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Morgon studiò il suo volto. — Avevo tutte le intenzioni di tornare a Hed — mormorò. — Questo ti avevo detto. E tu non potevi sapere che io sarei invece venuto qui; non dopo due mesi, non in pieno inverno.

— Ho preferito confidare che avresti preso questa decisione.

— E perché?

— Perché se tu avessi voltato le spalle al tuo nome, agli enigmi cui devi rispondere… se fossi tornato a Hed da solo, indifeso, per rassegnarti alla morte che sapevi sarebbe presto arrivata… allora non avrebbe avuto nessuna importanza dove fossi io, se al Monte Erlenstar o sul fondo del mare. Ho vissuto per mille lunghi anni, e riesco a riconoscere una condanna quando me la vedo davanti.

Morgon chiuse gli occhi. Quella parola, rimasta a fremere nell’aria fra di loro come una nota d’arpa, parve sciogliere qualcosa dentro di lui. Le sue spalle si abbassarono. — Condanna! Anche tu la vedi. Deth, io ho toccato il suo teschio e la sua falce a Osterland. Io ho ucciso Suth.

Per la prima volta da quando lo conosceva, la voce dell’arpista fu un ansito sbalordito: — Tu hai fatto cosa?

Lui riaprì gli occhi. — Scusami. Intendevo dire che è morto per colpa mia. Har mi aveva salvato la vita in quella tormenta, così io ricambiai con una promessa, sorvolando sul fatto che è poco saggio promettere incautamente qualcosa al Lupo-Re. — Gli mostrò le palme delle mani; le cicatrici biancheggiarono nella luce del fuoco. — Ho imparato ad assumere la forma-vesta. E ho vagato insieme ai vesta per due mesi, con Hugin, il figlio di Suth, che ha capelli bianchi e occhi rossi. Infine ho trovato Suth dietro il Monte Fosco, sotto forma di un vecchio vesta, sempre privo dell’occhio che perse in una gara di enigmi. È morto là.

— Com’è morto?

Le mani di Morgon si strinsero con forza sui braccioli della sedia. — Gli ho domandato perché fuggì da Lungold. Gli ho citato la terza interpretazione del Fondatore, chiedendogli di aiutarmi, visto che lui sapeva… lui sapeva… E Suth ha fatto la sua scelta: ha tentato di rispondermi. Ma in quel tentativo è morto. Con le sue ultime forze ha attirato il mio volto contro il suo, là ai confini del mondo, dove c’è soltanto un eterno niente fatto di neve e di vento… e là è morto, assassinato, l’unico mago mai visto da un essere umano in sette secoli. Io ho sentito sulla faccia il suo ultimo respiro, e con esso la sua ultima parola, come un enigma la cui risposta mi riempie di terrore.

— Quale parola?

— Ohm. Ghisteslwchlohm. Il Fondatore di Lungold ha ucciso Suth.

Morgon sentì di nuovo l’ansito con cui l’arpista trattenne il respiro. Gli occhi dell’uomo s’incupirono, la sua faccia era rigida. Disse: — Io ho conosciuto Suth.

— Conoscevi anche il Maestro Ohm. E hai detto di aver incontrato Ghisteslwchlohm. — Lo afferrò per un braccio, con forza. — Deth, il Maestro Ohm e il Fondatore di Lungold sono la stessa persona?

— Ti condurrò a Monte Erlenstar. Poi, se non sarà il Supremo a rispondere a questa domanda, e sempre che egli me ne dia il permesso, ti dirò ciò che mi hai chiesto.

Morgon annuì. In tono più calmo disse: — Mi sto domandando quanti altri maghi siano ancora vivi, e come i poteri di Ghisteslwchlohm possano controllarli. Mi chiedo anche perché mai il Supremo non fa niente.

— Forse perché i suoi interessi sono volti al Reame, e non alla scuola dei maghi di Lungold. O forse ha già cominciato a fare qualcosa in proposito, ma con metodi per noi imperscrutabili.

— Spero che sia così. — Prese il boccale di vino che Deth aveva riempito per lui e bevve un sorso. Dopo un po’ riprese: — Deth, Har mi ha dato cinque enigmi che a sua volta aveva avuto da Suth. E ha suggerito che ne cercassi le risposte, visto che non avevo niente di meglio in cui impegnare la mia vita. Uno di essi è: chi verrà alla fine del tempo e cosa porterà? Io presumo che colui che verrà sia il Portatore di Stelle. Dunque io sono venuto, anche se non ho la minima idea di cosa dovrei portare. Tuttavia ciò che mi tormenta non è chi, o cosa, ma quando. La fine del tempo. Mentre salivo fin qui ad Harte a piedi, con Danan, ho ripensato alle città in rovina sulla Piana del Vento ed a Pian Bocca di Re, e al fatto che nessuno sa cosa fu a distruggere i Signori della Terra. La cosa è successa molto prima dell’Anno dell’Insediamento. Noi abbiamo trovato quelle immense rovine già sconnesse dalle radici delle piante che vi crescevano in mezzo, e abbiamo fatto l’ipotesi che una guerra sia scoppiata e poi terminata, lasciando come prova di sé soltanto le pietre sparse ovunque. E abbiamo data per certa anche l’ipotesi che i maghi fossero morti. A quanto ne so io, l’unica cosa che potrebbe distruggerci tutti sarebbe la morte del Supremo. E qualunque sia la forza che ha annientato i Signori della Terra, la mia paura è che essa stia aspettando l’occasione di sfidare l’ultimo di loro… l’ultimo dei Signori della Terra.

— Penso anch’io che sia abbastanza probabile — disse tranquillamente Deth. Si chinò sul focolare e aggiustò la posizione di un ciocco fra le fiamme. Un nugolo di scintille si levò nell’aria sotto i colpetti dell’attizzatoio.

— Il Supremo non ha mai spiegato cosa distrusse quelle due città?

— Mai, da quando posso ricordare. Una volta, a Caithnard, uno dei Maestri mi disse d’aver viaggiato fino alla dimora del Supremo per fargli proprio questa domanda, dal momento che è compresa nella loro lista degli enigmi senza risposta. Il Supremo si limitò a dirgli che le città erano già deserte e in rovina ancor prima che egli imponesse le leggi relative al governo della terra nel Reame.

— Sarebbe come dire che lui non lo sa, oppure che non vuole parlarne.

— È molto difficile che egli non lo sappia.

— Allora perché… — S’interruppe. — Soltanto il Supremo potrebbe spiegarci il Supremo. Dunque dovrò domandarlo a lui.

Deth lo fissava pensosamente. — Avrei anch’io una domanda — disse sottovoce. — A Herun te la feci, e preferisti non rispondermi. Ma adesso tu porti sulle mani il marchio dei vesta, hai riconosciuto il tuo nome, e ti stai applicando a questo mistero come un Maestro. Mi piacerebbe fartela ancora.

Al ricordo, Morgon si strinse nelle spalle. — Oh, quella?

— Qual è stato il motivo che ti ha convinto così all’improvviso a lasciare Herun per tornartene a casa?

— È stato qualcosa di cui Corrig aveva preso la forma. E la risata che vidi nei suoi occhi quando lo uccisi. — Innervosito si alzò e andò alla finestra, fissando gli occhi nel buio che circondava Isig.

Alle sue spalle l’arpista chiese: — Quale forma?

— Una spada. Con tre stelle sull’elsa. — Si volse, a denti stretti. — Ci ho pensato, e la conclusione a cui sono giunto è che nessuno, neppure il Supremo stesso, può costringermi a reclamarla.

— Questo è vero. — Il tono dell’arpista era impassibile, ma c’era una ruga fra le sue sopracciglia. — Non hai mai pensato di chiederti dove Corrig possa averla vista?

— No. Non m’interessa.

— Morgon. I cambiaforma sanno che ti appartiene, e che inevitabilmente finirai per trovarla, come hai trovato l’arpa, perfino se tu non volessi mai reclamarla. E quando questo accadrà essi saranno là, in attesa.

Nel silenzio della stanza si udiva solo il lieve scoppiettio della legna nel camino. Morgon scosse le spalle. — Ormai sono vicino al Monte Erlenstar… e quella spada può essere dovunque.

— Forse. Ma una volta Danan mi ha detto che Yrth forgiò segretamente una spada, e che non la mostrò mai a nessuno, secoli prima di costruire l’arpa. Dove poi la nascose, è un mistero. Una sola cosa è certa: disse di averla sepolta sotto lo stesso luogo in cui la forgiò.