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Nudi picchi granitici scintillavano umidi sopra di loro, nella luce che pian piano si spingeva giù lungo i fianchi della montagna. La strada, che per tre stagioni all’anno era tenuta sgombra dagli uomini al servizio del Supremo, serpeggiava ricoperta da pietre cadute, alberi stroncati dal vento e mucchi di neve. Per un poco seguì il corso di un fiume, poi si alzò fra le pendici e gli strapiombi dei monti. Grandi cascate su cui soffiava il tiepido e persistente vento del sud mormoravano in angoli nascosti fra l’alta vegetazione, e altre ancora congelate scintillavano argentee fra spogli picchi rocciosi. Nel silenzio assoluto gli zoccoli dei cavalli strappavano sonori clangori al sentiero sassoso.

Trascorsero la prima notte accampati sulla riva del fiume. Sopra di loro il cielo, pieno di bagliori accecanti durante il giorno, era d’un nero straordinariamente intenso. La luce del fuoco sembrava espandersi all’insù in riflessi e aloni che offuscavano le stelle. Il fiume scorreva pigro in quel tratto, profondo e silenzioso. Durante la cena non parlarono quasi, ma più tardi Morgon, mentre lavava le stoviglie nell’acqua, senti le note di un’arpa che tintinnavano nell’oscurità leggere e veloci come le sonanti cascatelle fra cui erano passati. Restò in ascolto, inginocchiato sui sassi, finché le mani cominciarono a bruciargli per il gelo pungente; poi tornò presso il fuoco. Deth suonava una melodia dolce e vivace come la voce del fiume, gli occhi fissi nelle fiammelle che delineavano i lucidi contorni del suo strumento. Morgon gettò altri rami sul bivacco. Mandò un’esclamazione di protesta, quando l’arpista s’interruppe.

— Ho le dita mezzo congelate — disse Deth. — Mi dispiace. — Raccolse la custodia dell’arpa. Morgon sedette con la schiena appoggiata a un tronco caduto, rovesciò la testa indietro e fissò i rami del pino sopra di lui, trapunti di stelle.

— Quanto tempo impiegheremo?

— Con la buona stagione occorrono dieci giorni. Se questo tempo tiene non dovremmo metterci molto di più.

— È bello qui. È la terra più bella che abbia mai visto in vita mia. — I suoi occhi tornarono sul volto dell’arpista che s’era disteso accanto al fuoco, seminascosto da un suo avambraccio. La calma e i misteri che c’erano in lui di nuovo infastidirono Morgon. Con uno sforzo mise da parte le domande che gli ronzavano nella mente, e disse: — Hai detto che mi avresti insegnato l’urlo mentale. Potresti insegnarmi anche il Grande Urlo?

Deth sollevò l’avambraccio, se lo passò dietro la nuca. Il suo volto era disteso, e una volta tanto tranquillissimo. — Il Grande Urlo del corpo non si può insegnare; è una cosa che deve venirti spontanea. — Tacque, poi aggiunse pensosamente: — L’ultima volta che mi accadde di udirlo fu al matrimonio di Mathom di An e di Cyone, la madre di Raederle. Cyone emise un Urlo che falciò via dagli alberi un intero raccolto di noci già mezze mature, e spaccò le corde di tutte le arpe che c’erano nel salone. Io lo udii da oltre un miglio di distanza; quel giorno fui l’unico arpista in grado di suonare.

Morgon fu costretto a ridere. — E perché mai aveva gridato?

— Mathom non lo ha mai detto a nessuno.

— Mi chiedo se anche Raederle possa farlo.

— Probabilmente. Fu un Urlo formidabile. L’urlo del corpo è qualcosa d’incontrollabile e di molto personale. A te sarebbe più utile l’urlo mentale. Emette in un solo istante tutta l’energia della mente, concentrata in un unico suono. I maghi lo usavano per chiamarsi l’un l’altro da distanze enormi, da diversi reami se ne avevano la necessità. Entrambi gli urli possono essere usati per difesa, sebbene l’urlo del corpo sia debole quando non è spontaneo. Se uno è psichicamente scosso può invece essere molto efficace. L’urlo mentale è solitamente il più pericoloso; se tu urli con tutta la forza nella mente di un uomo che ti sta accanto, puoi fargli perdere i sensi. Così dovrai andarci cauto. Prova. Urla il mio nome.

— Ho paura di farlo.

— Se ci metti troppa forza ti fermerò. Occorre tempo per imparare a radunare l’energia mentale. Concentrati.

Morgon isolò la mente dall’esterno. Il fuoco parve immobilizzarsi davanti ai suoi occhi, come un cristallo di luce nelle tenebre. Il volto del compagno divenne un oggetto anonimo, come un albero o una pietra. Poi egli s’insinuò oltre la maschera di quei lineamenti e lasciò che i suoi pensieri esplodessero col nome di lui in un lampo improvviso. La sua concentrazione si dissolse, e vide il volto e il fuoco e le ombre degli alberi riprendere forma solida.

Pazientemente Deth osservò: — Morgon, ti ho sentito come se tu fossi dall’altra parte della montagna. Prova di nuovo.

— Non so bene cosa sto facendo…

— Pronuncia il mio nome, con naturalezza ma usando la tua voce mentale. Poi gridalo.

Lui tentò ancora. Questa volta dimenticò di applicare gli insegnamenti di Har, e l’urlo non fu più che un innocuo pensiero dentro di lui. Cercò di schiarirsi la mente, riprovò, e il suono telepatico che produsse gli parve il soffice esplodere di una bolla in un pentolone. Trasalì.

— Mi spiace. Ti ho fatto male?

Deth sorrise. — Questo era un tantino più forte. Di nuovo.

Lui tentò e ritentò. Quando poco più tardi sorse la luna era esausto e non riusciva più a concentrarsi. Deth si alzò in cerca di altra legna.

— Ciò che stai facendo è di emettere un’illusione di suono senza suono. Non è facile, ma dal momento che riesci a trasmettere i tuoi pensieri a un uomo dovresti anche essere capace di gridarglieli.

— Dov’è che sbaglio?

— Forse sei troppo cauto. Pensa ai Grandi Urlatori di An: il Nobile Col di Hel e la strega Madir, che contendendosi il possesso di una foresta di querce dove si nutrivano i loro maiali fecero un duello di urla rimasto leggendario. E Kale, il primo Re di An, che per la disperazione mandò un urlo tale da disperdere l’esercito mandatogli contro da Aum. Dimentica che tu sei Morgon di Hed e che io sono un arpista di nome Deth. Nel più profondo di te stesso c’è un enorme potere che non stai usando affatto. Sfruttalo, e riuscirai a emettere un urlo mentale che non sembrerà soltanto il miagolio d’un gatto in fondo a una buca.

Morgon sospirò. Provò a schiarirsi i pensieri, ma in lui scivolarono le immagini di Col e di Madir nell’atto di scambiarsi urla che crepitavano come fulmini nel cielo azzurro di An. Di Cyone, vestita di porpora e d’oro nel giorno del suo sposalizio, che emetteva un incredibile e misterioso urlo dai leggendari risultati. Di Kale, la cui figura era come perduta nell’ombra dei secoli, che sconvolto e disperato urlava nel vedere l’esercito venuto a distruggerlo. Fu immedesimandosi in Kale che Morgon, quasi senza pensarci, mandò un urlo telepatico nitido come la freccia scagliata da un arco contro una belva che lo stesse aggredendo.

Il volto di Deth tornò concreto dinnanzi a lui, rigido e pallido al di là del fuoco.

Un po’ stordito Morgon si rilassò. — Era migliore?

Deth non rispose subito. Poi mormorò, cautamente: — Sì.

Morgon si raddrizzò. — Ti ho fatto male?

— Un poco.

— Avresti dovuto… perché non mi hai fermato?