Grim fece un sospiro. — Io lo dissi a tuo padre, di non mandarti a quella scuola: ti avrebbe messo strane idee nella testa. Ma niente, non volle darmi ascolto. Gli dissi che era un errore farti stare lontano da Hed tanto tempo: nessuno ha mai fatto niente di simile, e non ne sarebbe mai venuto nulla di buono. E avevo ragione. Non ne è venuto niente di buono. Parlo di questo tuo viaggio in una terra straniera, per fare una gara di enigmi con… con un uomo che avrebbe dovuto avere la decenza di starsene morto e sepolto sottoterra. Questo non è bene. Non è… non è il modo in cui un governante di Hed dovrebbe comportarsi. Non era cosa da farsi.
Morgon tenne il freddo metallo del boccale a contatto con il labbro spaccato. — Peven non poteva fare a meno di andarsene in giro dopo la sua morte. Aveva ammazzato sette dei suoi figli con un uso malaccorto della magia, gettando su se stesso dolore e vergogna. Non poteva riposare in pace sottoterra. Mi disse che dopo così tanti anni aveva qualche difficoltà a ricordare tutti i nomi dei suoi figli. Questo lo tormentava. A Caithnard io avevo però letto i loro nomi, e quindi potei dirglieli. Questo gli risollevò il morale.
La faccia di Grim era rossa come i bargigli di un tacchino. — È una cosa indecente! — sbottò. Si allontanò di qualche passo, andò a sollevare il coperchio di un cestone pieno di sbarre di ferro, poi lo sbatté giù nuovamente. A fianco di Morgon comparve uno dei mercanti.
— Vi sembra buono il mio vino, Signore?
Morgon si volse, annuendo. Il mercante indossava una veste in sottile stoffa verde-foglia di Herun, un berretto di visone bianco, e appesa a una spalla portava un’arpa di legno nero con una tracolla in cuoio candido. Morgon chiese: — Di chi è il cavallo? Dove avete avuto questa arpa?
Il mercante sogghignò, sfilandosela dalla spalla. — Rammentando quanto alla signoria vostra piacciano le arpe, in An mi sono procurato questa per voi. Era l’arpa dell’arpista del Nobile Col di Hel. È piuttosto antica, però guardate com’è ben conservata e bella.
Morgon passò le mani sul legno finemente cesellato. Sfiorò le corde coi polpastrelli, e ne pizzicò una traendone una nota lieve. — Che potrei fare con tutte queste corde? — mormorò. — Devono essere più di trenta.
— Vi piace? Tenetela per un po’ di tempo. Suonatela.
— Io non credo di potermi permettere…
Il mercante lo azzitti sollevando le mani. — Come si può attribuire un prezzo qualsiasi a un’arpa simile? Provatela, prendete dimestichezza con le sue corde. Non fatevi fretta, c’è tutto il tempo per decidere. — Fece scivolare la tracolla oltre la testa di Morgon. — Se vi piacerà, state certo che troveremo con facilità un accordo soddisfacente…
— Non ne dubito. — Colse un’occhiata di Grim Oakland e arrossì.
Morgon portò l’arpa con sé fino alla Sala dei Mercanti di Tol, dove gli uomini venuti dal continente esaminarono la sua birra, il grano e la lana, mangiarono formaggio e frutta, e negoziarono con lui per un’ora mentre Grim Oakland gli stava accanto pronto a dare consigli. Poi sulla banchina furono portati dei carri, vuoti, per caricare il metallo, le botti di vino e i blocchi di sale provenienti dalle saline di Caithnard. Pesanti cavalli da tiro, destinati ai mercanti di An e di Herun, vennero allineati sul molo. I mercanti cominciarono a registrare i sacchi di grano e i barilotti di birra. I carri di Wyndon Amory, del tutto inaspettati, scesero lungo la strada costiera verso mezzogiorno.
Mastro Cannon, che cavalcava dietro uno di essi, smontò di sella accanto a Morgon. — Wyndon li aveva fatti partire ieri, ma uno ha perso una ruota e i conducenti l’hanno riparata alla fattoria di Sil Wold, e hanno trascorso la notte là. Li ho incontrati mentre arrivavano. Ti hanno convinto a comprare un’arpa?
— Quasi. Senti come suona.
— Morgon, tu sai che non distinguo il suono di un’arpa da quello di un secchio sfondato. Hai un labbro che sembra una prugna spiaccicata.
— Allora non farmi ridere — brontolò lui. — Ci pensate tu e Eliard ad accompagnare i mercanti ad Akren? Qui hanno quasi finito.
— E tu cosa resti a fare?
— Voglio comprare un cavallo. E un paio di scarpe.
Cannon inarcò un sopracciglio. — E un’arpa?
— Può darsi. Certo.
L’altro ridacchiò. — Bene. Ora capisco perché vuoi che io porti via Eliard.
Morgon salì su una delle navi e poi scese a curiosare nella stiva, dove una mezza dozzina di cavalli di An erano ancora impastoiati per la traversata. Esaminò zoccoli, denti e pelame, intanto che i marinai accatastavano sacchi di grano nella penombra fra le paratie alle sue spalle. Uno dei mercanti lo raggiunse e chiacchierarono un poco, mentre Morgon lisciava pensosamente il collo muscoloso di uno stallone color del legno appena tagliato. Mezz’ora dopo infine risalì sul ponte, aspirando profonde boccate d’aria pulita. Quasi tutti i carri se n’erano andati; i marinai s’incamminarono verso la Sala dei Mercanti per pranzare. Le onde facevano oscillare le navi, e si frangevano intorno ai massicci tronchi di pino che sorreggevano la banchina. Il giovane andò a sedersi in cima al molo. Distanti dalla riva i pescherecci di Tol si alzavano e abbassavano come anatre sulle onde di un lago. Al di là di essi, sfumato come una linea di carboncino sull’orizzonte, si scorgeva il profilo del continente, il vasto reame del Supremo.
Si appoggiò l’arpa sulle ginocchia e cominciò a suonare una melodia campestre, le cui note imitavano il fruscio della falce nel grano. Poi gli venne in mente una ballata di Ymris, e stava pizzicando allegramente le corde quando un’ombra cadde di traverso sullo strumento. Si volse.
Un uomo che non aveva mai visto prima, e che non era un mercante né un marinaio, stava in piedi al suo fianco. Indossava vesti sobrie, ma la sua elegante tunica azzurra e nera aveva un taglio insolito, e così anche la cintura di borchie quadrate in argento che portava su di essa. Aveva un volto magro, d’ossatura fine, né giovane né vecchio, e i suoi capelli erano un fluttuante casco argenteo.
— Morgon di Hed?
— Sì.
— Io sono Deth, l’arpista del Supremo.
Morgon deglutì. Fece per alzarsi, ma l’arpista lo prevenne e sedette al suo fianco, osservando lo strumento.
— Uon — disse, e indicò a Morgon un nome mezzo nascosto fra gli intarsi. — Era un fabbricante d’arpe a Hel, tre secoli or sono. Soltanto cinque delle sue arpe esistono ancora.
— Il mercante che me l’ha data dice che apparteneva all’arpista del Nobile Col. Siete arrivato…? Dovete essere venuto con loro. Quel cavallo è vostro? Perché non mi avete detto prima che eravate qui?
— Eravate indaffarato; ho preferito aspettare. Questa primavera il Supremo mi ha ordinato di venire a Hed, e di esprimervi le sue condoglianze per la morte di Athol e di Spring. Ma sono rimasto bloccato a Isig dal ritardo del disgelo. A Ymris ho ritardato a causa dell’assedio di Caerweddin. E proprio mentre mi stavo imbarcando per Caithnard mi è stato chiesto di portare un messaggio urgente di Mathom di An, ad Anuin. Mi spiace d’essere arrivato con tanto ritardo.
— Ora rammento il vostro nome — disse lentamente Morgon. — Mio padre usava dire spesso che Deth aveva suonato alle sue nozze. — S’interruppe, come risentendo le parole di lui, e un brivido improvviso lo scosse. — Scusate. Lui lo ricordava con allegria. Amava molto la vostra musica. Mi piacerebbe sentirvi suonare.
L’arpista sedette più comodamente sul bordo del molo e prese l’arpa di Uon. — Cosa preferireste ascoltare?
Malgrado i suoi sforzi per non farlo Morgon fu costretto a sorridere, e sentì una fitta di dolore al labbro. — Suonate… lasciatemi pensare. Suonereste la ballata che stavo cercando di eseguire poco fa?
— Il Lamento di Belu e Bilo — Deth regolò appena una delle corde e cominciò a suonare l’antica ballata.