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Per un giorno intero spinsero i cavalli in un territorio tutto roccia e fango, e alla sera si accamparono sul tardi, troppo stanchi per dedicarsi ad altre attività che non fossero il fuoco e la cena. Mangiarono, srotolarono i loro giacigli umidi, e vi si stesero dentro rabbrividendo. Su quel terreno irregolare Morgon non riuscì a trovare una posizione comoda, e per un po’ non fece che chiudere gli occhi e riaprirli, brontolando contro le pietre sotto di lui. Quando s’addormentò sognò della zona che avevano appena attraversato, desolata, buia, con la pioggia che la martellava incessantemente. E oltre il ticchettio della pioggia un rumore simile a uno scalpiccio di stivali gli raggiunse la mente. Si contorse, dolorante a causa di uno spunzone che gli tormentava la schiena, e aprì di nuovo gli occhi. Nella debole luce arancione delle braci ancora accese vide una figura umana china a fissare Deth, e una lancia puntata sul petto dell’arpista.

Con un ansito Morgon raccolse il primo sasso che gli capitò sottomano, e lo scagliò con forza. Sentì un tonfo, un gemito rauco, e subito la figura scomparve dietro una roccia. Deth si svegliò con un sussulto. Sedette, volse a Morgon uno sguardo interrogativo; ma prima che potesse parlare nell’aria saettò un pezzo di roccia, scagliato con estrema precisione da qualcuno acquattato nel buio. Morgon ne fu colpito al braccio, e la pietra che aveva in mano gli cadde al suolo.

Una voce irritatissima sbottò: — Dobbiamo proprio tirarci sassi l’un l’altro come bambini?

Deth esclamò: — Lyra!

Morgon si mise a sedere con un grugnito. Una ragazza di quattordici o quindici anni avanzò e venne a chinarsi sul fuoco semispento, ravvivò le braci e vi gettò sopra dei ramoscelli. Indossava un liscio e pesante mantello color della fiamma, e i suoi capelli neri erano riuniti in due trecce che portava arrotolate sul capo come corona. Quando il fuoco ebbe ripreso si raddrizzò, tenendosi un braccio come se le dolesse. In una mano reggeva una leggera lancia di frassino dalla punta argentata. Morgon scivolò fuori dal giaciglio. Qualcosa nell’espressione di lui non dovette piacerle, perché la ragazza gli puntò minacciosamente la lancia addosso, con un’occhiataccia.

— Non ne hai abbastanza?

— Chi sei? — chiese Morgon.

— Io sono Lyraluthuin, figlia della Morgol di Herun. Tu sei Morgon, Principe di Hed. Abbiamo l’ordine di portarti dalla Morgol.

— Nel mezzo della notte? — ribatté lui. — Io e Deth?

La ragazza sollevò una mano di scatto, e come un circolo di colore scarlatto dall’oscurità sbucarono altre giovani donne abbigliate nella stessa foggia elegante, armate di lance dalla punta scintillante. Sfregandosi il braccio colpito Morgon le fissò con ostilità. Con un rapido sguardo interrogò Deth. L’arpista scosse la testa.

— No. Se questa fosse una trappola di Eriel, tu saresti già morto.

— Io non so chi sia questa Eriel — disse Lyra altezzosamente. Poi la sua voce si fece franca, rassicurante. — E questa non è una trappola. È una richiesta.

— Hai uno strano modo di fare richieste — commentò Morgon. — Apprezzerei molto l’onore d’incontrare la Morgol di Herun, ma non posso azzardarmi a sprecare tempo proprio ora. Dobbiamo raggiungere il Passo Isig prima che cada la neve.

— Vedo. Vuoi entrare a Corona sul tuo cavallo come si conviene a un sovrano, o preferisci arrivarci legato di traverso sulla sella come un sacco di grano?

Morgon la fissò, seduto sul giaciglio. — Che razza di accoglienza è questa? Se la Morgol venisse a Hed, non si vedrebbe certo ricevuta…

— A sassate? Sei stato tu ad attaccarmi per primo.

— Stavi puntando la lancia addosso a Deth. Avrei dovuto chiedertene educatamente il perché?

— Avresti potuto immaginare che non avrei mai toccato l’arpista del Supremo. Per favore, alzati e sella il tuo cavallo.

Morgon si distese all’indietro e incrociò le braccia. — Non andrò da nessuna parte — disse fermamente. — A quest’ora di notte io dormo.

— Non siamo in piena notte. È ormai l’alba — disse Lyra con freddezza. Con un movimento svelto brandì la lancia verso di lui e gli strappò di dosso la coperta, poi la passò sotto la cinghia dell’arpa e la sollevò. Lui si alzò per afferrare lo strumento, ma la lancia ruotò allontanandolo dalla sua portata. La ragazza ne sfilò via la cinghia, si mise l’arpa a tracolla. — La Morgol mi ha messo in guardia contro quest’arpa. Avresti dovuto distruggere le nostre lance se ci avessi pensato prima. E ora che ti sei alzato, avanti, sella il cavallo.

Morgon sbuffò impermalito. Poi vide uno scintillio negli occhi limpidi che lo sfidavano, un sorrisetto segreto che stranamente gli ricordò Tristan. L’irritazione gli scivolò via dal volto, ma sedette di nuovo sul terreno scabro e dichiarò: — No. Non ho il tempo di andare a Herun.

— Allora tu verrai…

— E se mi porterete in ceppi nella Città dei Cerchi, i mercanti ne porteranno notizia per tutto il reame in pochi mesi, ed io me ne lamenterò prima con la Morgol e poi col Supremo stesso.

Lei tacque per qualche istante, poi sollevò fieramente la testa. — Io faccio parte della Guardia della Morgol, e ho un dovere da compiere. Tu verrai, in un modo o nell’altro.

— No.

— Lyra — disse Deth. C’era una sfumatura divertita nella sua voce, che tuttavia suonò abbastanza distaccata. — Dobbiamo essere a Isig prima dell’inverno. Non possiamo permetterci di perdere tempo.

Lei chinò il capo rispettosamente. — Io non cerco affatto di far ritardare voi. Non volevo neppure svegliarvi. Ma se la Morgol richiede la presenza del Principe di Hed.

— Il Principe di Hed intende recarsi dal Supremo.

— Io ho un dovere…

— Il tuo dovere non ti esenta dal rispetto dovuto ai sovrani.

— Rispettosa o meno — aggiunse Morgon, — non andrò con lei. Perché stai a discutere con lei? Ordinaglielo. Dovrà ascoltarti. È una bambina, e noi noi possiamo perder tempo coi giochi da bambini.

Lyra lo fronteggiò sdegnosa. — Nessuno che mi conosca osa chiamarmi così. Io ti dico che verrai, volente o nolente. La Morgol ha delle domande che si compiacerà di porti, sulle stelle che hai in fronte e su quest’arpa. Sono cose che lei ha già visto. Te lo avrei detto fin dall’inizio, ma ammetto d’aver perso la calma quando mi hai colpito con quel sasso.

Morgon la osservò con interesse. — Dove? — chiese. — Dove le ha già viste?

— Te lo dirà lei. Inoltre c’è anche un enigma di cui sono autorizzata a parlarti, ma soltanto quando avremo attraversato le montagne e le paludi e saremo in vista di Corona. Lei dice che concerne il tuo nome.

Nella debole luce del fuoco il volto di Morgon parve arrossire di colpo. Si alzò in piedi. — Verrò con te.

Cavalcando dall’alba al tramonto i due uomini seguirono Lyra attraverso le antiche montagne, lungo un valico poco frequentato, e la notte successiva si accamparono oltre le loro pendici. Morgon, avvolto nel mantello e seduto accanto al fuoco, lasciò vagare lo sguardo sull’umido respiro di nebbia che gli acquitrini esalavano verso di loro e su per le montagne. Deth, con le mani un po’ intirizzite dal freddo, cominciò a suonare una canzone senza parole che con la sua dolcezza finì per danzare nei pensieri di Morgon e lo costrinse ad ascoltare, dimentico delle sue preoccupazioni.

Quando la musica si spense, chiese: — Com’è intitolata? È deliziosa.

Deth sorrise. — Non le ho mai dato un titolo. — Restò in silenzio per qualche istante, poi allungò una mano a prendere la custodia dell’arpa. Lyra apparve senza far rumore nel lieve alone irradiato dal fuoco. — Non smettete — lo pregò. — Tutte vi stavamo ascoltando. Quella era la canzone che avete composto per la Morgol.