelle ampie sale vuote e nei corridoi silenziosi, le torce illuminavano la muta levigatezza delle porte chiuse. Con strana sicurezza egli individuò il percorso e trovò le scale che scendevano nella sala del trono.
Le tre stelle balenavano come occhi nell’ombra. Sfiorò l’arpa, la sollevò fra le mani e fu sorpreso nel sentirne la leggerezza, in contrasto con le sue dimensioni. L’antico ed elegante intreccio di intarsi in oro sembrava bruciare sotto le sue dita. Toccò una corda, e al delizioso vibrare di quella nota solitaria sorrise. Poi un violento accesso di tosse lo fece piegare in due, e nella ferita gli esplose una fitta di dolore; si tappò la bocca con la coperta per non far rumore.
All’improvviso una voce dietro di lui mormorò: — Morgon!
Dopo qualche istante egli si raddrizzò, pallido, esausto. Eriel Ymris stava scendendo le scale, seguita da una ragazza che portava una torcia. La vide avvicinarsi con calma attraverso la sala, affascinante, coi capelli sciolti che la rendevano ancora più giovane. In tono di blanda curiosità le disse: — A quanto mi ha raccontato Astrin, voi siete morta.
Lei si fermò. La sua espressione, nell’ombra, era impossibile da decifrarsi. In tono quieto sussurrò: — No. Lo siete voi.
Le mani di lui scivolarono sulle corde dell’arpa, senza però farle vibrare. Da qualche parte dentro di lui, troppo lontana per preoccuparsi, una voce gli stava gridando un avvertimento. Scosse la testa. — Non ancora. Chi siete voi? Siete Madir? No, lei è morta. E a lei non piaceva uccidere gli uccelli. Siete Nun?
— Anche Nun è morta. — Lei lo fissava senza sbattere le palpebre, gli occhi colmi di strani fuochi. — Non siete andato abbastanza indietro nel tempo, Signore. Potreste tornare con la mente al passato più lontano, ai primi enigmi che furono pronunciati, e non basterebbe. Io sono ancora più antica.
Lui si costrinse a ricordare tutto ciò che aveva studiato, esplorò enigma dopo enigma, ma non la trovò da nessuna parte. Disse, incredulo: — Voi non esistete nei libri dei Maestri… e neppure nei libri di magia che si sono potuti aprire. Chi siete?
— L’uomo saggio sa dare un nome al suo nemico.
— L’uomo saggio sa di avere dei nemici — replicò lui, con un filo di asprezza. — Quali sono? Le stelle? Vi aiuterebbe sapere che l’ultima cosa che voglio fare è di combattervi? Tutto ciò che desidero è di essere lasciato in pace a governare Hed.