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— Questo non è vero…

— Cos’è che voi chiamate vita? Direste che io sono un essere vivente se vi evitassi tremando di spavento, rifiutando di darvi un aiuto che potrebbe salvarvi la vita? Direste che io sono ancora Har?

— Sì. — La voce di lui suonò calma. — Il grano ha questo nome quando è ancora un seme nella terra, e poi quando è un verde germoglio, e poi quando è una spiga matura che sussurra al vento d’estate i suoi enigmi. E allo stesso modo Suth ha tenuto fede al suo nome di uomo, fino all’ultimo enigma che mi ha mormorato col suo sospiro di morte. Ed è perciò mia la colpa se al mondo non c’è più l’uomo che portava quel nome. Ha preso la forma di un vesta, ha avuto perfino un figlio in quelle terre; e in qualche modo, malgrado la paura e la disperazione, c’erano ancora cose che lo rendevano capace di amare.

Hugin lasciò ricadere la fronte sulle sue ginocchia. Har chiuse gli occhi e restò davanti al fuoco senza parlare, senza muoversi, mentre rughe di stanchezza e di dolore si accumulavano sulla dura maschera del suo volto.

Morgon incrociò le braccia sul tavolo e si chinò ad appoggiarvi la faccia. — Se il Maestro Ohm è Ghisteslwchlohm — mormorò, — il Supremo lo saprà. Io glielo domanderò.

— E poi?

— E poi… non lo so. Ci sono troppi pezzi del rompicapo che non vanno al loro posto. È come… i frammenti di vasi che tempo fa cercavo di rimettere insieme, a Ymris, senza sapere se li avevo tutti, o se appartenevano a dieci vasi diversi.

— Non potete viaggiare da solo da qui alla residenza del Supremo.

— Sì, posso. Voi me ne avete insegnato il modo. Har, nessun essere vivente m’impedirà di portare a termine questo viaggio, adesso. Se mi ammazzassero, sarei capace di trascinar fuori le mie ossa dalla tomba e di portarle a Monte Erlenstar. Ci sono domande a cui devo avere risposta.

Sentì una mano di Har poggiarglisi su una spalla, con insospettata gentilezza, e risollevò la testa.

Il Re disse, sottovoce: — Proseguite il vostro viaggio; nessuno di noi può far nulla, senza quelle risposte. Ma poi non azzardatevi più a stare scioccamente solo. Da Anuin a Isig vi sono Re che saranno lieti di darvi aiuto, e a Monte Erlenstar c’è un arpista le cui capacità vanno ben oltre la sua arpa. Volete farmi questa promessa? Se il Maestro Ohm è davvero Ghisteslwchlohm, non dovreste essere così pazzo da tornare di corsa a Caithnard a dirgli che lo avete smascherato.

Morgon scosse le spalle stancamente. — Non credo che sia lui. Comunque ve lo prometto.

— E tornate qui a Yrye, invece di andare dritto filato a Hed. Più la vostra ignoranza si dissolverà, e più sarete in pericolo. E a quel punto, credo che le forze che si muovono contro di voi agiranno molto più rapidamente.

Morgon avvertì la fitta dolorosa dei ricordi che tornavano a tormentarlo. Strinse i denti. — No, non andrò a casa mia… Ohm, i cambiaforma, perfino il Supremo, tutti sembrano stagnare in una calma ingannevole, in attesa di un segnale di qualche genere che preannunci l’uragano. E quando questo accadrà, io non voglio dar loro motivo di volgersi a Hed. — Si volse a fissare Har. I loro occhi si conoscevano ormai al punto che sapevano parlare in silenzio. Poi chinò il capo. — Domani partirò per Isig.

— Vi accompagnerò fino a Kyrth. Hugin potrà cavalcare uno di noi, portando la vostra arpa. In forma-vesta impiegheremo solo un paio di giorni.

Morgon annuì. — D’accordo. Vi ringrazio. — Esitò, guardò ancora Har ed ebbe un gesto di sconforto come se non gli venissero altre parole.

— Grazie — ripeté sottovoce.

Lasciarono Yrye il mattino dopo, verso l’alba. Morgon e il Lupo-Re avevano assunto la forma-vesta; Hugin cavalcava in groppa a Har, con l’arpa a tracolla e alcuni abiti che Aia aveva impacchettato per Morgon. Approfittando del tempo buono trottarono veloci verso ovest, lungo campagne seppellite sotto una dura crosta di neve immacolata, aggirando paesetti irti di camini da cui correnti di fumo affluivano come ruscelli al grande mare del cielo color cenere. Viaggiarono anche nelle ore notturne attraversarono foreste scarsamente illuminate dalla pallida luce lunare, e intorno ai versanti di basse colline rocciose, finché raggiunsero l’Ose che scendeva a sud dalle strette valli di Isig. Sulla riva si fermarono a mangiare e a dormire, poi si alzarono prima dell’alba per risalire il fiume all’intreccio di alture all’ombra del Monte Isig. L’immensa cima della montagna incappucciata di neve torreggiava sopra di loro mentre trottavano nelle profonde valli ricche di minerali, di giacimenti di ferro e rame, e di miniere da cui si estraevano pietre preziose. La città mercantile di Kyrth comparve in distanza ai piedi dei monti, distesa lungo la riva dell’Ose le cui fredde acque s’ingrossavano dirette al mare. A occidente di Kyrth si levava una distesa di rocce frastagliate come onde selvagge, che si spartivano a formare il passo ventoso oltre il quale era possibile viaggiare verso il Monte Erlenstar.

I tre si fermarono poco prima di entrare in città. Morgon riassunse la sua forma umana, indossò la pesante pelliccia che Hugin aveva portato per lui, e si mise a tracolla la custodia dell’arpa e la sacca da viaggio. Esitò, aspettando che il massiccio vesta accanto a lui riprendesse le fattezze di Har, ma l’animale si limitò a fissarlo con occhi che nelle prime ombre del tramonto sembravano elargirgli un ultimo ironico, familiare sorriso. Allora gli passò un braccio intorno al collo e appoggiò brevemente la fronte contro la bianca e fredda pelliccia. Si volse poi ad abbracciare Hugin.

— Scopri chi ha ucciso Suth — mormorò il ragazzo. — E torna indietro vivo. Torna indietro.

Si allontanò dai due senza voltarsi a guardarli, seguendo la riva del fiume che penetrava in Kyrth. Giunto in città trovò che la via principale era affollata perfino in quella stagione di mercanti, di cacciatori di pellicce, di marinai del fiume e di minatori. La strada proseguiva tagliando il fianco della montagna sopra la città, libera dalla neve e solcata dalle profonde tracce dei carri. Nella penombra serotina l’abitato aveva un’apparenza tranquilla, e gli abeti cominciavano a confondersi in un’unica massa scura. In distanza, parzialmente nascoste dalle sporgenze del monte, Morgon vide le scure mura della grande dimora di Danan Isig, irte di merli e di torrette, e gli parve che quella fortezza fosse antica come la roccia su cui sorgeva e il vento che soffiava gelido sulle sue pietre. Da lì a poco scorse, con la coda dell’occhio, un uomo che camminava nella sua stessa direzione silenzioso come un’ombra.

Morgon si fermò bruscamente. L’individuo era alto, robusto quanto un tronco d’albero, e dal candido cappuccio che gli nascondeva la testa spuntavano ciocche di capelli sfumati di grigio, e una barba dai toni rossicci. Si arrestò subito anch’egli, e lo fissò con occhi verdi piuttosto vivaci.

— Non sono armato — s’affrettò a dire. — Sono soltanto curioso. Voi siete un arpista?

Morgon esitò. Gli occhi verdi e l’espressione dell’uomo erano cordiali. Infine, con voce che i mesi di solitudine avevano quasi disabituata alle chiacchiere, rispose: — No, sono un viaggiatore. Contavo di chiedere a Danan Isig ospitalità per la notte, ma ora non so… Ditemi, tiene aperta la sua dimora agli stranieri?

— In pieno inverno ogni viaggiatore è ben accolto. Voi venite da Osterland?

— Sì. Da Yrye.

— Il covo del Lupo-Re… Io sto giusto andando ad Harte per i miei affari. Posso accompagnarmi a voi?

Morgon accennò di sì. Per un poco camminarono in silenzio, ascoltando soltanto il crocchiare della neve crostosa sotto i loro stivali. L’uomo aspirò una profonda boccata d’aria odorosa di abeti, emise una nuvola di fiato bianco e disse in tono discorsivo: — Mi è capitato di conoscere Har, anni fa. Stava venendo a Isig travestito da mercante, con un carico di ambra e di pellicce. In via confidenziale mi rivelò che cercava un bracconiere colpevole d’aver venduto ai mercanti pelli di vesta, ed era senz’altro così, ma ebbi l’impressione che fosse soprattutto curioso di esaminare la zona del Monte Isig.