Danan annuì. — Vero. Ma l’attesa di cosa?
— Non lo so — ammise Morgon. — Vorrei poterlo capire.
Raggiunsero la strada. Da Kyrth stava risalendo un carro, mezzo carico di pellicce, e il conducente nel riconoscerli fece arrestare i due robusti cavalli da tiro. Morgon e Danan salirono sul retro e si misero a sedere sulle pelli. Accarezzando una bella coda di volpe il Re della montagna mormorò: — Deth mi ha incuriosito fin dalla prima volta che lo vidi entrare nel mio cortile, un inverno di settecento anni fa. Suonò per noi, e in cambio chiese che gli insegnassimo certe vecchie canzoni di Isig. Il suo aspetto era più o meno lo stesso di adesso, e la sua abilità di arpista… anche allora non aveva rivali.
Morgon si volse, perplesso. — Settecento anni fa?
— Sì. Ricordo che fu allora, pochi anni dopo la scomparsa dei maghi.
— Io credevo… — S’interruppe, mentre una ruota rimbalzava violentemente su un sasso nascosto nella neve. — Allora non era qui a Isig quando Yrth costruì la mia arpa?
— No — dichiarò Danan, sorpreso. — Come avrebbe potuto esserci? Yrth fabbricò l’arpa circa cent’anni prima della fondazione di Lungold, e Lungold è la città dove Deth nacque.
Morgon sentì un peso in gola, come se deglutisse una pietra. La neve stava riprendendo a cadere, leggera e futile; d’improvviso sollevò gli occhi verso la grigia coltre del cielo, disperato e impaziente. — Ecco che ricomincia!
— No. Non siete riuscito a sentirlo sotto di voi, nel terreno? Il tempo cambia…
Quella sera Morgon sedette in camera sua, da solo e immobile, con gli occhi fissi nel fuoco. Le pareti della stanza e le pareti della notte lo circondavano col loro silenzio familiare e sconsolante. Fra le mani aveva l’arpa ma non la suonava; le sue dita si muovevano lente e pensose sugli spigoli e sulle superfici delle stelle. Infine udì i passi di Deth sulle scale, la tenda frusciò aprendosi e lui sollevò la testa; all’ingresso dell’arpista cercò il suo sguardo, poi tentò di spingere i suoi pensieri oltre quegli occhi oscuri e impenetrabili.
In lui balenò un senso di sorpresa, come se, aprendo la porta di unatorre solitaria e sconosciuta, si fosse accorto d’essere entrato in casa sua. Ma subito qualcosa di simile a una saetta di fuoco bianco rimbalzò nella sua mente; sconvolto e accecato balzò in piedi, e l’arpa rotolò sul pavimento. Per qualche istante non poté vedere né udire nulla, finché, quando la sfolgorante palla di luce si ritrasse dai suoi globi oculari, sentì accanto a sé la voce di Deth:
— Morgon… mi spiace. Siediti.
Morgon si tolse le mani dagli occhi e sbatté le palpebre; barbagli di colore stavano guizzando per tutta la stanza. Fece un passo e inciampò nel tavolo con la bottiglia del vino; Deth lo aiutò a sedersi sulla sedia.
Lui sussurrò: — Cos’è successo?
— Una variazione del Grande Urlo. Morgon, avevo dimenticato il lavoro mentale che hai imparato da Har; mi hai colto di sorpresa. — Versò del vino in un boccale e glielo porse. Rigido e a pugni stretti, con le vibrazioni dell’urlo mentale che gli sciabordavano nella testa come onde, Morgon riuscì ad aprire un mano e lo prese. Una convulsione non del tutto involontaria gli fece scattare il braccio di lato, il boccale volò attraverso tutta la stanza e si fracassò nel muro, schizzando attorno vino e cocci.
Si volse a fronteggiare l’arpista, controllando la voce. — Perché hai cercato di darmi a bere che eri a Isig quando Yrth ha fabbricato l’arpa? Danan ha detto che fu fatta prima che tu nascessi.
Nello sguardo dell’arpista non ci fu alcuno stupore, soltanto un barlume di rassegnazione. Abbassò la testa, poi si versò del vino e ne bevve un sorso. Sedette sull’altra sedia, cullandosi il boccale fra le mani.
— Tu pensi che io ti abbia mentito?
Morgon tacque. Poi con sua stessa sorpresa disse: — No. Tu sei un mago?
— No. Io sono l’arpista del Supremo.
— E allora, vuoi spiegarmi com’è possibile che tu fossi a Isig cento anni prima della tua nascita?
— Ti accontenti di una mezza verità, o la vuoi tutta?
— La verità!
— Quand’è così dovrai fidarti di me. — La sua voce, più morbida del fruscio del fuoco, parve mescolarsi al silenzio e alla penombra. — Al di là di ogni logica, al di là della ragione, al di là della speranza. Dovrai fidarti.
Morgon si appoggiò all’indietro, con la testa che gli doleva. — Quello scherzetto, l’hai imparato a Lungold?
— Fu una delle poche cose che riuscii a imparare. Una volta venni colpito accidentalmente dall’urlo mentale del mago Talies, che aveva avuto un’esplosione d’ira. M’insegnò lui a farlo, per farsi perdonare.
— Pensi di potermelo insegnare?
— Adesso?
— No. Per il momento la mia testa è un groviglio, non sopporterei un altro urlo. Lo usi spesso?
— No. Può essere pericoloso. Per istinto, sentendo un’altra mente che entrava nella mia, ho reagito. Ci sono espedienti più semplici per schermarsi; se avessi capito che eri tu mi sarei ben guardato dal colpirti. — Fece una pausa. — Ero salito per dirti che il Supremo ha scolpito il suo nome in ogni roccia e in ogni albero del Passo Isig. La terra al di là di Isig è sua, e lui può sentire ogni passo che la calpesta come i battiti del suo cuore. Soltanto a noi concederà di attraversarla. Danan mi ha suggerito di partire appena il ghiaccio dell’Ose comincierà a sciogliersi. E questo accadrà presto; il tempo sta cambiando.
— Lo so. L’ho sentito. Oggi pomeriggio Danan mi ha insegnato ad assumere la forma-albero. — Si alzò e andò a prendere un altro boccale, poi se lo riempì. — Ho fiducia in te, col mio nome e con la mia vita. Ma la mia vita è stata tolta al mio controllo, e io sono diventato uno strumento che deve correre avanti cercando risposte, inseguendo enigmi. Tu questa sera me ne hai dato uno; io troverò la risposta.
— Questo — disse con calma l’arpista, — è proprio il motivo per cui te l’ho dato.
Pochi giorni più tardi, mentre risaliva sull’Isig per far pratica del cambiamento di forma, Morgon riprese contatto con la corrente di silenzio assoluto e d’immobilità delle piante; e poco dopo trovò in essa un’inattesa scintilla di calore che risaliva dalle profondità del suolo per risalire come linfa nei suoi rami, finché, tornato di nuovo se stesso, gli parve d’avvertirla ancora nei polpastrelli e nel cuoio capelluto. Un soffio di vento scivolò sulle pendici della montagna; egli lo annusò e vi sentì l’odore della terra di Hed.
Trovò Deth e Danan nel cortile, che parlavano con uno degli artigiani. Nel sentirlo arrivare Danan si volse e sorrise, quindi si frugò in una tasca interna del mantello. — Morgon, oggi è arrivato un mercante da Kraal… cominciano già a svolazzare dappertutto, come uccellini all’inizio della primavera. Ha portato una lettera per te.
— Da Hed?
— No. Ha detto che se l’è portata dietro per mesi. Da Anuin.
— Anuin… — sussurrò Morgon. Si tolse i guanti e ruppe il sigillo di ceralacca. Lesse in silenzio, mentre gli altri lo osservavano. Il tiepido vento del sud che lo aveva sfiorato sulla montagna agitava il foglio fra le sue dita. Quand’ebbe finito non rialzò subito lo sguardo; stava cercando di ricostruire dentro di sé un volto che il tempo e la distanza avevano trasformato in un vago insieme di sensazioni piacevoli. Poi sollevò la testa.
— Lei vuole vedermi. — Le due facce davanti a lui gli apparvero per un momento nebulose. — Mi scrive di tenermi alla larga dalle navi. E di tornare a casa.
Quella notte, mentre dormiva, sentì il rumore dei ghiacci dell’Ose che si frantumavano e ne fu svegliato. Al mattino la superficie gelata del fiume era irretita da profonde crepature; due giorni dopo la corrente scura e turbinosa trascinava lastroni di ghiaccio grossi come carri dinnanzi alla città di Kyrth, in direzione del mare. Ad Harte i mercanti cominciarono a imballare le loro merci da portare a Kraal, sulla costa. Danan diede a Morgon un cavallo da carico e una giumenta irsuta proveniente dagli allevamenti di Herun. Regalò a Deth una collana d’oro e di smeraldi per compensarlo d’aver suonato in quelle sere quiete e interminabili. All’alba del mattino successivo il Re della montagna, i suoi due figli e Bere, uscirono a salutare Morgon e Deth. Mentre il sole si alzava in un cielo azzurro e senza nubi i due viaggiatori scesero a Kyrth, poi presero la piccola strada poco frequentata che conduceva attraverso il Passo di Isig e verso il Monte Erlenstar.