Ben presto cadde in uno stato di sonnolenza ipnotica, oltre la quale avvertiva soltanto l’ondeggiare di quel trotto sciolto. Poi le sue mani attanagliate alle corna persero la presa; sbilanciato scivolò di lato e precipitò sul duro terreno. I suoi occhi si sbarrarono sul cielo nero e splendente; il silenzio in cui era sepolta ora la zona innevata sembrava concreto come un elemento naturale. Si alzò in piedi fissando stancamente le stelle, e riabbassando il capo seguì con lo sguardo la curva del firmamento, che in distanza confinava con un orizzonte bianco. S’accorse che il vesta s’era fermato a osservarlo, immobile, candido sulla neve candida. S’incamminò verso di esso. Per un momento il quadrupede parve fissarlo come se vedesse in lui uno strano animale. Poi, con passi che sgualcivano appena il tessuto della neve, gli venne incontro. Lui gli risalì in groppa, tremando in tutte le membra per lo sforzo. Il trotto riprese, diretto all’orizzonte stellato.
A risvegliarlo dalla sonnolenza fu ancora il solletico del nevischio sul volto. Il vesta stava procedendo al passo lungo la strada deserta e coperta di neve di una città. Eleganti case di legno e botteghe dai colori vivaci erano allineate lungo le vie, con porte e finestre chiuse nel lucore dell’alba. A fatica Morgon si mise a sedere, spazzando via la crosta di ghiaccio dal mantello. Il vesta girò un angolo; dinnanzi a sé Morgon vide un grande edificio privo di recinzioni, le cui alte strutture erano costruite in varietà di legno provenienti dai più lontani angoli del reame: quercia, pallida betulla, cedro sfumato di rosso, scuro e liscio mogano; le grondaie, le finestre e le doppie porte erano intarsiate da spirali e intrecci d’oro puro.
Il vesta avanzò senza alcuna paura nel cortile e si fermò. L’oscura magione giaceva immersa nel sonno e nella neve. Morgon la contemplò apaticamente, stordito, per qualche istante; il vesta ebbe uno scarto impaziente sotto di lui, quasi che finito il suo lavoro adesso fosse ansioso di andarsene. Morgon scivolò giù dalla sua groppa. I suoi muscoli rifiutarono però di sostenerlo e cadde subito in ginocchio, con l’arpa contro un fianco. Sotto lo sguardo intenso e incuriosito del vesta cercò di rialzarsi, cadde misteriosamente a sedere e ansimò esausto, tremando. L’animale lo sfiorò col muso, alitandogli il fiato caldo in un orecchio. Lui gli passò un braccio sul collo, gli appoggiò la fronte alla mandibola pelosa e lo sentì restare immobile in quell’abbraccio. Poi il robusto collo si scostò da lui con un movimento improvviso, la testa scattò verso l’alto, il palco di corna d’oro si sollevò in un lampo che parve il sorgere del sole sullo sfondo del cielo; un attimo dopo il vesta si dissolse nell’aria, e al posto dell’animale comparve un essere umano.
Era alto e snello, bianco di capelli, e stava in piedi seminudo sulla neve. Nel suo volto magro e angoloso erano incastonati due occhi azzurro-ghiaccio; le sue mani, tese verso Morgon, recavano cicatrici bianche la cui forma era quella delle corna di un vesta.
Morgon sussurrò: — Har! — Un lieve sorriso balenò in quegli occhi luminosi. Il Lupo-Re si chinò a cingere le spalle di lui con un braccio fortissimo, e lo aiutò a mettersi in piedi.
— Benvenuto — disse l’uomo, sostenendolo con pazienza su per gli scalini. Aprì la grande porta e Io introdusse in un salone largo quanto il granaio di Akren, a un lato del quale campeggiava un enorme caminetto. La voce di Har esplose in quel silenzio, facendo sobbalzare e starnazzare una coppia di corvi appollaiati su una finestra: — Questa casa è forse andata in letargo per l’inverno? Portate cibo, vino, abiti asciutti, e presto. Non voglio diventare un vegliardo sdentato nell’attesa.
Numerosi servi assonnati e mezzo spogliati comparvero di corsa nel salone, inciampando in cinque o sei cani uggiolanti che si precipitavano al richiamo del padrone. Un mezzo tronco d’albero e fasci di sterpi vennero piazzati sulle braci semispente del camino, e nuvole di scintille rombarono su per la canna fumaria. Sulle spalle di Har venne deposto un mantello di lana bianca; Morgon si vide letteralmente strappare di dosso gli abiti fradici prima ancora d’essersi potuto guardare attorno: dalla testa gli fu infilata una lunga tunica di lana, e qualcuno gli coprì le spalle con un mantello di pelliccia multicolore. Vassoi di cibo furono piazzati a scaldarsi sulle apposite grate del camino; Morgon quasi ansimò nel sentire l’odore del pane caldo e della carne arrosto. Gli parve di sognare mentre Har lo fece sedere al tavolo dinnanzi alle fiamme scoppiettanti e gli avvicinò un boccale alle labbra; il vino, freddo e secco, gli fu quasi forzato in bocca. Lo ingoiò avidamente, sforzandosi di non soffocare, e subito sentì il sangue tornare a scorrergli lentamente, dolorosamente, nelle membra intorpidite.
Una donna entrò e si avvicinò al tavolo, mentre cominciavano a servirsi del cibo. Era anziana, con un volto energico e piacevole, e capelli color dell’avorio riuniti in due trecce lunghe fino alle ginocchia. Davanti al fuoco rallentò il passo, terminando di allacciarsi la cintura dell’abito, ed i suoi occhi esplorarono con calma sia il volto di Har che quello di Morgon.
Sorrise, si chinò a baciare dolcemente Har su una guancia e poi gli poggiò una mano su una spalla. — Bentornato a casa. Chi hai portato con te, questa volta?
— Il Principe di Hed.
Morgon si volse a fissarlo di scatto, e i suoi occhi catturarono quelli di Har in una domanda senza parole. Il sorrisetto del Lupo-Re si attenuò un poco. Disse: — Ho uno speciale talento per i nomi. Lo insegnerò anche a te. Questa è la mia sposa, Aia. — Si volse a lei. — L’ho trovato che vagava a piedi nella tempesta, sulla riva dell’Ose. Quando assumo le spoglie di un vesta me ne capitano di tutti i colori; una volta un cacciatore mi ha perfino preso in una rete, a Monte Fosco, prima di capire chi ero; ma non m’era mai accaduto che un uomo, ricercato da metà dei mercanti del reame e smarrito fra la neve, mi nutrisse col suo ultimo pezzo di pane. — Tornò a osservare Morgon, che aveva smesso di mangiare. La sua voce suonò morbida nel crepitare del fuoco: — Voi e io siamo maestri degli enigmi; non intendo fare nessuna gara con voi. So qualcosa di voi, ma non abbastanza. Ad esempio, non so cosa vi conduce al Monte Erlenstar, né da chi vi state nascondendo. Ma voglio saperlo. Vi darò tutto ciò che mi chiederete, informazioni o aiuto, in cambio di una cosa sola. Se voi non foste venuto nella mia terra sarei stato io a cercarvi, in una forma o nell’altra: magari come un vecchio corvo, o sotto le spoglie di un mercante disposto a barattare oggetti per un’informazione. Vi avrei cercato.
Morgon abbassò il cucchiaio nella scodella. Le energie gli stavano tornando, e con esse i suoi ricordi, i suoi scopi, come se le parole di Har avessero risvegliato in lui la capacità di pensare. Mormorò: — Se voi non mi aveste soccorso, là sul fiume, sarei morto. Vi darò tutto ciò che volete.
— Questa è una promessa pericolosa, se fatta incautamente in casa mia — commentò Har.
— Lo so. Ho sentito parlare un poco di voi. Vi darò tutto quello di cui avete bisogno.
Har sorrise. Gli mise una mano su un braccio, leggermente. — Stavate andando per la vostra strada passo dopo passo, là sull’Ose, a dispetto del vento e della tormenta, abbarbicato alla vostra arpa come alla vita stessa. Ho fiducia negli uomini come voi. I contadini di Hed sono famosi per la loro caparbietà.
— Forse. — Si appoggiò allo schienale, socchiudendo gli occhi nel bagliore del fuoco. — Ma quando ho lasciato Deth a Herun fu per tornare a Hed. E invece sono venuto qui.
— Perché avete cambiato idea?
— Voi avete fatto filtrare un enigma fuori da Osterland, per cercarmi… — La sua voce si smorzò. Udì Har dire qualcosa, ma gli parve che quelle parole si perdessero nel crepitio del focolare. Vide le fiamme danzare e nei suoi occhi esse divennero i turbini della bufera, roteanti, informi, scuri, sempre più scuri…
Si risvegliò in una piccola e lussuosa camera, pervasa dalle ombre della sera. Giacque con la mente del tutto vuota, incapace di aprire gli occhi, finché un fruscio metallico nel caminetto non lo indusse a voltarsi. C’era qualcuno che si occupava del fuoco e, all’improvvisa vista di una capigliatura argentea, Morgon esclamò stupito: — Deth!