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Morgon gli restituì lo sguardo. Nel fondo della sua mente si agitava qualcosa, l’accenno di un ingrato sospetto. — Non capisco — mormorò, sebbene cominciasse a intuire.

— Vi ho avvertito: non dovreste mai promettere qualcosa alla cieca in casa mia — continuò Har. — Credo che Suth si stia spostando con un branco di vesta, dietro al Monte Fosco. Vi insegnerò ad assumere la forma di un vesta; potrete muovervi fra loro liberamente e trascorrere l’inverno come un vesta, senza tuttavia essere un vero vesta. Il vostro corpo e i vostri istinti saranno animaleschi, ma la vostra mente apparterrà a voi; Suth potrà forse nascondersi al Supremo stesso, ma finirà per rivelarsi a voi.

La schiena di Morgon fu percorsa da un brivido. — Har, io non ho neppure in minima parte il dono di cambiare forma.

— Come lo sapete?

— Io non… nessun abitante di Hed è mai nato con facoltà simili. — Ebbe una smorfia acre, immaginando se stesso fornito di quattro zampe poderose, la testa appesantita da un palco di corna d’oro, niente mani per toccare, niente voce per parlare.

Hugin intervenne, esitante: — È una cosa piacevole… essere un vesta. Har lo sa.

A Morgon parve di vedere la faccia di Grim Oakland e quella di Eliard, che lo fissavano con sbigottita disapprovazione e senza capire: Tu puoi fare cosa? E perché vorresti fare una cosa del genere? Sentì lo sguardo di Har pesargli addosso. Con riluttanza mormorò: — Tenterò, poiché ve l’ho promesso. Ma dubito che funzionerà; è contrario a tutti i miei istinti.

— I vostri istinti. — Gli occhi del Re riflettevano il fuoco come quelli di un animale, mettendo Morgon a disagio. — Siete un uomo testardo. Con la faccia volta al Monte Erlenstar, mille miglia più lontano di quanto un Principe di Hed abbia mai osato andare, con un’arpa e un nome in vostro possesso, vi abbarbicate ancora al vostro passato come un uccellino al nido. Cosa ne sapete dei vostri istinti? Cosa sapete di voi stesso? Vorreste condannarci tutti col vostro rifiuto di guardare dentro di voi e di dare un nome a ciò che vedete?

Le mani di Morgon erano attanagliate al bordo del tavolo. Rigido, cercò di dare un tono fermo alla sua voce: — Io sono un governatore della terra, un maestro degli enigmi e un portatore di stelle, in quest’ordine esatto…

— No. Voi siete il Portatore di Stelle. Non avete altro nome che questo, e nessun altro futuro. Siete nato con un dono ignoto a qualsiasi altro governatore della terra di Hed; voi avete occhi che vedono, una mente che sa immaginare. I vostri istinti vi hanno portato fuori da Hed ancor prima che ne capiste il perché: a Caithnard, ad Herun, in Osterland, terre i cui Re non hanno pietà per coloro che sfuggono la verità.

— Io sono nato per…

— Siete nato come Portatore di Stelle. Il saggio conosce il proprio nome. Voi non siete uno sciocco; voi potete vedere chiaro quanto me quale caos si agita sotto la superficie della nostra esistenza. Tagliate il legame col vostro passato; è privo di senso. Potete vivere anche senza il governo della terra, se necessario; non è cosa indispensabile…

Morgon si ritrovò in piedi senza accorgersi d’essersi mosso. — No!

— Avete un Erede capace, che baderà alla casa e alla terra invece di lasciarsi attrarre da oscuri enigmi. La vostra terra può continuare a esistere senza di voi. Ma se insistete a sfuggire al vostro destino, potreste essere l’uomo che ci distruggerà tutti quanti.

Har tacque. Dalla bocca di Morgon uscì un ansito rauco e doloroso come un singhiozzo senza lacrime. Il volto di Aia e quello di Hugin sembravano rigidi come il marmo nei riflessi del fuoco; la faccia di Har parve torcersi, aliena, quasi non fosse né di uomo né di animale. Morgon si portò una mano alla bocca come per cancellarne il gemito e sussurrò: — Che valore date alle leggi? Quale incentivo mi offrirete per ripudiarle? Che prezzo potete pagarmi per tutto ciò che io ho amato?

Gli occhi di Har restarono fermi come cristalli di ghiaccio. — Cinque enigmi — disse. — Una buona moneta, per un uomo che ha la borsa vuota. Chi è il Portatore di Stelle, e qual è il legame che solo lui scioglierà? Cos’è ciò che una stella evoca dalle tenebre, e una stella evoca dalla morte? Chi verrà alla fine del tempo, e cosa porterà? Chi suonerà l’arpa della terra, silenziosa fin dal Principio? Chi porterà stelle di fuoco e di ghiaccio al Termine dell’Era?

Morgon strinse involontariamente i pugni. Il salone era immerso in un silenzio profondo. Sentì le lacrime che gli scorrevano calde sugli zigomi. — Quale termine? — Il Lupo-Re non rispose. — Quale termine?

— Rispondere agli enigmi è il vostro compito. Un giorno Suth mi diede questi cinque enigmi, come se mi mettesse il cuore in mano perché glielo conservassi al sicuro. Li ho tenuti per me, senza risposta, fin dal tempo della sua scomparsa.

— E lui dove li apprese?

— Questo lo sa lui.

— Allora glielo domanderò. — Il suo volto era esangue nella luce rosata; i suoi occhi, scuri come braci spente, fissarono con durezza quelli chiari e scintillanti di Har. — Risponderò a questi enigmi per voi. E credo che, quando lo avrò fatto, vi troverete a desiderare per quanto avrete vita che io non abbia mai messo piede fuori da Hed.

Il mattino successivo trovò Morgon seduto su una pietra circolare, in una stanzetta sul retro della dimora di Har, in attesa che Hugin accendesse il fuoco per spandere un po’ di calore sul pavimento gelido. Indossava una leggera tunichetta di lino, i suoi piedi erano nudi. In un angolo c’erano brocche di vino annacquato e boccali, ma nient’altro, né cibo né giacigli. La porta era chiusa e la sola apertura del locale, privo di finestre, era il foro nel tetto da cui il fumo usciva per mescolarsi ai turbini di neve che biancheggiavano all’esterno. Har sedeva di fronte a lui, col volto che sembrava torcersi e deformarsi alla luce della fiamma. Hugin si accoccolò alle sue spalle a gambe incrociate e restò immobile, osando a stento respirare.

— Ora entrerò nella tua mente — disse il volto al di là del fuoco. — Dentro di essa vedrò anche pensieri che tu hai sempre tenuto segreti. Non opporti alla mia curiosità. Se vorrai eluderla, limitati a lasciare che i ricordi fluiscano via da te come acqua e svaniscano informi, perdendosi nel vento.

Morgon avvertì un tocco incorporeo rimescolargli i pensieri, sceglierli, esaminarli, scartarli. Immagini di momenti che facevano parte del suo passato nacquero e ripresero vita nella sua mente: Rood che studiava con lui a tarda notte alla luce di una candela consunta; Dama Eriel che gli parlava con voce morbida in un salone oscuro, mentre le dita di lui scivolavano verso l’ultima corda di basso dell’arpa; Tristan, con le scarpe infangate, che annaffiava i suoi cespugli di rose; Lyra mentre raccoglieva una spada che fra le sue mani prendeva vita, mutando forma. Sentì l’ingresso di una conoscenza estranea, di ricordi che non gli appartenevano e s’intrecciavano ai suoi, e non contrastò quelle dita che lo frugavano così intimamente. D’un tratto, dalla parete buia dei suoi pensieri scaturì l’immagine di un uomo, che s’allontanava da lui con un guizzo. Ci fu il lampeggiare di una lancia dinnanzi a quei lineamenti fluidi e mutevoli, color del mare, e il volto divenne nitido per un istante mentre egli cadeva. Morgon trasalì con un mormorio stupito. Gli occhi di Har oltre le fiamme si fissarono impassibili nei suoi.

— Non c’è niente che non possa essere affrontato, niente che non possa essere esplorato. Continuiamo.

I ricordi della sua vita gli passarono dinnanzi agli occhi in una serie di scene che sfumavano l’una nell’altra, e Har indugiò a lungo su quelle che lo incuriosivano maggiormente. Le ore si susseguirono lente, senza nulla che segnasse il loro trascorrere salvo le ceneri del fuoco che si consumava; Morgon sopportò quella prova con pazienza, cedendo senza protestare anche le memorie più profondamente sepolte in lui. Infine, stanco, cominciò a sfuggire a quell’incessante ricerca interiore, lasciò che i suoi pensieri si confondessero e che il passato divenisse una nebbia informe in cui la mente vagava senza captare più nulla di preciso. Ad un tratto si ritrovò in piedi: stava camminando avanti e indietro nella minuscola stanza, col cervello vuoto di tutto, la fame che gli urlava nello stomaco come un animale, il freddo che gli irrigidiva i piedi come due blocchi di marmo, e tutte le cellule del suo corpo gemevano per la sfinitezza invocando il sonno. Continuò ad aggirarsi nel locale senza ascoltare la voce di Har che stava parlando, senza far caso a Hugin che lo fissava, e quando il giovane uscì per cercare altra legna non si accorse neppure che all’esterno era notte. Poi sentì che la mano incorporea di Har sfiorava l’angolo più remoto della sua mente, dov’erano riposti i pensieri più intimi e segreti: un disagio asfissiante misto a un senso di terrore salì in lui, scuotendolo come una mazzata a cui fu sul punto di cedere. Sgomento tentò di sfuggire a quell’indagine impietosa che metteva a nudo la sua personalità, si ribellò, lottò furiosamente contro il bisturi di Har che scavava in lui, ma senza alcun successo. Improvvisamente fu conscio della fissità con cui lo scrutavano gli occhi dell’uomo, fermi e indagatori nella debole luce del fuoco, e intuendo che gli restava una sola via di fuga si protese verso quello sguardo; lasciò dietro di sé i suoi pensieri e gettò tutto se stesso oltre il sipario di un’altra mente umana.