Silenzioso e rigido Astrin lo fissava, il volto simile a una maschera. Poi qualcosa s’incrinò nella sua espressione. Gli volse le spalle e sussurrò: — Da te non potevo aspettarmi nient’altro che questo. Ritornerò alla Piana del Vento. Quella donna ha quasi ucciso il Principe di Hed nella tua stessa casa, tre notti fa; non starò qui ad assistere al suo trionfo. Goditelo tu, che l’hai sposata.
Uscì, lasciando Hereu a guardare la porta spalancata. Morgon vide nascere nei suoi occhi un inizio di spiacevole dubbio, di tormentosa incertezza, prima che anch’egli se ne andasse.
Sotto le coltri si agitò inquieto. Quel litigio irrisolvibile, gli interrogativi senza risposta, l’oscuro e schiacciante ricordo della morte dei suoi genitori, stagnavano come un’escrescenza morbosa in fondo alla sua mente. Cercò di alzarsi, gemette, ricadde indietro e cedette ancora alla sonnolenza. Si ridestò soltanto nell’udire il cigolio dei cardini della porta. Astrin venne accanto al letto.
Morgon borbottò: — Sognavo di quella coppa che ho rotto: le figure si stavano muovendo attorno ad essa in uno strano schema, un enigma che ero ormai sul punto di risolvere quando s’è frantumata, e con essa le risposte a tutti gli enigmi del mondo sono andate in frantumi. Perché sei tornato? Non avrei potuto biasimarti se te ne fossi andato da qui.
Invece di rispondere, Astrin gli tolse di dosso il copriletto, lo ripiegò con movimenti metodici, ne fece un fagotto peloso, e lo abbassò sul volto di lui premendovelo con tutta la sua forza.
Il grido di Morgon fu assorbito dal pelame che gli riempiva la bocca. L’invincibile peso che gli schiacciava la coperta sul volto forzava quella peluria nei suoi occhi, fra le sue labbra spalancate. Afferrò le mani che lo stavano soffocando, si contorse disperatamente per liberarsene e rotolare giù dal letto, mentre la pressione del sangue sembrava fargli esplodere il cranio e una nebbia lo trascinava in circoli di oscurità sempre più nera.
Poi la sua bocca ritrovò l’aria, un ansito fresco gli penetrò nei polmoni ed egli finì in ginocchio sul pavimento, con la gola spezzata dai rantoli e dai gemiti inarticolati. A lato del camino Hereu, con le mani artigliate al petto della tunica di Astrin, lo stava schiacciando rabbiosamente con le spalle al muro, mentre la spada di Rork Umber si puntava come una lingua di fiamma contro un fianco dell’uomo.
Morgon si alzò in piedi. Hereu e Rork dardeggiavano sguardi sbalorditi sul silenzioso individuo dagli occhi bianchi. Rork sussurrò, come se non avesse voce per esprimere quell’accusa: — Non riesco a crederlo! Non posso credere che…
Un movimento della porta attrasse gli occhi di Morgon. Fece per parlare ma il fiato gli si strozzò in gola, e dalle sue corde vocali paralizzate emerse un rauco lamento che indusse gli altri due a volgere le loro facce rigide e stupefatte.
— Hereu!
Il Re sussultò come a una scudisciata. Sulla soglia della camera c’era Astrin. Per un interminabile istante nessuno si mosse, poi Hereu socchiuse le palpebre duramente. Ringhiò: — Bada! Io non ho il tuo dono per le visioni. E se ti ho smascherato, questa non la capisco!
Rork esclamò allarmato: — Hereu!
L’individuo dinnanzi alla sua spada protesa stava svanendo. Roteò come una colonna di fumo nello spazio fra i loro corpi e la parete, in un istante si smaterializzò del tutto, e un grosso uccello bianco schizzò nell’aria dritto verso Astrin.
L’uomo alzò le braccia, ma non riuscì ad impedire al volatile di sbattergli con violenza in faccia. Entrambi gridarono, lui con voce umana e l’uccello con uno stridio furioso. Astrin cadde al suolo premendosi le mani sugli occhi. Morgon fu il primo a soccorrerlo, gli passò un braccio dietro le spalle e vide il sangue colare fra le dita con cui si copriva l’occhio destro. Nella stanza risuonò uno schianto; il vento freddo sibilò all’interno fra gli spunzoni policromi del vetro della finestra, nello squarcio che l’uccello aveva lasciato fuggendo per quella via.
Hereu s’inginocchiò accanto al fratello. Con un mormorio impietosito, che l’emozione rendeva incoerente, gli fece scostare le dita dall’occhio ferito. Ansimò un’imprecazione, poi si volse a un servo dal volto bianco come un cencio che era comparso nel corridoio:
— Chiama Anoth!
Astrin, col capo riverso contro una spalla di Morgon, a occhi chiusi, disse aspramente: — Stavo per andarmene, ma non ho potuto. Sono tornato nella camera di Morgon per vedere se tu eri ancora qui, e mentre scendevo le scale ho visto… ho visto me stesso in fondo al corridoio, entrare in questa stanza. Allora ho fatto qualcosa che non ero mai stato capace di fare prima. Ti ho lanciato un richiamo attraverso le pietre dei muri, nella tua mente… il richiamo dei maghi. E ho atteso… sì, ho atteso. È stato terribile doverlo fare, ma tu volevi una prova.
— Lo so. Ora non muoverti. Tu hai fatto… — Tacque. Per qualche istante nulla di lui si mosse, né il suo respiro, né le sue mani, né i suoi occhi, mentre il suo volto si faceva esangue. Sussurrò: — Cinque lunghi anni fa. Un uccello bianco! — Con un ginocchio a terra fissò il fratello, e nessuno dei due disse altro. Hereu si alzò di scatto; subito Rork lo afferrò per le spalle.
— Hereu!
Il Re si staccò le sue mani di dosso, uscì e si allontanò a passi lunghi nel corridoio deserto e silenzioso. Morgon chiuse gli occhi. Dama Anoth arrivò, accigliata e col fiato grosso, e dopo aver curato l’occhio di Astrin glielo bendò. Rork lo aiutò a rialzarsi. Quando furono usciti, Morgon, rimasto solo con se stesso, constatò che il peso del malessere fisico l’aveva abbandonato. Andò alla finestra e sfiorò gli spunzoni di vetro dello squarcio. Fu allora che vide in distanza, oltre la periferia di Caerweddin, le pietre della città in rovina di Pian Bocca di Re, disperse lungo la costa come lo scheletro di un gigante senza nome.
Si vestì, uscì in corridoio e scese nel grande salone. La luce del fuoco continuava a trarre riflessi dalle stelle intarsiate nel montante dell’arpa. La sollevò dal tavolo e se l’appese a una spalla con la cinghia ingioiellata. Sentendo un passo dietro di sé si volse. L’arpista del Supremo, con espressione che la morbida luminosità rendeva più assorta, allungò una mano a toccare le tre stelle.
La sua voce fu un mormorio: — Io ero là, quando Yrth costruì quest’arpa. Ho udito la prima canzone delle sue corde…
L’uomo gli strinse con gentilezza la spalla, e Morgon sentì placarsi il tremito che lo aveva scosso. — Voglio andarmene — disse.
— Chiederò al Re di metterti a disposizione una nave e la scorta. Mi sembra che tu stia abbastanza bene da poter viaggiare fino a Hed, a patto che ti riguardi.
— Non andrò a Hed. Voglio andare a Monte Erlenstar. — Girò il capo a fissare le tre stelle, ed esse parvero il riflesso di quelle che aveva sulla fronte. — Io posso ignorare il fatto che si attenti alla mia vita. Posso sopprimere le mie curiosità. Posso rifiutare perfino il sospetto, o la certezza, che in me ci sia, da qualche parte, un uomo il cui nome non conosco. Ma non posso negare che queste tre stelle sulla mia fronte potrebbero essere mortali per coloro che amo. Così andrò a Monte Erlenstar, per domandare al Supremo il perché.
L’Arpista restò in silenzio; Morgon non riuscì a decifrare l’espressione dei suoi occhi. Poi chiese: — Andrai via mare?
— No. Voglio essere sicuro di arrivarci vivo.
— La stagione è troppo avanzata per viaggiare verso nord. Sarà un viaggio lungo, solitario e pericoloso; starai assente da Hed per mesi.
— Stai cercando di dissuadermi? — disse Morgon, sorpreso.
La mano sulla sua spalla si strinse un poco. — Sono ormai tre anni che non vado a Monte Erlenstar, e, in mancanza di altre istruzioni del Supremo, vorrei tornare a casa mia. Posso viaggiare con te?