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— Corona — annunciò Lyra. — Anche conosciuta come la Città dei Cerchi. — Tirò le redini del cavallo, e dietro di lei le ragazze della Guardia si fermarono.

Con gli occhi fissi su quelle lontane file di edifici Morgon disse: — Ho sentito parlare di questa città. Cosa significano i sette cerchi di Herun, e chi li costruì? Rhu, il quarto Morgol, strutturò così la città, costruendo un cerchio di case per ognuno degli otto enigmi che volle porre a sé stesso, e ai quali cercò le risposte. Ma non esaudì del tutto i suoi propositi: il viaggio che intraprese alla ricerca della soluzione dell’ottavo enigma lo uccise. Quale fosse questo enigma, nessuno lo seppe mai.

— La Morgol lo sa — disse Lyra. La frase lo fece voltare di scatto, e qualcosa nelle profondità della sua mente si agitò come un groviglio di spine. La ragazza continuò: — L’enigma che uccise Rhu è quello che la Morgol mi ha detto di proporti: Chi è il Portatore di Stelle, e qual è il legame che lui scioglierà?

Morgon restò senza fiato. Scosse la testa, mentre dalla sua bocca usciva una parola senza suono. Poi riuscì a gridare, con una veemenza che la lasciò sbigottita: — No!

Strattonò le redini per far girare il cavallo, lo spronò e l’animale balzò avanti passando al galoppo sul solido terreno erboso. Morgon si piegò sul suo collo fremente, spronandolo verso la distesa di acquitrini che in distanza apparivano ingannevolmente simili a una piana incolta, ai piedi delle basse montagne. Non udì il tambureggiare di zoccoli dietro di lui finché una massa in movimento non lo costrinse a voltarsi di lato. Rigido per l’ira imprecò, e scosso dai sobbalzi diede ancora di sprone all’animale per incitarlo allo sforzo massimo; ma lo stallone nero continuò ad affiancarlo come un’ombra, senza rallentare né accelerare l’andatura, mentre sotto di loro scorreva la pista piena d’impronte che avevano percorso poc’anzi. Ad un tratto s’accorse che il cavallo non reggeva più il galoppo e lo sentì passare al trotto irregolare con un ansito sfiatato. Qualche istante dopo Deth riuscì ad accostarlo e afferrò con decisione le sue redini, costringendolo a fermarsi bruscamente.

L’arpista aveva il fiato mozzo. — Morgon…!

Lui gli strappò le redini di mano e fece indietreggiare il cavallo. — Io torno a casa! — disse con voce spezzata. — Non sono obbligato ad andare avanti. Decido io il mio destino!

Deth alzò di scatto una mano, come per placare un animale spaventato. — Sì. Puoi fare la tua scelta. Ma non è cavalcando alla cieca fra le paludi di Herun che raggiungerai Hed. Se vuoi tornare alla tua isola, io stesso ti accompagnerò. Ma Morgon, prima rifletti un momento. Tu sei stato addestrato a riflettere. Io posso guidarti attraverso gli acquitrini, ma poi cosa farai? Intendi attraversare di nuovo Ymris? O ti imbarcherai a Osterland?

— Aggirerò Ymris e raggiungerò Lungold… prenderò la strada dei mercanti per Caithnard. Mi travestirò da mercante e…

— E forse sarai così fortunato da approdare vivo a Hed, va bene, ma poi? Rimarrai là, senza nome, legato a quell’isola per il resto della tua vita.

— Tu non capisci! — Gli occhi di lui lampeggiavano come quelli di un animale inseguito. — La mia vita è stata predeterminata… costruita per me da qualcosa… da qualcuno che ha visto ciò che avrei fatto, molto prima che io capissi perché lo stavo facendo. Come poteva Yrth, centinaia di anni fa, vedermi nitidamente al punto di fare quest’arpa per me? e duecento anni fa, chi fu a vedermi ed a proporre al Morgol Rhu l’enigma che lo uccise? Sono stato costretto in un intreccio di avvenimenti di cui non vedo il disegno, che non posso controllare… mi è stato dato un nome che non voglio… ma ho il libero arbitrio! Io sono nato per governare Hed, e quella è la terra a cui appartengo… quello è il mio nome e il mio posto.

— Morgon, tu puoi vedere in te soltanto il Principe di Hed, ma ci sono altri che cercano le risposte alle stesse domande che tu ti poni, e costoro ti hanno dato questo nome: Portatore di Stelle. E non avranno pace finché tu non sarai morto. Ti seguiranno anche là. Vuoi forse aprire a Eriel le porte di Hed? Vuoi che ti cerchino là quelli che hanno ucciso Athol e Spring, e fatto naufragare la nostra nave? Credi che avrebbero pietà dei tuoi contadini, del tuo guardiano dei porci e degli altri? Se adesso torni a Hed la morte cavalcherà con te, e forse la troverai già la ad aspettarti, dietro la porta fracassata della tua casa.

— Allora non andrò a Hed. — Lo sforzo con cui pronunciò quelle parole gli deformò il volto in una smorfia. Evitò gli occhi di Deth. — Andrò a Caithnard, per prendere il Nero e insegnare…

— Insegnare cosa? Quegli enigmi che per te non sono più verità, ma soltanto vecchie favole ingiallite dagli anni…

— Questo non è vero!

— E che ne sarà di Astrin? E di Hereu? Anch’essi sono legati all’enigma della tua vita; e hanno bisogno della tua lucidità, del tuo coraggio…

— Io non ne ho! Non per questo! Mi è accaduto di vedere la morte, ho potuto guardarla e darle il suo nome, ma questa… questa strada che è stata costruita perché io la segua… non posso neanche vederla! Non so chi io sia, né cosa sia nato per fare. In Hed, almeno, ho un nome!

Deth lo fissò con calma. Aveva fatto riavvicinare il cavallo al suo, e allungò una mano a stringergli un braccio. — C’è un nome per te fuori di Hed. Morgon, a che servono gli enigmi di Caithnard e le loro interpretazioni se non per questo? Stai facendo come Sol di Isig, paralizzato dalla paura fra la morte e una porta che era stata chiusa per centinaia di anni. Se non hai fede in te stesso, abbila nelle cose che hai studiato e che definisci verità. Tu sai ciò che deve essere fatto. Può darsi che tu non abbia il coraggio, o la fede, o la comprensione, o la volontà difarlo, ma sai cosa va fatto. Non puoi tornare indietro. Non ci sono risposte dietro di te. Temi ciò di cui non conosci il nome? Allora affrontalo e cerca di saperne il nome. Tieni lo sguardo rivolto innanzi a te, e impara. Fai ciò che deve essere fatto.

Il vento che cominciava a soffiare con forza giù verso la pianura li investì con una raffica, piegando al suolo le erbe. Dietro di loro, fulgide come fiori scarlatti messi in fila, le guardie della Morgol attendevano.

Morgon fissò le redini che stringeva in pugno, come se fossero le redini della sua vita. Rialzò poi lentamente lo sguardo. — Non fa parte delle tue mansioni, come arpista del Supremo, darmi questi avvertimenti. O mi parli come a uno che abbia il diritto d’indossare il Nero dei Maestri? Nessun maestro degli enigmi a Caithnard mi ha mai dato questo nome, Portatore di Stelle; non sanno neppure che esso esista. E tuttavia tu lo hai attribuito a me con naturalezza, come se ti fossi aspettato di doverlo fare. Quale speranza che nessuno salvo te ha mai visto, quale enigma, scorgi dentro di me? — L’arpista, distogliendo all’improvviso gli occhi dai suoi, non rispose. Morgon parlò con voce più alta: — Io ti chiedo questo: chi era Ingris di Osterland, e perché morì?

Deth gli tolse la mano dal braccio, con espressione un po’ stranita. Dopo un momento rispose: — Ingris di Osterland fece adirare Har, il Re di Osterland, poiché una notte egli apparve sotto le spoglie di un vecchio alla porta di Ingris, il quale rifiutò di farlo entrare. Così il Lupo-Re gettò su di lui questa maledizione: se il prossimo sconosciuto che avrebbe bussato alla porta di Ingris non gli avesse detto il proprio nome, Ingris sarebbe morto. E il primo sconosciuto che giunse, dopo che Har se ne fu andato, era… un certo arpista. Questo arpista diede a Ingris tutto ciò che lui gli chiese: canzoni, racconti, gli prestò la sua arpa, gli disse dei suoi viaggi… tutto, salvo il nome che Ingris voleva sentire e che gli chiese disperatamente. Ma ogni volta che Ingris gli domandava il suo nome l’arpista riusciva a rispondergli solo con un sussurro, e quando infine egli riuscì a capire il suo sussurro credette di udire questa parola: Morte. Così, intimorito da Har e disperato per la maledizione, egli sentì che il suo cuore si stava fermando e morì. — Deth tacque a disagio.