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— Non vi capisco. — Il freddo stava cominciando a farlo soffrire. — Voi avete dato ad Har degli enigmi; io ne voglio le risposte. Perché avete lasciato Lungold? Perché vi siete sempre tenuto nascosto da Har?

— Secondo te, perché mai qualcuno dovrebbe nascondersi da uno che ama? — Le mani adunche lo scossero. — Non riesci a vedere? Neppure tu? Io sono chiuso in una trappola. Parlarti vuoi dire la morte, per me!

Morgon lo fissò sbalordito, in silenzio. La risata amara del mago lo fece rabbrividire, come se dietro di essa vi fosse una desolazione più fredda di tutti i ghiacci del nord. Scosse il capo. — Non riesco a capire. Voi avete un figlio, ed è Har che si prende cura di lui.

L’occhio del mago si chiuse. Emise un lungo sospiro. — Mi fa piacere. Contavo che Har lo trovasse, prima o poi. Ma sono così stanco, così stanco di tutto questo… Chiedi ad Har d’insegnarti a resistere alla costrizione. Cosa credi di poter fare tu, con le tue stelle sulla fronte, in questa partita di morte?

— Non lo so — sbottò lui, offeso dal suo tono. — So solo che non posso cancellarmele dalla faccia.

— Vorrei vedere la fine di tutto questo. Vorrei vederti… Al diavolo! Sei così incredibile che potresti perfino vincere questa partita!

— Di che partita parlate? Suth, cos’è successo in questi settecento anni? Cos’è che vi intrappola qui, in una vita da animale braccato? Che posso fare per aiutarvi?

— Niente. Io sono già morto.

— E allora fate voi qualcosa per me. Ho bisogno di aiuto! La terza interpretazione di Ghisteslwchlohm è questa: il mago che nel sentire un grido d’aiuto volge la faccia altrove, il mago che nell’osservare un demone non parla, il mago che cercando la verità se ne allontana: questi sono i falsi maghi del falso potere. Io capisco che un uomo fugga, ma non quando non resta più nessun posto dove fuggire davvero.

Una luce dolorosa brillò nell’occhio d’oro che lo fissava. Suth ebbe un sorriso acre che ricordò a Morgon i sorrisi di Har. La sua voce si raddolcì stranamente. — Metto la mia vita nelle tue mani, Portatore di Stelle. Coraggio, chiedi.

— Perché siete fuggito via da Lungold?

— Me ne andai da Lungold perché lui… — La voce gli si strozzò d’improvviso. Annaspò verso Morgon, mandando rantoli di fiato bianco dalla bocca spalancata, e cadde sulle ginocchia. Mentre si rovesciava al suolo Morgon lo afferrò per le spalle con un grido, chinandosi su di lui.

— Lui? Suth!

Le mani del mago si chiusero come morse al colletto della sua tunica, costringendolo a piegarsi col volto sopra il suo. Dalla gola gli uscì un ansito penoso, debolissimo, che soltanto con uno sforzo disperato riuscì a deformarsi in un’ultima parola, quasi inudibile:

— Ohm…!

Portò il corpo senza vita del mago da lì fino alla città di Yrye. Hugin procedette al suo fianco, talora in forma di vesta, talaltra, per uno o due miglia, nelle sue sembianze umane, un ragazzo alto e taciturno dallo sguardo sofferente, che camminando teneva fermo il corpo del padre sulla groppa del vesta accanto a lui. Ma mentre attraversavano le impervie gole di Monte Fosco Morgon provò una recondita ostilità, un disagio, verso la sua forma-vesta, come per un vestito ormai indossato troppo a lungo. La pianura si spalancò perlacea davanti a loro, fredda sotto un cielo d’avorio invernale. Yrye era a tal punto coperta di neve che soltanto i tetti scuri delle abitazioni ne emergevano. Quando annasparono nella profonda coltre bianca verso il palazzo di Har, il Re di Osterland era fermo sulla soglia ad attenderli.

L’uomo non disse parola. Tolse il cadavere dalla groppa di Morgon e restò a fissarlo mentre egli riprendeva la sua forma umana, con la barba e i capelli di due mesi e le cicatrici ormai grinzose e dure sul palmo delle mani. Morgon fece per dire qualcosa, poi richiuse la bocca e si limitò a un sospiro. La voce di Har suonò incolore: — È stato morto per settecento anni. Lo seppellirò io. Andate dentro.

— No — protestò debolmente Hugin. Appesantito dal corpo di Suth, Har si volse a fissarlo.

— Allora aiutami.

I due scomparvero sul retro della grande dimora, portando con loro la salma irrigidita. Morgon entrò nel salone. Due mani gli misero una pelliccia sulle spalle subito oltre la soglia, ed egli se la aggiustò addosso distrattamente, quasi senza accorgersene, quasi senza vedere le facce incuriosite che s’erano girate a osservarlo in silenziosa attesa. Sedette davanti al camino e si versò un boccale di vino. Aia venne a sederglisi accanto, sulla panca, e con gentilezza gli poggiò una mano su un braccio.

— Sono contenta che siate tornati salvi, voi e Hugin, il mio ragazzo. Non rammaricatevi per Suth.

Lui ritrovò la voce. — Come siete venuta a saperlo?

— I pensieri di Har non sono un segreto per me. Si cancella il dolore dalla faccia solo per appenderselo dietro la schiena. Non abbandonatelo.

Morgon abbassò gli occhi sul fondo del boccale. Poi lo depose sul tavolo e si passò le mani sugli occhi. — Avrei dovuto intuirlo — sussurrò. — Avrei dovuto pensarci. Un mago, ancora vivo dopo sette secoli, e io l’ho costretto a venire allo scoperto, solo perché morisse fra le mie braccia… — Sentendo Har e Hugin che rientravano si tolse le mani dalla faccia. Har sedette sul suo scranno. Hugin si accovacciò ai suoi piedi e gli poggiò una tempia contro un ginocchio, poi chiuse gli occhi. La mano di Har indugiò un momento a carezzargli i capelli candidi, ma il suo sguardo cercava il volto di Morgon.

— Raccontatemi.

— Leggetelo nei miei pensieri — borbottò stancamente lui. — Voi lo conoscevate bene. Forse dovreste esser voi a parlarne a me. — Girò gli occhi sul focolare e lasciò che i ricordi di quei giorni e quelle notti trascorressero sullo schermo della sua mente, fino al momento dell’assalto dei lupi e agli ultimi istanti di vita del mago. Finito che ebbe, Har smise di leggere in lui e lo fissò con calma, impassibile.

— Chi è Ohm?

Morgon ebbe una smorfia. — Ghisteslwchlohm, o almeno credo… il Fondatore della Scuola dei Maghi, di Lungold.

— Il Fondatore è ancora vivo?

— Sempre che sia veramente lui — precisò cauto Morgon.

— Cos’è che vi preoccupa? C’è qualcosa che non mi avete detto, vero?

— Ohm… a Caithnard c’è un Maestro degli Enigmi con questo nome. Io ho… mmh, studiato anche sotto di lui. Ne ho sempre avuto un grande rispetto. La Morgol di Herun ha suggerito che egli potrebbe essere il Fondatore.

— La Morgol di Herun non farebbe un’affermazione di questo genere senza averne una prova.

— Se così la si può chiamare… c’è appena la faccenda del suo nome, e il fatto che lei non è riuscita a… uh, guardare attraverso di lui.

— Il Fondatore di Lungold è a Caithnard? E ha ancora il controllo di eventuali maghi rimasti in vita?

— È appena un’ipotesi. Null’altro. Perché mai avrebbe dovuto mantenere il suo vecchio nome, quando tutto il mondo potrebbe sospettare…

— Chi volete che sospetti, dopo sette secoli? E anche se fosse, chi avrebbe abbastanza potere da controllare il suo?

— Il Supremo…

— Il Supremo! — sbottò Har. Hugin sussultò. Il Lupo-Re si accostò di più al fuoco. — Il suo silenzio è perfino più misterioso di quello di Suth. Certo, non è mai stato tipo da metter bocca nelle nostre faccende, ma questo suo riserbo ha dell’incredibile.

— Ha lasciato morire Suth.

— Suth aspettava soltanto la morte. — Il tono di Har era stato così brusco che Morgon replicò rabbiosamente:

— Era vivo! Vivo, finché non l’ho trovato!

— Smettetela di incolpare voi stesso. Era morto. L’uomo con cui avete parlato non era più Suth, ma un involucro senza nome.