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Dai maestri e dagli antichi libri apprese tutto ciò che poteva sugli esseri simili all’ombra da lui scatenata; ma c’era poco da imparare. Quelle creature non venivano descritte, e non se ne parlava direttamente. C’erano solo accenni, qua e là nei vecchi libri, a cose che potevano essere come la bestia-ombra. Non era lo spettro di un umano, e non era una creatura delle Vecchie Potenze della Terra, eppure sembrava che avesse con loro qualche legame. Nel Libro dei Draghi, che Ged lesse molto attentamente, c’era la storia di un antico signore dei draghi che era finito in balìa di una delle Vecchie Potenze, una pietra parlante che stava in una lontana terra settentrionale. «Al comando della pietra», diceva il libro, «il signore parlò per evocare lo spirito di un morto dal regno dei morti; ma la sua magia fu deviata dalla volontà della pietra, e con lo spirito del morto venne anche una cosa che non era stata chiamata e che lo divorò all’interno e con la sua forma si aggirò annientando gli uomini». Ma il libro non diceva cosa fosse quella «cosa», e non narrava la conclusione della vicenda. E i maestri non sapevano da dove poteva essere venuta quell’ombra; dalla nonvita, aveva detto l’arcimago; dalla parte sbagliata del mondo, diceva il maestro delle metamorfosi; e il maestro evocatore diceva «Non so». L’evocatore era venuto spesso a sedersi accanto al letto di Ged, durante la sua infermità. Era cupo e grave come sempre, ma adesso Ged conosceva la sua pietà e gli voleva bene. — Non so. Della cosa so soltanto questo: solo un grande potere ha potuto evocarla, e forse un solo potere. Solo una voce: la tua voce. Ma ciò che significa, non lo so. Lo scoprirai tu. Dovrai scoprirlo, o morirai, o avrai un fato peggiore della morte… — Parlava sommessamente, e i suoi occhi erano tristi mentre guardava Ged. — Come tutti i ragazzi, tu pensavi che un mago potesse fare qualunque cosa. Un tempo lo pensavo anch’io. Lo pensavamo tutti. E la verità è che quando il vero potere di un uomo cresce e la sua conoscenza si amplia, la via che può percorrere diventa sempre più stretta: finché lui non sceglie più nulla ma fa solo ed esclusivamente ciò che deve fare…

L’arcimago, dopo il diciottesimo compleanno di Ged, lo mandò a lavorare col maestro degli schemi. Di ciò che s’impara nel Bosco Immanente non si parla altrove. Si dice che là non si operino incantesimi, eppure quel luogo è un incantamento. Talvolta gli alberi del bosco si vedono e talvolta non si vedono, e non sono sempre nello stesso luogo dell’isola di Roke. Si dice che gli stessi alberi del bosco siano saggi. Si dice che il maestro degli schemi apprenda la sua suprema magia là nel bosco, e che se mai gli alberi morissero anche la sua saggezza morirebbe e in quel giorno le acque salirebbero e sommergerebbero le isole di Earthsea, che Segoy trasse dalle profondità degli abissi nel tempo anteriore al mito, tutte le terre dove dimorano uomini e draghi.

Ma sono tutte cose che si sentono dire: i maghi non ne parlano.

I mesi trascorsero, e finalmente, un giorno di primavera, Ged ritornò alla Grande Casa: non sapeva cosa gli avrebbero chiesto ancora. Alla porta che dà sul sentiero attraverso i campi, verso la collina di Roke, incontrò un vecchio che l’attendeva sulla soglia. In un primo momento non lo riconobbe; poi, riflettendo, ricordò che era colui che l’aveva fatto entrare nella scuola il giorno del suo arrivo, cinque anni prima.

Il vecchio sorrise, lo chiamò per nome e chiese: — Sai chi sono?

Ged aveva riflettuto varie volte che si parlava sempre dei nove maestri di Roke ma che lui ne conosceva otto soltanto: del vento, delle mani, erborista, cantore, delle metamorfosi, evocatore, dei nomi, degli schemi. Sembrava che la gente parlasse dell’arcimago come se fosse il nono. Eppure, quando c’era da scegliere un nuovo arcimago, nove maestri si riunivano per eleggerlo.

—  Credo che tu sia il maestro custode della porta — disse Ged.

—  Lo sono. Ged, tu sei entrato a Roke dicendo il tuo nome. Ora puoi ottenere la libertà dicendo il mio. — Così disse il vecchio sorridendo, e attese. Ged restò ammutolito.

Conosceva mille modi e arti e mezzi per scoprire i nomi delle cose e degli uomini: quell’arte faceva parte di tutto ciò che aveva imparato a Roke, perché senza quella sarebbe stato possibile operare ben poche magie utili. Ma scoprire il nome di un mago e maestro è ben diverso. Il nome di un mago è nascosto meglio di un’aringa nel mare, è meglio difeso della tana di un drago. Un incantesimo rivelatore viene sempre parato da un incantesimo più forte, le sottigliezze sono inutili, le domande subdole ricevono subdole risposte, e la forza ricade rovinosamente su chi la usa.

—  Tu custodisci una porta stretta, maestro — disse infine Ged. — Dovrò sedere qui fuori nei campi, credo, e digiunare fino a quando sarò abbastanza magro da poter passare.

—  Come vuoi — replicò sorridendo il custode della porta.

Perciò Ged si allontanò un poco e si sedette sotto un ontano sulle rive del torrente Thwil, lasciando che il suo otak corresse giù a giocare nelle acque e a cercare granchiolini sulle rive fangose. Il sole tramontò, luminoso e a ora tarda, poiché ormai era primavera avanzata. Le lanterne e le luci incantate brillavano alle finestre della Grande Casa, e ai piedi della collina le vie della cittadina di Thwil si riempirono di oscurità. Le civette chiurlavano sui tetti e i pipistrelli svolazzavano nell’aria del crepuscolo sopra il torrente, e Ged era ancora là a chiedersi come poteva apprendere — con la forza, l’astuzia o la magia — il nome del custode. Più rifletteva e meno riusciva a trovare, tra tutte le arti magiche che aveva imparato in quei cinque anni a Roke, una che servisse a strappare un simile segreto a un mago.

Si sdraiò sul prato e dormì sotto le stelle, con l’otak raggomitolato in tasca. Dopo il levar del sole si avviò, ancora digiuno, alla porta della Casa, e bussò. Il custode aprì.

—  Maestro — disse Ged, — non posso strapparti il tuo nome poiché non sono abbastanza forte, e non posso estorcertelo con l’astuzia poiché non sono abbastanza saggio. Perciò mi accontenterò di restare qui, e d’imparare o servire, come vorrai: a meno che per caso tu voglia rispondere a una mia domanda.

—  Chiedi.

—  Qual è il tuo nome?

Il custode sorrise e disse il proprio nome; e Ged, ripetutolo, entrò per l’ultima volta nella Casa.

Quando la lasciò di nuovo portava un pesante mantello azzurro-cupo, dono della cittadinanza di Torning Bassa, dov’era diretto, perché là attendevano un mago. Portava anche un bastone alto come lui, intagliato nel legno di tasso e col puntale di bronzo. Il custode gli disse addio aprendogli la porta posteriore della Grande Casa, la porta di corno e d’avorio, e lui scese per le vie di Thwil, verso la nave che l’attendeva sulle acque luminose del mattino.

IL DRAGO DI PENDOR

A occidente di Roke, affollate tra le due grandi terre di Hosk e di Ensmer, stanno le Novanta Isole. La più vicina a Roke è Serd, e la più lontana è Seppish, che si trova quasi nel mare di Peln; e che siano veramente novanta in tutto è una questione che non è mai stata risolta, perché se contate solo le isole che hanno sorgenti d’acqua dolce sono appena settanta, mentre se contate tutte le rocce potete arrivare a più di cento senza aver terminato e poi la marea cambierebbe. I canali tra le isolette sono angusti, e le miti maree del mare Interno, irritate e sconvolte, salgono e scendono, così che dove all’alta marea ci sono magari tre isole, con la bassa marea può darsi che ce ne sia una soltanto. Eppure, nonostante i pericoli delle maree, ogni bambino capace di camminare sa anche remare, e ha la sua barchetta; le massaie attraversano a remi i canali per prendere una tazza di tè di canna con le vicine; i venditori ambulanti magnificano le loro mercanzie gridando al ritmo cadenzato dei loro remi. Tutte le strade, là, sono d’acqua salata, ostruite soltanto dalle reti tese da una casa all’altra per catturare i pesciolini chiamati turby, il cui olio è la ricchezza delle Novanta Isole. Ci sono pochi ponti, e non ci sono grandi città. Ogni isoletta è coperta da fattorie e case di pescatori, e dieci o venti isole formano una municipalità. Una di queste era Torning Bassa, la più occidentale, che non guardava sul mare Interno bensì verso l’oceano vuoto, quell’angolo solitario dell’arcipelago dove sta soltanto Pendor, l’isola devastata dai draghi, e più oltre ci sono le acque desolate dello stretto Occidentale.