Il volto di Morgon s’era fatto più calmo mentre ascoltava. Accigliato mormorò: — Io non ho mai voluto pensare… Ma avresti potuto dare a Ingris il tuo nome. Il nome completo. L’interpretazione è: dai agli altri ciò che essi ti chiedono per poter vivere.
— Morgon, c’erano cose che io non potevo dare a Ingris, e cose che non posso dare a te adesso. Ma ti giuro questo: se porterai a termine questo tuo duro viaggio a Monte Erlenstar, ti darò tutto ciò che mi chiederai. Sarei disposto a darti la mia vita.
— Perché? — sussurrò lui.
— Perché tu porti tre stelle.
Morgon rifletté qualche momento; scosse la testa. — Non avrei mai il diritto di chiederti una cosa simile.
— La decisione spetterà a me. Hai pensato che quell’interpretazione si applica anche a te? Devi dare agli altri ciò che ti chiedono.
— E se io non potessi?
— Allora, come Ingris, tu morirai.
Morgon lasciò vagare gli occhi sul terreno molle, mentre il vento sembrava trarre lievi vibrazioni d’arpa dalle fronde degli alberi e gli faceva svolazzare il mantello e i capelli. Infine fece girare il cavallo e lo diresse lentamente verso il luogo dove aspettavano le Guardie. Senza far commenti le ragazze in uniforme rossa ripresero a scortarli verso la Città dei Cerchi.
CAPITOLO SESTO
La Morgol di Herun li attendeva nel cortile per dar loro il benvenuto. Era una donna alta, con capelli neri dalle sfumature azzurre che portava tirati all’indietro per lasciar scoperto il volto, sciolti sulle spalle di un largo abito verde-foglia. La sua dimora era il grande palazzo ovale di pietra nera. Canaletti alimentati dal fiume scorrevano un po’ ovunque nel cortile; l’acqua germogliava da fontane di pietra, formava sussurranti rigagnoli, scorreva in polle ombreggiate da alberi nelle quali nuotavano pesci rossi, verdi e dorati. La Morgol si accostò a Deth, che stava smontando, e gli sorrise. Morgon notò che era alta quanto l’arpista, e che aveva luminosi occhi d’oro.
— Mi spiace che Lyra abbia dato disturbo a voi — gli disse. — Spero che fermarvi qui non vi sia d’incomodo.
L’arpista la rassicurò con un sorrisetto. Quando parlò, nella sua voce c’era una nota che Morgon non gli aveva mai udito. — El, voi sapevate che avrei seguito il Principe di Hed dove lui avrebbe deciso di andare.
— E perché avrei dovuto saperlo? Voi avete sempre scelto da solo la vostra strada. Ma sono lieta che abbiate deciso di venire. Adoro la vostra musica.
I due vennero fianco a fianco verso Morgon, mentre donne silenziose ed efficienti conducevano i cavalli alle scuderie ed altre portavano i loro scarsi bagagli nel palazzo. Gli strani occhi dorati della Morgol erano fissi su di lui. Gli porse la mano. — Io sono Elrhiarhodan, Morgol di Herun. Potete chiamarmi El. Sono felice che siate qui.
Lui fece un lieve inchino, soltanto col capo, improvvisamente conscio d’essere sporco e malmesso. — Non mi avete dato molta scelta.
— No. — La voce di lei suonò gentile. — Non ve l’ho data. Avete l’aria piuttosto stanca. Per varie ragioni mi ero attesa che foste più anziano. Se avessi immaginato la vostra giovane età avrei preferito parlarvi di quell’enigma io stessa, invece di rischiare di spaventarvi a quel modo. — Si volse a salutare Lyra con un cenno. — Grazie per avermi condotto il Principe di Hed. Ma era proprio necessario tirargli un sasso?
Stupefatto Morgon vide Lyra sorridere appena. Poi la ragazza si fece seria. — Madre, è stato il Principe di Hed a colpirmi con una sassata per primo, e ho perso la calma. Inoltre gli ho detto cose… non esattamente diplomatiche. Ma non credo che sia ancora irritato con me. Non ha affatto l’aspetto di un guerriero, di nessun genere.
— No, ma è dotato di un’ottima mira, e se con te avesse usato un’arma ora non saresti qui a compiacere i miei occhi. Gli abitanti di Hed, secondo i loro costumi, non prendono mai le armi contro altri, il che è una restrizione lodevole. Forse non è stato saggio penetrare nel loro accampamento al buio; dovresti imparare a evitare gli equivoci. Ma hai saputo scortarli qui senza inconvenienti, e per questo ti ringrazio. Ora mangia qualcosa, figlia mia, e poi vai a dormire. — Lyra si allontanò, e la Morgol poggiò una mano su un braccio di Deth. — È cresciuta dall’ultima volta che l’avete vista. Ma è un po’ di tempo che non vi fermate a Herun. Venite.
Li precedette su per la breve scala d’ingresso, e attraverso le porte di legno bianco, borchiato d’argento. Nell’interno molti corridoi ad arco s’intrecciavano, apparentemente senza uno schema, collegando una quantità di locali; quelli per cui passarono, tappezzati in stoffe pregiate, ornati con strane piante, eleganti mobili e infissi di metallo lavorato, si susseguivano l’un l’altro come stanze del tesoro. La Morgol si fermò finalmente in una camera riscaldata da pannelli color arancio e oro, e li invitò a sedere su enormi cuscini morbidissimi ricoperti di lana candida. Subito dopo uscì.
Rendendosi conto che quella era una stanza da letto, Morgon si distese e rilassò muscolo dopo muscolo sul soffice giaciglio. Chiuse gli occhi e sospirò: — Non ricordo più da quanto tempo non toccavo un letto. Credi che… entrerà nella nostra mente?
— La Morgol ha il dono della vista totale. Herun è una terra piccola ma molto ricca; i morgol svilupparono questo loro potere fin dall’Anno dell’Insediamento, quando un esercito venuto dal nord di Ymris attaccò Herun per impossessarsi delle miniere. Herun è cinta da montagne, e i morgol impararono a vedere attraverso esse. Credevo che lo sapessi.
— Non m’ero reso conto che la loro vista giungesse a tanto. Mi ha lasciato di sasso. — Qualche secondo più tardi Morgon si addormentò, così profondamente che quando poco dopo entrarono delle cameriere con vassoi di cibarie e le loro borse, non si svegliò neppure.
Dormì a lungo, ed allorché riaprì gli occhi notò che Deth era uscito. Si lavò in un bacile, poi indossò gli abiti di stoffa arancione e dorata che la Morgol aveva fatto disporre lì per lui, leggeri e sciolti. Alla cintura era appeso un bel pugnale di metallo biancastro, con l’impugnatura in corno, che lui però lasciò in camera. Una serva gli fece da guida fino in un’immensa sala, bianca dal soffitto al pavimento, in fondo alla quale le ragazze della Guardia in uniforme rossa sedevano su cuscini intorno a un caminetto circolare, ciascuna con dinnanzi a sé un basso tavolino con vassoi di cibi fumanti. Deth, Lyra e la Morgol sedevano a un tavolo di lucida pietra bianca, su cui erano disposti calici e piatti in argento scintillante di ametiste. La Morgol, vestita in una tunica bianco-argentea e coi capelli riuniti in due trecce sulla sommità del capo, sorrise a Morgon e gli fece cenno di accomodarsi al loro tavolo. Lyra si spostò per fargli posto accanto a lei, quindi gli servì carne aromatizzata, frutti di stagione e verdure, formaggi diversi e un vino molto scuro. Deth, un po’ discosto dal tavolo, stava traendo arpeggi vellutati dal suo strumento. Concluse la lenta melodia senza parole e poi, con voce divertita, cantò una strofa della canzone che aveva composto per la Morgol.
Lei si volse come se l’arpista l’avesse chiamata per nome, e gli sorrise. — Vi ho costretto a suonare anche troppo. Sedete qui vicino a me, e mangiate un boccone.
Deth depose l’arpa e le si accostò. Indossava una tunica di stoffa argentata come i suoi capelli, e una collana di metallo lucido con incastonati alcuni fuochibianchi gli pendeva sul petto.