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— Sì, lo credo. — La frase parve raggelarli entrambi, e ciascuno evitò lo sguardo dell’altro. Morgon allungò una mano ad afferrare la spada, che Bere aveva deposto sul piano sopra il caminetto, la sollevò in un largo semicerchio e poi, a denti stretti, la abbatté rabbiosamente contro la nuda pietra della parete. Alcune scintille schizzarono sul pavimento, e la lunga lama emise una vibrazione sonora come una nota d’arpa. Morgon ignorò il dolore che gli era saettato nella mano, e la sua espressione rimase cupa. — Tu potresti rispondere alle mie domande!

Quattro giorni più tardi Morgon mise fine al suo volontario isolamento nella torre e scese nel cortile degli artigiani. Il suo braccio era pressoché guarito; un’energia fisica da tempo quasi dimenticata tornava a fremergli piacevolmente nelle membra. Coi piedi piantati nella neve colma d’impronte allargò i polmoni a respirare l’odore di legna e di metallo delle fonderie. Il mondo sembrava un’oasi di tranquillità sotto il mantello grigio-bianco del cielo. La voce di Danan chiamò il suo nome, ed egli si girò. Avvolto in una spessa pelliccia il Re della montagna venne a mettergli amichevolmente una mano su una spalla.

— Sono felice di vedere che state meglio.

Lui annuì. — Oggi si sta bene all’aperto. Dov’è Deth?

— È sceso a cavallo a Kyrth questa mattina, con Ash. Torneranno verso sera. Morgon, ho riflettuto… pensavo che mi sarebbe piaciuto darvi un aiuto di qualche genere, e mi sono spremuto il cervello senza tirarne fuori niente, finché poi mi sono detto che potreste aver bisogno di un buon sistema per nascondervi, se nel viaggio che vi attende foste inseguito dai vostri nemici. Per nascondervi da tutti, se volete, dagli amici e dal resto del mondo, e riflettere un po’… E non c’è niente che sia più invisibile di un albero in una foresta d’alberi identici.

— Un albero? — I suoi occhi ebbero un lampo d’interesse. — Danan, voi potreste insegnarmi questo?

— Il talento per cambiar forma non vi manca. E tramutarsi in un albero è molto più facile che assumere la forma-vesta. Tutto ciò che dovete imparare è il segreto dell’immobilità totale. Voi sapete quale genere d’immobilità c’è in una pietra, o in una manciata di terra, vero?

— Una volta lo sapevo.

— Lo sentite ancora, dentro di voi — affermò Danan. Esplorò il cielo con lo sguardo, poi girò una rapida occhiata sui lavoranti indaffarati nelle botteghe. — Non è difficile starsene fermi in un giorno come questo. Venite. Nessuno sentirà la nostra mancanza, per un po’.

Morgon lo seguì fuori dalle mura di Harte, giù per la ricurva strada sterrata e poi nella foresta che dominava la città di Kyrth. Le loro impronte si fecero sempre più profonde nella neve alta, e nel passare fra i cespugli e gli alberi ne scossero i rami, che balzarono in alto liberati dal loro carico. La corteccia degli abeti era umida e nera, il solo colore che vi fosse in tutto quel candore intatto. Procedettero in silenzio finché, girandosi, non videro più la strada né la città, né le mura di Harte, ma soltanto gli alberi coperti di neve. Si fermarono e tesero gli orecchi. Il cielo era una cappa soffice e impenetrabile; gli abeti sembravano plasmati da un’immobilità che risaliva dalle radici alle cime appuntite, quasi che l’essenza stessa della loro vita fosse nella mancanza di moto, nello stagnare della forma. Un falco che veleggiava più in alto sorvolò gli alberi con un lievissimo fruscio e scomparve verso la valle. Morgon, che lo aveva seguito con gli occhi, si volse in cerca di Danan e stupito s’accorse d’essere solo. Là dove terminavano le impronte del Re di Isig sorgeva un abete, perfetto, svettante e silenzioso sotto la sua veste di neve.

Rimase dove si trovava, più fermo che poté. Dopo un poco il freddo dovuto alla sua stessa immobilità si fece tormentoso, poi quella sensazione svanì ed il tempo divenne qualcosa che egli poteva misurare col suo respiro, col battito del cuore, e che rallentava a mano a mano che rallentavano i suoi pensieri. Si concentrò nello sforzo di far divenire linfa il suo sangue, e rami le sue ossa, finché gli parve di svuotarsi e di essere un ottuso particolare di quel panorama invernale. Gli alberi che lo circondavano cominciarono a dargli la sensazione di sicurezza e di calore, come le mura di pietra di un rifugio di montagna, come una casa. Protendendo la mente fu sorpreso di avvertire il sussurro dei loro vasi linfatici, che estraevano la vita dal duro terreno coperto di neve. Nella montagna c’era una forza che lo attirava in basso e gli imponeva di radicarsi al suolo, c’era un ritmo vitale, e quel ritmo si mescolava al suo smorzandogli l’energia, la memoria, i pensieri, mentre il silenzio stesso diveniva la mano di un artigiano che plasmava la sua forma. In lui subentrò una conoscenza senza parole, fatta di antichità e di attese, di venti che sussurravano o urlavano, di stagioni che cominciavano e finivano, di paziente sete per ciò che si trovava intorno alle profonde radici, di lunghi sonni e lentissimi risvegli…

Qualcosa mise termine alla sua immobilità. Si stiracchiò, e una buffa difficoltà nel contrarre la faccia gli diede la sensazione d’avere la pelle di corteccia. Aveva le dita rigide come rami. Il respiro, quando ricordò di emetterlo, gli scaturì dalla bocca in una rapida nuvola di vapore. A scuoterlo era stata una mano.

Con voce che sembrava appartenere ancora al silenzio, Danan disse: — Quando avrete un po’ di tempo fate pratica, così potrete mutarvi da uomo in albero nello spazio di un pensiero. Ma attento a conservare un legame col mondo. Talvolta io dimentico di tornare uomo: guardo la montagna svanire nel crepuscolo, e le stelle spostarsi in lenti archi che smarriscono ogni significato, finché Bere deve venire a chiamarmi, o finché qualche movimento casuale nelle vicinanze mi costringe a ricordare chi sono. Quando saprò di essere stanco della vita salirò più in alto che potrò sull’Isig, poi mi fermerò e diventerò un albero per sempre. Se il cammino che avete intrapreso vi divenisse intollerabile, potrete semplicemente sparire un po’, e nessun mago o cambiaforma di questo mondo potrà trovarvi finché non sarete pronto.

— Grazie. — Stupito s’accorse che aveva faticato un istante per ricordare di possedere ancora una voce.

— Voi avete poteri notevoli. Ho guidato la vostra mente sulla giusta strada, ma avete imparato più in fretta dei miei stessi figli.

— È stato facile. Così facile che mi sembra strano di non averlo mai fatto prima d’ora. — S’incamminò a fianco di Danan, seguendo le tracce che avevano lasciato dopo essere usciti di strada, ancora conscio della tranquillità che c’era in quell’immobile foresta invernale. La voce di Danan era così pacata che non lo disturbava affatto.

— Ricordo che una volta, da giovane, trascorsi un intero inverno in forma di albero, tanto per capire quell’esperienza. Non mi accorsi neppure del tempo che scorreva. Grania mandò fuori i minatori a cercarmi, poi venne anche lei stessa, ma io non notai affatto la sua presenza, così come lei non notava la mia. In questa forma potrete sopravvivere alle tormente più terribili, se ve ne fosse bisogno, nel vostro viaggio al Monte Erlenstar. Perfino i vesta cedono, a volte, contro quei venti.

— Io ce la farò. Ma Deth? Sa mutare la sua forma?

— Non lo so. Non gliel’ho mai chiesto. — Danan si fece pensoso. — Ho sempre sospettato che abbia altri talenti, oltre l’abilità di arpista e il tatto, ma se devo esser sincero non ce lo vedo a trasformarsi in un albero. C’è qualcosa in questa forma che non gli si addice.

Morgon lo fissò. — Quali talenti sospettate in lui?

— Nessuno in particolare, ma non sarei sorpreso nel vedergli fare anche cose impensabili. In lui c’è un silenzio che, per quante volte abbiamo parlato insieme, non ha mai infranto. Probabilmente voi lo conoscete meglio di chiunque altro.

— No. Conosco quel suo silenzio… talvolta ho pensato che fosse la calma di chi ha imparato a riflettere con cura, altre volte mi è parso soltanto il silenzio dell’attesa.