— Mi hai colto di sorpresa. — Fece un respiro profondo. — Sì. Questo era molto meglio.
Il giorno dopo la strada si scostò dal corso del fiume e risalì tagliando i fianchi scoscesi delle montagne, lungo immense scarpate biancastre che molto più in basso precipitavano direttamente nell’acqua. Per un po’ persero di vista il fiume, cavalcando attraverso una foresta. Morgon lasciò vagare gli occhi sulla lenta processione d’antichi alberi che gli sfilavano ai lati, ripensò a Danan, e gli parve di vedere scolpito in quelle rugose cortecce il volto del Re della montagna. A metà del pomeriggio sbucarono di nuovo sui costoni di roccia nuda; il loro sguardo poté di nuovo spaziare sulle curve rapide e scintillanti del fiume e sulle montagne, avvolte nel loro candido mantello invernale.
Il cavallo da carico, che procedeva all’esterno, staccò dal ciglio della strada una pietra che rotolò e rimbalzò fino al fiume. Morgon trasse l’animale più all’interno. Il sole intenso sfavillava sui picchi che li sovrastavano, trasformando i lunghi ghiaccioli in pendule dita di luce. Ogni volta che Morgon alzava gli occhi sulla parete gelida accanto a cui s’inerpicavano ne restava abbagliato.
Strinse le palpebre, e si volse a Deth. — Se io volessi mietere un raccolto di noci dagli alberi di Hed con il Grande Urlo, come dovrei agire?
Preso nei suoi pensieri l’altro rispose, distrattamente: — Devi attingere alla stessa sorgente di energia che hai sfruttato ieri notte, ma bada a tenere alla larga tutti i tuoi animali, che a un urlo del genere si disperderebbero ai quattro venti. La difficoltà sta nel produrre un suono molto alto al di là delle possibilità fisiche. Ciò richiede sia una causa che ti scuota, sia un grande abbandono psichico. Di conseguenza ti converrebbe piuttosto aspettare che sia una bufera a scrollare i tuoi alberi.
Morgon ci pensò sopra. Il lieve scalpiccio degli zoccoli e la lontana voce del fiume erano fragili suoni in quel silenzio, così immenso da sembrare capace di assorbire qualunque urlo. Rifletté sui suoi tentativi della sera prima, cercando d’identificare la sorgente di quell’energia così intima e indefinibile, che l’aveva sopraffatto nel momento di emettere il suono silenzioso. Il sole balzò fuori da dietro un’enorme roccia e all’improvviso cosparse la strada di bagliori. Nell’immenso azzurro del cielo tremolava un’altrettanto immensa nota di suono senza suono. Aspirò un profondo respiro, fece appello a ogni sua risorsa nascosta e mandò un urlo, più forte che poté.
Le montagne che li circondavano echeggiarono in risposta. Per qualche istante ascoltò con calma quelle grida, poi s’accorse che davanti a lui Deth s’era voltato stupefatto. L’uomo balzò giù di sella e afferrò le redini del cavallo da trasporto, e Morgon, allarmato dall’espressione del compagno lo imitò e si affrettò a tirare la propria cavalcatura a ridosso della parete rocciosa. Fece appena in tempo a schiacciarvisi contro, perché sopra di loro ci fu un tramestio, quindi una valanga di pietre rimbalzò sulla strada precipitando giù per il pendio.
Il tuono di echi stava scuotendo i picchi spogli e le sottostanti foreste. Un macigno grosso quanto un cavallo passò di poco sopra le loro teste, fece vibrare il terreno col suo tonfo e rotolò per la scarpata fino al fiume, stroncando numerosi alberi al suo passaggio. Pian piano i rumori si spensero, e nella zona tornò a calare il silenzio.
Inchiodato alla parete come se vi si fosse congelato contro Morgon osò sollevare cautamente la testa. Gli occhi di Deth incontrarono i suoi, privi di espressione. Poi nelle pupille gli passò un lampo.
— Morgon… — disse.
Richiuse la bocca. Accarezzò gli animali per tranquillizzarli e li riportò al centro del sentiero. Morgon fece scostare il suo cavallo dalla roccia. Per un poco gli restò accanto, all’improvviso troppo stanco per montare, e il vento gelò il sudore che gli aveva imperlato la fronte.
Dopo un poco riuscì a dire: — È stata una cosa stupida.
Deth abbassò la testa dietro il collo del suo cavallo. Morgon, che non lo aveva mai sentito ridere da quando lo conosceva, restò immobile coi piedi in mezzo alla neve, sconcertato. L’eco di quel suono rimbalzò sul picco di fronte a loro, finché la risata dell’uomo e della parete rocciosa sì miscelò in una vibrazione discordante che a Morgon parve quasi inumana. Fece un passo avanti, stranamente disturbato. Appena Deth captò il movimento di lui, tacque. Le sue mani, immerse nella criniera del cavallo, stavano tremando. Le sue spalle erano rigide.
— Deth! — lo chiamò Morgon, sottovoce.
L’arpista risollevò la testa. Prese le redini e montò in sella lentamente, senza guardare Morgon. Poco più in basso un grande albero, mezzo sradicato e col tronco spaccato verticalmente, cigolò inclinandosi sulla scarpata nevosa. Morgon lo fissò, scosso da un brivido. — Mi spiace. Non avevo idea di quel che significa un Grande Urlo fra le montagne piene di neve alta. Per poco non ho causato la nostra morte.
— Già. — L’arpista si schiarì la voce, che aveva avuto un tremito. — Sembra che il Passo sìa fortificato contro i cambiaforma, ma non contro di te.
— È per questo che ridevi in quel modo?
— Non so per cos’altro dovrei ridere. — Finalmente si volse a guardarlo. — Te la senti di proseguire?
Morgon si tirò stancamente in sella al suo cavallo. Ormai prossimo al tramonto il sole si stava abbassando in direzione del Monte Erlenstar, e sul Passo le ombre si stagliavano lunghe.
Deth disse: — La strada scende di nuovo al fiume fra un paio di miglia; potremo accamparci laggiù.
Morgon annuì. Batté una mano sul collo del cavallo, accorgendosi che sembrava tremare ancora. — Non è stato poi un urlo molto forte.
— No. È stato debole, anzi. Però ugualmente notevole. Se mai tu riuscissi a fare il Grande Urlo con tutta la sua potenza, credo che rischieresti di spaccare il mondo in due.
Impiegarono otto giorni per seguire il fiume fino alla sorgente: le immense scarpate e il ghiacciaio della montagna che sovrastava il reame del Supremo. Il mattino del nono giorno videro il termine della strada, che attraversava l’Ose e sembrava immergersi in un’immensa parete del Monte Erlenstar. Morgon tirò le redini e spinse per la prima volta lo sguardo verso la soglia della dimora del Supremo. Al di là del fiume la strada era sgombra dalla neve, e fiancheggiata da grandi alberi biancheggiava liscia e dritta. Il portone d’ingresso era una frattura nella roccia nuda della montagna sagomata e scolpita a forma di una poderosa arcata. Mentre Morgon guardava, ne vide uscire un uomo, che scese lungo la strada colma di luce e si fermò ad aspettarli al ponte.
— Seric — disse Deth. — La Guardia del Supremo. È stato addestrato a Lungold dai maghi. Andiamo.
Ma non si mosse. Morgon, attanagliato da un misto di timore e di eccitazione, lo fissò in attesa. L’arpista sedeva in sella immobile, il volto atteggiato alla calma consueta, osservando il portale che conduceva all’interno di Erlenstar. Poi si volse bruscamente. Fermandosi sul volto di Morgon i suoi occhi ebbero una strana espressione, fra indagatoria e interrogativa, quasi che stesse soppesando dentro di sé un enigma e una risposta. Poi, mettendo da parte quel pensiero, spronò avanti il cavallo. Morgon gli tenne dietro lungo la discesa fino al fiume e poi al di là del ponte. Qui giunti Seric, che indossava un lungo abito sciolto da cui il sole traeva riflessi multicolori, li fermò.
— Questo è Morgon, Principe di Hed — disse Deth, smontando.
Serie sorrise. — Dunque Hed è venuta al Supremo, infine. Tu sei il benvenuto. Lui vi sta aspettando. Prenderò io i vostri cavalli.
Fianco a fianco con Deth Morgon s’incamminò sulla strada, sulle cui pietre lisce scintillavano frammenti di grosse pietre preziose non tagliate. All’interno del portale si apriva un’immensa anticamera, nel cui centro ardeva un fuoco. Serie condusse i cavalli sulla destra. Deth guidò invece Morgon verso i due battenti di una porta ad arco. Li spinse ed essi si aprirono senza rumore. Alcuni uomini vestiti negli stessi eleganti abiti di stoffa luminosa s’inchinarono lievemente a Morgon, e chiusero la grande porta scolpita alle loro spalle.