— Corrig! — Morgon trattenne il respiro. La Morgol stava fissando Deth con meraviglia. — Deth, come fai a conoscere il nome di quel cambiaforma?
— Ho suonato con lui una volta, anni fa. Lo incontrai ancor prima di entrare al servizio del Supremo.
— Dove? — chiese la Morgol.
— Venivo da Isig e stavo scendendo a cavallo lungo la costa settentrionale, da solo, in una zona che non apparteneva né a Isig né a Osterland. Una sera mi accampai sulla spiaggia, e sedetti a suonare accanto al fuoco fino a tarda notte. E… d’un tratto sentii una musica d’arpa che rispondeva alla mia, affascinante, selvaggia, perfetta… apparve nella luce del fuoco scivolando su un’onda, con la sua arpa di conchiglie e di ossa e di madreperla, e mi chiese qualche canzone. Suonai per lui come avrei suonato per un Re; non avrei osato fare di meno. In cambio mi insegnò alcune canzoni; restò con me fino all’alba, e poi per giorni e giorni la sua musica continuò a bruciarmi nel cuore. Quando sorse il sole egli scivolò come una nebbia sulla spuma del mare, ma prima di andarsene mi diede il suo nome. Chiese il mio. Io glielo dissi, e lui rise.
— Ha riso anche di me, questa notte — sussurrò Morgon.
— Ha suonato per te, a quanto ci hai detto.
— Ha suonato la mia morte. La morte di Hed. — Distolse gli occhi dal cuore delle fiamme. — Che razza di potere può far questo? Era realtà? O illusione?
— Ha qualche importanza?
Lui scosse la testa. — No. Era un grandissimo arpista… Il Supremo lo conosceva?
— Il Supremo non mi ha detto niente, a parte l’ordine di lasciare Herun con te il più presto possibile.
Morgon tacque. Si alzò in piedi con una certa difficoltà e andò alla finestra. L’aria era così limpida che, quasi avesse anch’egli la vista totale della Morgol, ebbe l’impressione di poter vedere la vasta e umida costa di Caithnard, dove le navi mercantili alzavano le vele per far rotta verso An, Isig e Hed. Sottovoce disse: — Deth, domani, se potrò cavalcare, andrò a est, al porto mercantile di Hlurle, e m’imbarcherò per tornare a casa. Dovrei andare sul sicuro; nessuno se lo aspetta. Ma perfino se loro mi sorprendessero in mare, preferisco morire come un governatore della terra di ritorno a casa sua che come un uomo senza nome, senza terra, costretto a una vita che io non posso capire né controllare.
Non ci fu risposta; soltanto l’impersonale scrosciare della pioggia contro la finestra. Poco dopo, mentre il temporale conosceva un attimo di pausa, sentì l’arpista alzarsi e venire a mettergli una mano su una spalla. In silenzio fronteggiò il suo sguardo calmo. Deth disse gentilmente: — C’è di più che la morte di Corrig. Vuoi dirmi cosa ti angoscia?
— No.
— Desideri che io ti accompagni a Hed?
— No. Non c’è ragione che tu rischi la vita di nuovo.
— Come riconcilierai il fatto di tornare a casa con ciò che hai imparato a Caithnard?
— Ho fatto una scelta. — Morgon strinse i denti, e la mano ricadde dalla sua spalla. In bocca sentì un sapore amaro, la tristezza di qualcosa che finiva, e aggiunse: — Sentirò la tua mancanza.
Qualcosa mutò sul volto dell’arpista, incrinandone la compostezza senza età, e Morgon avvertì per la prima volta le preoccupazioni, le incertezze, l’esperienza incommensurabile che scivolava attraverso la mente di lui come acqua sotto il ghiaccio. Deth non replicò; la sua testa accennò a chinarsi come di fronte a un Re o all’inevitabilità del Fato.
Morgon lasciò la Città dei Cerchi due giorni più tardi, prima dell’alba. Per proteggersi dalla nebbia gelida e fitta indossò un pesante mantello ricamato che la Morgol gli aveva regalato. Un arco da caccia, datogli da Lyra, era appeso alle bisacce della sua sella. Lasciò a Deth il cavallo da carico, poiché Hlurle, un piccolo porto usato solo dai mercanti che scaricavano merci per Herun, era ad appena tre giorni di strada da lì. E Deth gli consegnò tutto il denaro che aveva con sé, nel caso che egli non trovasse subito un imbarco, poiché con le burrasche dell’autunno inoltrato i vascelli che navigavano nel settentrione erano costretti a frequenti ritardi.
L’arpa ballonzolava sulla schiena di Morgon, chiusa nella custodia a prova di umidità; gli zoccoli del cavallo tambureggiavano con soffice ritmo sulle grasse erbe dei pascoli. Il cielo si schiarì nelle ultime ore del giorno, e proseguendo dopo il tramonto egli poté regolarsi con la luce dura e fredda delle stelle. In distanza le minuscole luci di qualche fattoria erano lucciole gialle immobili nelle tenebre. I campi che circondavano la città lasciarono il posto a una pianura, dove pesanti macigni, senza origine come i maghi, si levavano intorno a lui. Mentre li aggirava sentì le loro ombre nel buio, come nere presenze silenziose. Poi la nebbia scese dalle colline in banchi impenetrabili; seguendo il consiglio di Lyra si fermò, trovò rifugio sotto un albero isolato, e attese.
Trascorse la prima notte alle pendici delle colline orientali. Dopo cena, seduto in un boschetto e solo per la prima volta in molte settimane, guardò malinconicamente la nebbia chiudere la notte in una muraglia grigia; e alla luce del suo piccolo solitario focherello prese l’arpa stellata per strimpellarla un poco. Le sue dita trassero dalle corde un suono ricco e profondo, fatto per mani assai più esperte e delicate. Un’ora più tardi, stanco di fare musica, esaminò l’arpa come non aveva mai fatto in precedenza; seguì col polpastrello gli intarsi in oro e si meravigliò del candore delle lune, intatto malgrado i secoli, il mare e l’uso. Toccò le stelle con leggerezza, cauto come se stesse sfiorando la fiamma.
Trascorse il giorno successivo tagliando per un sentiero attraverso le basse colline semideserte. Oltre la dorsale trovò un torrente e ne seguì il corso, che scendeva fra boschetti di pallidi frassini e querce dai rami anneriti. La corrente, ingrossandosi, gorgogliava fra radici sporgenti e rocce verdi di muschio, e ad un tratto sfociò sulle pendici orientali. Da lì la sua vista poté spaziare all’improvviso su una piatta terra di nessuno, la lunghissima spiaggia che scorreva da Ymris fino a Osterland; a nord erano visibili le cime bianche di montagne lontane, quasi al confine dei ghiacci eterni che delimitavano il reame del Supremo, e ad oriente lo sguardo si perdeva sull’immensità del mare.
Il torrente sfociava in un largo fiume che girava intorno alla parte settentrionale di Herun; riesaminando una mappa mentale del territorio capì che si trattava del Cwill, le cui ruggenti acque schiumose nascevano dal Lago della Dama Bianca, l’enorme e profondo bacino dell’entroterra che alimentava anche i sette Laghi di Lungold. Hlurle, ricordò, si trovava proprio a nord della foce. Quella sera si accampò nella striscia di terra fra il torrente e il fiume, e i suoi pensieri furono cullati dalle loro due voci: una poderosa, veloce, piena di mistero, l’altra cristallina e rassicurante. Si distese nella quieta luce del fuoco, con la testa poggiata sulla sella, tenendo a portata di mano rami secchi e pigne da gettare sulle fiamme. Lievi come passeri vennero ad appollaiarsi nella sua mente quelle domande a cui aveva preferito rinunciare a rispondere; le esaminò l’una dopo l’altra con curiosità nuova, spassionatamente, quasi che la loro soluzione non avesse nulla a che fare con lui, né con l’ormai mezzo cieco Erede di Ymris, né col Re di quella nazione alle prese con una strana guerra lungo le sue coste, né con la Morgol, la pace della cui casa era stata scossa dall’intervento di un potere non bene identificabile e d’origine sconosciuta. Vide con gli occhi della mente le stelle sulla sua fronte, sull’arpa e sulla spada. Guardò a se stesso come al personaggio di un qualche antico racconto: un Principe di Hed a cui era stato insegnato a mietere a schiena nuda nel sole ardente, a districarsi alla meglio fra le varie malattie degli animali e delle piante, a prevedere il tempo dal colore di una nuvola o dalla tensione dell’aria immobile nei pomeriggi afosi, fatto per la semplice vita ottusa e senza curiosità di Hed. Vide la stessa figura vestita nella larga toga di uno studente di Caithnard, capace di far le ore piccole sulle pagine di libri antichi mentre sulle sue labbra si formavano parole senza suono, enigmi, risposte, interpretazioni, enigmi, riposte e interpretazioni ancora; un giovane che un giorno, per pura scelta personale, era entrato in una fredda torre di Aum per cercare sé stesso, faccia a faccia con la morte, senza un nome, senza un destino, senza nulla che lo proteggesse salvo che la sua stessa mente. Vide un Principe di Hed che lasciava la sua terra, che trovava ad Ymris un’arpa stellata, e che ad Herun trovava un nome, una spada e l’alito della morte. E vide queste due figure come protagonisti di una vecchia storia: il Principe di Hed e il Portatore di Stelle, distanti l’uno all’altro, diversi e privi, ai suoi occhi, di elementi capaci di accomunarli.