Agitò le braccia, e l’elsa della spada che stringeva nella mano destra urtò nella roccia. Riemerse, sputacchiando, e senza lasciare l’arma si trascinò su per una superficie inclinata finché non fu di nuovo all’asciutto. Qui si fermò, bocconi, dolorante e senza riuscire a far altro che ansimare penosamente. Più tardi, quando i suoi rantoli si furono acquietati, udì uno scalpiccio e il respiro di qualcun altro, vicinissimo, e trattenne il fiato. Una mano lo toccò.
Con uno scatto repentino Morgon balzò in piedi, indietreggiando. Udì un sussurro concitato: — Morgon, attento! L’acqua…
A denti stretti s’immobilizzò e tese una mano in cerca di un appiglio, aguzzando gli occhi nel tentativo di scorgere la figura dello sconosciuto; ma l’oscurità era assoluta. Poi riconobbe la voce:
— Morgon! Sono io, Bere. Non muovetevi da lì, o cadrete ancora nell’acqua. Aspettate, vengo io verso di voi.
Per restare fermo su quel terreno scivoloso, col sangue che gli riempiva la bocca, gli occorse tutto il suo coraggio. Mai l’oscurità gli era parsa così ostile. Una mano di Bere gli afferrò un gomito. Poi sentì la spada muoversi fra le sue dita, e gli sfuggì un brontolio.
— Dunque era là! Avevate ragione, io lo sapevo. L’avrei giurato che lui aveva intarsiato la lama. È… non riesco a vederla bene. Avrei bisogno di… — Tacque un istante. — Ma che avete fatto? Vi siete tagliato la mano, stringendo la lama a questo modo.
— Bere, io non posso vederti. Non vedo niente. Ma ci sono dei cambiaforma che mi inseguono.
— Erano dei cambiaforma, allora? Li ho visti. Mi sono nascosto in una fenditura, e subito dopo voi mi siete passato davanti. Che devo fare? Volete che vi lasci qui e vada…
— No. Puoi aiutarmi a uscire da questo labirinto?
— Credo di sì. Se seguiamo il torrente sotterraneo, ci porterà quasi certamente a una delle miniere inferiori. Morgon, sono contento che siate venuto a prendere la spada; ma cosa vi ha convinto ad avventurarvi qui senza parlarne a Danan? E come avete trovato la strada? Tutti vi stanno cercando. Io ero salito da voi a vedere se non avevate cambiato idea, e non vi ho trovato. Così sono andato a cercarvi nella stanza di Deth, che stava dormendo e si è svegliato nel sentirmi entrare. Quando gli ho detto che eravate sparito è andato ad avvertire Danan, e Danan ha tirato giù dal letto i minatori. Vi stanno cercando dappertutto. Io li ho preceduti. Però non capisco…
— Se riusciamo a tornare vivi in casa di Danan, te lo spiegherò. Racconterò tutto. Ma non ora.
— Va bene. Lasciate che vi porti io la spada. — Il ragazzo lo prese per un polso. — Attento, c’è una stalattite alla vostra sinistra. Dovreste bendarvi la testa.
Si avviarono in fretta nelle tenebre, senza scambiarsi parola salvo a tratti qualche mormorio di avvertimento. Malgrado lo scampato pericolo Morgon era teso, nervoso, e si sforzava di scorgere davanti a sé il riflesso di un cristallo, lo scintillio dell’acqua, ma i suoi occhi non trovavano nulla su cui posarsi. Alla fine li chiuse, e lasciò che Bere lo conducesse dietro di sé ubbidendo passivamente alla sua mano. Il percorso cominciò a salire, irregolare, fra svolte continue. Sotto le sue dita le pareti mutavano come fossero vive, talora stringendosi al punto che rendevano difficoltoso il passaggio, talaltra allargandosi oltre la portata del suo braccio mentre il soffitto invece si faceva così basso da costringerli a piegarsi in due. Finalmente Bere si fermò, in un luogo non meno buio degli altri.
— Qui c’è una scala. Conduce al pozzo principale della miniera. Volete riposarvi un po’?
— No. Vai avanti.
Gli scalini di pietra si susseguivano interminabilmente. Tremante di freddo, con le dita incrostate di sangue, Morgon cominciò a vedere ombre e chiazze di colore dinnanzi agli occhi, ma li tenne chiusi. Agli orecchi gli giungeva l’ansito di Bere, stanco quanto il suo. Da lì a poco il ragazzo emise un sospiro: — Bene. Siamo in cima. — Si fermò così bruscamente che Morgon gli urtò addosso. — C’è luce nel pozzo. Dev’essere Danan. Andiamo!
Morgon spalancò gli occhi. Bere era di fronte a lui, sotto un’arcata di mattoni le cui pareti erano soffuse di una pallida luce azzurrina. Il ragazzo chiamò, incerto: — Danan?… — Poi fece un balzo indietro e mandò un ansito di spavento. Una lama di colore grigio-verde balenò fuori dall’oscurità e gli sfiorò la testa. Bere finì lungo disteso al suolo, mentre la spada gli sfuggiva rimbalzando sonoramente, sbatté il capo e svenne.
Sbigottito Morgon fissò il corpo immobile del giovinetto, e la sua sorpresa si mutò in un impeto di rabbia animalesca. Con un ringhio scattò indietro evitando la spada che era saettata verso di lui come un serpente metallico. Si chinò, e un’altra sciabolata gli strappò un lembo della tunica; poi corse a raccogliere la spada dall’elsa stellata. Il suo assalitore lo aveva seguito con la velocità di un felino, e per schivare due fendenti successivi fu costretto a gettarsi contro la parete; ne arrestò un terzo, violentissimo e dall’alto in basso, opponendogli la sua lama, e vide scaturire dall’impatto una lingua di scintille simile a un lampo. Ma era riuscito a far ruotare la spada in semicerchio, e indietreggiando vide il sangue ruscellare sulla faccia del suo assalitore, bianca come la madreperla. Magicamente una seconda lama si materializzò in mano al cambiaforma, ed egli si trovò costretto a fronteggiarne due; con una sciabola schiacciò al suolo una di esse, evitò un affondo, fu sul punto di scivolare e imprecò furente. L’altra lama tornò ad abbattersi in cerca delle sue carni. Stavolta Morgon la evitò con un guizzo laterale e proiettò avanti la sua: sentì un contraccolpo vibrargli nel braccio fino alla spalla, e vide la spada stellata affondarsi come una scheggia di luce nel petto dell’avversario. Il cambiaforma si rovesciò all’indietro, strappandogli l’elsa dal pugno, e cadde senza un grido sull’umido e polveroso suolo della galleria.
Solo quando il silenzio fu tornato a pesare nel freddo che lo circondava Morgon s’accorse d’essere stato ferito a un braccio. Il sangue gli colava fino al polso. La sua spada, conficcata fra le costole del cambiaforma, si muoveva al ritmo dei suoi ultimi penosi ansiti di morte, e poi si immobilizzò. C’era sangue anche sull’elsa, e sulle tre stelle. La strana lampada azzurrina, rotta ma ancora accesa, era caduta a terra accanto a una mano del cambiaforma. Morgon fissò la spada stellata ed un brivido violento lo scosse da capo a piedi. Qualche istante dopo si mosse, schiacciò la lampada con un ansito di furia e vacillò fino alla parete. Appoggiò la fronte contro i mattoni scabri e chiuse gli occhi.
CAPITOLO UNDICESIMO
Il taglio lungo il suo braccio non si sarebbe rimarginato prima di due settimane, e sulle cicatrici-vesta della sua mano sinistra vi sarebbero state altre cicatrici, causate dalla lama della spada stellata. Morgon non pronunciò parola quando infine i minatori di Danan, muniti di torce fumose, scesero nella galleria e lo trovarono accanto al cadavere del cambiaforma, con gli occhi ancor fissi sulle tre stelle arrossate di sangue. Tacque anche quando Bere, con una chiazza nerastra e insanguinata sulla faccia, vacillò verso i soccorritori per tranquillizzarli, sebbene il suo sollievo nel vederlo alzarsi fosse stato grande. Risalendo lungo la miniera in compagnia di Danan si limitò a scuotere il capo alle sue domande, preferendo tacere. Senza guardare nessuno, muto e angosciato, si lasciò condurre fuori dalla montagna e su nella torre, in casa di Danan Isig.