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— Tu!

Restò immobile. Rood lo lasciò andare, passò alle sue spalle e girò la chiave nella serratura come tutta risposta a coloro che stavano bussando indignati al battente. La sua faccia aveva un’espressione stranita, quasi che l’urlo gli avesse schiarito la mente dall’ebrezza lasciando al suo posto un immenso stupore. Con voce un po’ rauca disse: — Siediti. No, non posso farlo. Morgon, perché non… perché non mi hai detto che andavi a sfidare Peven?

— L’ho fatto. Te lo dissi due anni fa, quando trascorremmo una nottata intera a proporci enigmi l’un l’altro, mentre studiavamo per prendere il Blu degli Aspiranti Inferiori.

— Ma come hai potuto… lasciare Hed senza dir niente a nessuno, passare da Caithnard senza parlare con me, aggirarti invisibile come lo spettro del fato nella terra di mio padre, e affrontare la morte in quella sinistra torre che imputridisce nel vento dell’est? Non sei neppure venuto a dirmi che avevi vinto. Avresti potuto degnarti di farlo. Qualsiasi nobile di An l’avrebbe portata ad Anuin fra uno sventolio di stendardi e squilli di trombe.

— Non era mia intenzione dare delle preoccupazioni a Raederle. Semplicemente, ignoravo tutto del voto di tuo padre. Tu non me ne avevi mai parlato.

— Be’, che ti aspettavi che facessi? Ho visto non pochi grandi nobili partire da Anuin diretti a quella torre, per sciogliere il voto di mio padre, e nessuno di loro ha più fatto ritorno. Credi che volessi dare proprio a te un incentivo per tentare l’impresa? E perché hai voluto cimentarti, se non è stato per conquistare lei, o per l’onore di incedere nella sala del trono portando quella corona. Non è certo stato perché eri orgoglioso della tua sapienza… non lo hai neppure detto ai Maestri.

Morgon prese la corona e se la rigirò fra le mani. Fissò la gemma frontale, ancora impolverata, che rifletteva il verde della sua tunica. — Ho dovuto farlo perché dovevo. Per nessun’altra ragione che questa. E non l’ho detto a nessuno perché era una specie di faccenda privata… e perché non sapevo più, quando all’alba tornai fuori vivo da quella torre, se io fossi un grande Maestro degli Enigmi o un grandissimo idiota. — Gettò uno sguardo a Rood. — Che cosa ne dirà Raederle?

Gli angoli della bocca di Rood s’incresparono in un sorrisetto improvviso. — Non ne ho idea. Morgon, tu hai provocato in An un clamore che non s’era mai visto da quando Madir rubò i branchi di maiali di Hel e li lasciò liberi nei campi di grano di Aum. Raederle mi ha scritto che Raith di Hel le ha promesso di rapirla e di sposarla segretamente, se lei vuole. E che Duac, il quale è sempre stato vicino a nostro padre come la sua ombra, è furioso per il suo voto e in tutta l’estate non gli ha quasi rivolto la parola. I nobili delle tre regioni sono indignati con lui, e insistono che egli non rispetti il voto. Ma è più facile fermare il vento soffiandoci contro, che far mutare l’incomprensibile volontà di nostro padre. Raederle scrive anche di aver fatto dei sogni spaventosi, incubi nei quali un truculento straniero senza faccia e senza nome cavalcava verso Anuin con la corona di Aum in testa, per reclamarla in sposa e portarla via in una ricca ma infelice terra fra le montagne o sotto il mare. Mio padre ha spedito emissari in tutta An alla ricerca dell’uomo che ha preso possesso della corona. Ha mandato messaggeri qui alla Scuola, e ha incaricato i mercanti di indagare ovunque nei loro viaggi nel reame del Supremo. Non gli è venuto in mente di fare ricerche a Hed. E non ci ho pensato neppure io. Ma avrei dovuto. Avrei dovuto immaginare che non si trattava di qualche tremendo personaggio da incubo… ma di qualcuno ancor più imprevedibile. Ci saremmo aspettati chiunque salvo te.

Morgon accarezzò col polpastrello una perla, candida come il dente di un neonato. — Io saprei amarla — sussurrò. — Pensi che conti qualcosa!

— Tu che ne dici?

Morgon raccolse la sacca, nervosamente. — Non lo so, e non lo sai neppure tu. Sono terrorizzato al pensiero dell’espressione che ci sarà sulla sua faccia, quando vedrà che a portare ad Anuin la corona di Aum sono io. Sarà costretta a vivere ad Akren. Dovrà… dovrà familiarizzare col mio guardiano dei porci, Snog Nutt, che viene a far colazione con noi tutte le mattine. Rood, questo non le andrà giù. Lei è nata per lo sfarzo e i privilegi di An, e ne rimarrà inorridita. E questo vale anche per tuo padre.

— Ne dubito — disse Rood con calma. — I nobili di An forse, ma ci vorrebbe il giorno del giudizio per far inorridire mio padre. Per quel che ne so, quando fece quel voto diciassette anni fa aveva appena conosciuto te. La sua mente è una specie di palude e nessuno, neppure Duac, sa quanto sia profonda. Non so cosa ne penserà Raederle. So solo che non vorrei perdermi questa scena neanche se fossi certo che ad Anuin mi aspetta la morte. Comunque, io sto andando a casa per un po’ di tempo. Mio padre ha mandato una nave a prendermi. Tu verrai con me.

— Ho preso accordi per partire su un vascello dei mercanti che salpa questa sera; dovrò informarli. Con me c’è Deth.

Rood inarcò un sopracciglio. — Saprà rintracciarti. Quell’uomo riuscirebbe a trovare la cruna di un ago nella nebbia. — Sentendo che qualcuno bussava alla porta alzò la voce, seccato: — Andatevene! Qualunque cosa io abbia rotto, là fuori, mi dispiace!

— Rood! — La fragile voce del Maestro Tel era incrinata da una nota d’inconsueta severità. — Hai fatto cadere i libri di magia di Nun, e ne hai spaccato le serrature!

Rood si alzò con un gemito e andò ad aprire la porta. Alle spalle dell’anziano Maestro, una piccola folla di studenti irritatissimi accolse la sua comparsa con una cacofonia di proteste e di commenti, simile al gracchiare di un branco di corvi. La voce di Rood battagliò invano contro le loro.

— Oh, insomma! So che il Grande Urlo è proibito, ma è una questione di impulsi piuttosto che di premeditazione, e io ero sopraffatto da un impulso. Per favore, state zitti!

D’improvviso tutti tacquero. Morgon s’era fatto accanto a Rood con in mano la corona, la cui gemma frontale rifletteva il nero della toga del Maestro Tel, e senza dir parola fronteggiò lo sguardo dell’anziano individuo.

Il Maestro Tel, sul cui volto liscio come vecchia pergamena l’irritazione aveva lasciato il posto allo sbalordimento, ruppe quel repentino silenzio col tono di chi propone un enigma: — Chi ha vinto la gara di enigmi contro Peven di Aum?

— L’ho vinta io — disse Morgon.

Più tardi egli fece un resoconto dell’accaduto ai principali studiosi della Scuola, seduti nella biblioteca fra gli scaffali alti fino al soffitto dove riposavano intere collezioni di testi antichi. Gli otto Maestri lo ascoltavano con calma, avvolti nelle loro toghe nere, mentre Rood spiccava fra essi col suo brillante abito dorato. Nessuno disse parola finché egli non ebbe terminato. Poi il Maestro Tel si agitò sulla sua poltroncina e mormorò con meraviglia: — Kern di Hed!

— Come potevi saperlo? — chiese Rood. — Come hai fatto a sapere che dovevi proporgli quell’enigma?

— Non sapevo niente — puntualizzò Morgon. — Mi è venuto in mente di proporlo soltanto quando ero ormai così stanco che non riuscivo a pensare a niente altro da domandargli. Credevo che tutti quanti conoscessero quell’enigma. Ma quando Peven ha urlato: «Nessun enigma è mai venuto da Hed!» ho saputo che avevo la vittoria in pugno. Non fu un Grande Urlo il suo, ma mi resterà impresso nella mente finché vivrò.

— Kern! — La bocca di Rood si curvò in un lieve sorriso. — Da questa primavera i nobili di An si stanno ponendo due domande sole: chi sposerà Raederle, e qual è l’enigma a cui Peven non è stato capace di rispondere. Re Hagis di An, il nonno di mio padre, morì nella torre di Peven perché non era al corrente di quell’enigma. I nobili di An avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione alla tua piccola isola. Adesso lo faranno.