— No — disse Morgon.
— Dubiti delle mie capacità? — La ragazza estrasse il coltello, prese la lama fra il pollice e l’indice. — Vedi la cordicella che sorregge quella torcia, in fondo alla sala?
— Lyra, sei pregata di non incendiare il locale — mormorò la Morgol.
— Madre, voglio solo dimostrargli…
— Ti credo sulla parola — la rassicurò Morgon. Con le sue mani prese quella di lei, che stringeva il coltello. Calde e lisce le dita di Lyra ebbero un fremito, dandogli l’impressione di tenere un morbido uccellino fra le sue, e qualcosa che in quelle lunghe e dure settimane aveva quasi dimenticato lo sfiorò inaspettatamente. Mantenere un tono calmo e gentile gli costò uno sforzo. — Ti ringrazio. Ma se tu restassi ferita o uccisa nel tentativo di difendermi, non me lo perdonerei mai. Il mio solo desiderio è di viaggiare quanto più in fretta possibile, e senza attrarre l’attenzione di nessuno; soltanto a questo modo garantirò la mia sicurezza.
Lesse il dubbio negli occhi di lei, ma Lyra non volle replicare e rinfoderò il coltello. — Va bene, però ti proteggerò finché starai in questa casa. Neppure tu potrai trovar da ridire su questo, spero.
Quando ebbero terminato di cenare, Deth suonò per la Morgoclass="underline" dolci e antiche canzoni senza parole di An, ballate di Ymris e di Osterland. Più tardi, allorché depose l’arpa, nella sala erano rimasti soltanto loro quattro; nei candelabri le candele s’erano ridotte al lumicino. La Morgol si alzò da tavola con riluttanza.
— Si è fatto tardi — disse. — Farò rifornire le vostre bisacce, così non avrete bisogno di fermarvi in Osterland, se domattina mi direte di cosa avete bisogno.
— Grazie. — Deth si mise l’arpa a tracolla. La guardò un momento in silenzio, ed ella sorrise. Poi le disse: — Voglio restare. Tornerò qui.
— Lo so.
La donna li accompagnò attraverso il sorprendente intreccio di corridoi fino alla loro camera. Caraffe d’acqua e di vino erano state preparate lì per loro, con una pila di soffici coperte; nel caminetto il fuoco scoppiettava allegramente, spandendo nell’aria un profumo indefinibile ma piacevole.
Prima che El si voltasse per uscire, Morgon disse: — Posso lasciarvi alcune lettere da consegnare ai mercanti? Mio fratello non ha idea di dove io sia.
— Naturalmente. Vi farò portare carta e inchiostro. E se me lo permettete, avrei anch’io qualcosa da chiedervi. Posso vedere la vostra arpa?
Lui la tolse dalla custodia e gliela porse. La donna se la rigirò fra le mani, toccò le stelle e passò le dita sui delicati intarsi d’oro e sulle lune bianche. — Sì — mormorò. — Quando la vidi per la prima volta, la riconobbi. In passato Deth mi aveva parlato dell’arpa di Yrth, e quando l’anno scorso un mercante giunse qui con questo strumento fui certa che Yrth ne era stato l’artefice: un’arpa chiusa da un’incantesimo, dalle corde mute. Cercai con ogni mezzo di acquistarla, ma non era in vendita. Il mercante disse che era stata già promessa a un uomo, in Caithnard.
— Quale uomo?
— Non me lo disse. Perché? Morgon, ho detto qualcosa che vi ha addolorato?
Lui trasse un respiro. — Vedete, mio padre… Io credo che mio padre l’abbia acquistata a Caithnard per me, la scorsa primavera, poco prima di morire. Così, se riusciste a ricordare l’aspetto del mercante, o scopriste il suo nome…
— Capisco. — Gli poggiò gentilmente una mano su un braccio. — Capisco. Sì, scoprirò il suo nome per voi. Buona notte.
Mentre la Morgol se ne andava Lyra comparve nel corridoio, abbigliata in una corta tunica nera e con una lancia in mano. La ragazza diede le spalle alla soglia della camera e si piazzò di guardia con aria decisa. Da lì a poco si spostò per far passare una serva, che portava carta e penna, inchiostro e ceralacca. Morgon sedette davanti al caminetto. Per alcuni lunghi minuti non fece che fissare le fiamme, mentre l’inchiostro si seccava sulla punta della penna. — Cosa mai posso scriverle? — mormorò fra sé. Poi tornò ad aprire il calamaio e stese il bel foglio di pergamena gialla sul piccolo scrittoio portatile.
Firmata e sigillata la lettera a Raederle, scrisse alcune note e raccomandazioni per Eliard, chiuse anche quella, e si distese sul giaciglio con gli occhi fissi sui familiari e sempre mutevoli giochi della fiamma fra i ceppi, conscio soltanto con una parte della mente dei gesti di Deth che preparava il loro bagaglio. Dopo un po’ risollevò il capo e si volse all’arpista.
— Deth… tu hai conosciuto Ghisteslwchlohm?
L’uomo s’irrigidì un istante, le sue mani parvero annaspare sulla cinghia che stava slacciando. Senza guardarlo rispose: — Ho parlato con lui soltanto due volte, assai brevemente. Era un personaggio altero che incuteva molto timore, nell’antica Lungold, negli anni precedenti alla scomparsa dei maghi.
— Non ti è mai capitato di pensare che il Maestro Ohm potrebbe essere il Fondatore di Lungold?
— Non avevo prove o indizi che potessero farmi venire un sospetto di questo genere.
Morgon allungò una mano a risospingere fra le braci un frammento di legno che ne era rotolato fuori; le ombre oscillavano rosate sulla tappezzeria, addensandosi più scure verso il soffitto. Mormorò: — Mi chiedo perché la Morgol non abbia potuto vedere attraverso Ohm. Non so da quale terra egli venga; forse è nato, come Rood, con una qualche stregoneria nel sangue… non ho mai pensato di domandare dove sia nato. Per noi era semplicemente il Maestro Ohm, e sembrava che fosse a Caithnard da sempre. Se El gli domandasse a bruciapelo se il suo nome è Ghisteslwchlohm, probabilmente scoppierebbe a ridere… a parte il fatto che non ricordo d’averlo mai visto ridere. È trascorso ormai tanto tempo dalla distruzione di Lungold, e non si è più sentito parlare di maghi in attività dalla loro scomparsa. È da escludere che qualcuno di loro possa essere ancora vivo. — La sua voce s’era smorzata pian piano, per la sonnolenza. Si girò su un fianco e chiuse gli occhi. Poco più tardi gli parve di udire le vellutate note dell’arpa di Deth, e con quel suono negli orecchi scivolò del tutto nel sonno.
A strapparlo dai sogni fu la musica di tutt’altro arpista. Le vibrazioni sonore sembravano attraversargli le carni intessendosi al battito sordo e disordinato del suo cuore, pulsandogli nel sangue, schizzandogli nella mente con note alte e stridenti che gli graffiavano l’interno del cranio come artigli di uccelletti impazziti. Cercò di muoversi ma qualcosa gli schiacciava le braccia e il torace. Aprì la bocca per chiamare Deth, e il suono che gli scaturì dalla gola fu ancora il rantolo del corvo senza voce.
Aprì gli occhi e si accorse che non riusciva a svegliarsi da quel sogno. Li richiuse, li aprì ancora e ciò che vide fu soltanto la tenebra davanti a lui. Un improvviso terrore gli attanagliò la gola, trasformando i suoi pensieri in un groviglio di rovi. Immobile, annaspando all’interno di se stesso, si sforzò di raggiungere la superficie del mare di oscurità e sonnolenza che lo sommergeva, come se nuotasse disperatamente per non affogare. E infine udì la voce dell’arpista, ed attraverso le corde vibranti vide il lampo oscuro dei suoi ardenti occhi d’ambra.
La voce era secca e robusta, profonda, e le parole che cantava lo paralizzavano e lo legavano come in un incubo: