Ogni tanto gruppi di studenti diretti in città lo incrociavano, e le loro chiacchiere vivaci aventi per oggetto gli enigmi, gli riuscirono gradevoli e rassicuranti. Il percorso fece una svolta brusca, alla sommità del colle tornò orizzontale, e l’antica Scuola costruita in pietra scura e massiccia quanto la roccia di cui sembrava far parte fu davanti a lui, silente nella placida cornice degli alberi appena smossi dal vento.
Bussò alla familiare porta a due battenti di spessa quercia. Il portiere, un giovane lentigginoso nella Toga Bianca dei Maestri Inferiori, aprì e gettò un’occhiata fredda su Morgon e sulla sua sacca, quindi proclamò verbosamente: — Bussate e vi sarà aperto. Se avete desiderio di conoscenza, qui verrete ricevuto e ascoltato. I Maestri stanno esaminando un candidato per il Rosso dell’Apprendistato, e non possono essere disturbati se non dalla morte o dal fato. Affidatemi il vostro nome.
— Morgon, Principe di Hed.
— Oh! — Il portiere si grattò la nuca e sorrise. — Entrate. Andrò a cercare il Maestro Tel.
— No, non interromperli. — Entrò e si guardò attorno. — Rood di An è qui?
— Sì, la sua stanza è al terzo piano, sul lato opposto della biblioteca. Vi accompagno io.
— Conosco la strada.
L’oscura penombra dei corridoi a volta era ravvivata soltanto alle estremità da finestre piombate, che si aprivano nei muri esterni spessi tre piedi. Su ogni lato c’erano file di porte chiuse e silenziose. Morgon trovò quella che recava il nome di Rood, inciso su un’elegante targhetta di legno dov’era raffigurato a sbalzo il profilo di un corvo. Bussò, ricevette in risposta un brontolio incomprensibile, ed aprì la porta.
Il letto di Rood, che occupava un quarto della piccola stanza di pietra, ospitava una quantità di libri, un mucchio di vestiti da cui spuntavano oggetti vari, e il Principe di An. Egli sedeva a gambe incrociate in mezzo a quel disordine, mezzo ricoperto da una toga dorata nuova di zecca, con un calice di cristallo quasi pieno di vino in una mano e nell’altra una lettera, che stava leggendo. Alzò lo sguardo, e al secco e orgoglioso moto con cui gli vide sollevare la testa, Morgon ebbe la sensazione che il tempo stesso, e non solo la sua memoria, fosse tornato indietro di un anno. Oltrepassò la soglia.
— Morgon! — Rood si raddrizzò del tutto e scese dal letto, trascinandosi dietro una cascata di libri e di stoffa. Lo abbracciò senza lasciare né la lettera né il calice di vino che aveva fra le mani. — Ah, Morgon! Unisciti a me. Sto celebrando. Sai che mi sembri quasi uno sconosciuto senza la tua toga? Ma già, dimenticavo: adesso sei un coltivatore della terra. È questo che ti ha riportato a Caithnard? Sei venuto per vendere il tuo grano, o il vino, o qualcos’altro?
— Non abbiamo vigneti decenti a Hed. Produciamo solo birra.
— Quale sventura! — Fissò Morgon con occhi un po’ arrossati, curiosi e tristi al tempo stesso. — Ho saputo dei tuoi genitori. I mercanti ne parlavano molto, in primavera. Mi spiace ho provato una gran rabbia.
— Perché?
— Perché questo ti ha incatenato a Hed, ha fatto di te un contadino indaffarato, coi pensieri pieni soltanto di uova e maiali, birra e semenze e aratri. Non tornerai mai più qui, e io sento la tua mancanza.
Morgon poggiò la sacca in un angolo, sentendo la presenza della corona nascosta all’interno come il peso di una colpa. Il sorriso gli riuscì stentato. — Sono venuto a… ho qualcosa da dirti, e non so bene da dove cominciare.
Rood lo lasciò e fece con decisione un passo indietro. — Niente discorsi seri, in un giorno come questo. — Riempì un secondo calice di vino e glielo porse. — Ho ricevuto l’Oro due giorni fa.
— L’ho saputo. Congratulazioni. Da quanto tempo stai qui a celebrare?
— Non me lo ricordo. — Riuscì a ficcare il calice in mano a Morgon, malgrado i tremiti che gli avevano fatto colare il vino lungo l’avambraccio. — Colui che vedi dinnanzi è uno dei figli di Mathom, i cui antenati furono Kale e Oen. Una discendenza in cui anche la strega Madir mise lo zampino. Soltanto un altro uomo in tutta la storia è riuscito a prendere l’Oro in meno tempo di quello occorso a me. Soltanto un altro. E costui se n’è tornato a casa per fare lo zappaterra!
— Rood…
— Hai già dimenticato tutto ciò che imparasti qui? Tu eri bravo a svelare gli enigmi come si aprono le noccioline. Tu avresti dovuto assurgere al rango di Maestro. Tu hai un fratello, avresti dovuto lasciare a lui l’eletto compito di governare le zolle e i pascoli opimi.
— Rood — disse paziente Morgon, — sai bene che era impossibile. E sai anche che io non ero venuto qui per prendere il Nero. Non l’ho mai voluto. Cos’avrei dovuto farmene? Indossarlo per potare le siepi? — La voce di Rood lo interruppe con una veemenza che lo sorprese.
— Rispondere agli enigmi! Tu avevi questo dono, questo talento, questo acume! Una volta dicesti che volevi vincere quella gara. Perché non hai mantenuto la tua parola? Invece te ne sei andato a casa a bollire la birra nei tini, e perciò ecco che è stato un altro uomo, sconosciuto di nome e di faccia, a conquistare e vincere i due più ambiti tesori di An! — Agitò bellicosamente la lettera, che s’accartocciava nella stretta delle sue dita. — E adesso chi può dire cosa lei deve attendersi? Un uomo come Raith di Hel, con una faccia lustra quanto una maschera d’oro ma un cuore simile a un dente cariato? O Thistin di Aum, debole come un pargolo e così vecchio che non riesce a salire sul letto senza aiuto? Se lei fosse costretta a sposare un individuo di questo genere, io non potrò perdonare mai né te né mio padre. Lui perché ha fatto quel dannato voto, e tu perché in questa stessa stanza facesti una promessa che non hai mantenuto. Vuoi sapere una cosa? Quando te ne andasti da qui feci un voto anch’io: giurai che avrei tentato di vincere io la gara di enigmi contro Peven, per liberare Raederle dalla sorte che mio padre le gettò addosso. Ma io non avevo nessuna possibilità. Non ho mai avuto neppure la speranza di una possibilità.
Morgon alzò una mano, scostandosi. — Rood! Vuoi smetterla di urlare e ascoltarmi un momento? Come posso parlare se non fai altro che gracchiare come un corvo ubriaco? Tu credi che Raederle si adatterebbe a vivere in una fattoria? Io devo saperlo.
— Non insultare i corvi; alcuni dei miei antenati erano corvi. È ovvio che Raederle non potrebbe vivere in una fattoria. È una delle due donne più belle delle tre regioni di An. Come puoi supporre che vorrebbe abitare fra i maiali e… — S’interruppe, immobile al centro della stanza, e d’improvviso scoccò a Morgon uno sguardo così penetrante che bastò a ricacciargli in gola quel che stava per dire. — Perché lo chiedi?
Morgon trasse a sé la sacca, e ne allargò l’apertura con dita che tremavano un poco. Mentre ne estraeva la corona, la massiccia gemma frontale, trasparente e cristallina, s’infiammò selvaggiamente di tutti i colori della stanza, sprizzò i riflessi aurei della toga di Rood e balenò di raggi luminosi come un piccolo sole. Abbacinato da quello scintillio Rood trattenne il fiato, poi mandò un urlo che fece vibrare i vetri della finestra.
Morgon depose la corona sulla sacca, sedette coi gomiti sulle ginocchia e si nascose la faccia fra le mani. Agli orecchi gli giunse il tonfo della bottiglia di vino che cadeva sul tavolo, qualcosa s’infranse al suolo con rumore di cocci, la porta della stanza fu sbattuta rumorosamente.
Nel lungo corridoio esterno ci furono grida di protesta, e una voce brontolò qualcosa circa il chiasso e la maleducazione. Morgon, col sangue che gli pulsava forte nelle tempie, raddrizzò il capo e si tolse le dita dagli occhi. — Non era necessario urlare così — mormorò. — Prendi la corona e portala a Mathom. Io me ne torno a casa. — Si alzò in piedi, ma Rood gli afferrò i polsi in una stretta che gli fece scricchiolare le ossa.