Ora la necessità evocò la conoscenza: Duny, vedendo la nebbia sparire diradandosi attraverso il sentiero, davanti ai karg, pensò a un incantesimo che poteva essergli utile. Un vecchio mago della pioggia, nella speranza di convincerlo a diventare suo apprendista, gli aveva insegnato parecchi sortilegi. Uno veniva chiamato «tessitura della nebbia», un incantesimo legante che per qualche tempo raccoglie i vapori in un luogo e col quale un esperto d’illusioni può modellare la nebbia in parvenze spettrali che durano un poco e poi svaniscono. Il ragazzo non possedeva tale abilità, ma aveva un intento diverso e anche la forza di volgere l’incantesimo al servizio dei suoi fini. Rapidamente, a voce alta, nominò i luoghi e i confini del villaggio, e poi pronunciò l’incantesimo della tessitura della nebbia, ma tra quelle parole intrecciò le parole di un incantesimo d’occultamento, e per ultima gridò la parola che mise in moto la magia.
Mentre così faceva, suo padre gli venne alle spalle e lo colpì forte alla testa, stendendolo a terra. — Sta’ zitto, sciocco! Tieni chiusa quella bocca e va’ a nasconderti, se non sai combattere!
Duny si rialzò in piedi. Ormai poteva udire i karg, in fondo al villaggio, vicini al grande tasso che stava accanto alla conceria. Le loro voci erano chiare, e così pure il tintinnio e il cigolio delle armi e delle armature, ma loro erano invisibili. La nebbia s’era chiusa, addensandosi su tutto il villaggio, ingrigendo la luce, sfocando il mondo, così che un uomo faticava a vedere le proprie mani protese.
— Ho nascosto tutti noi — disse Duny, imbronciato perché la testa gli doleva per il colpo di suo padre e compiere il duplice incantesimo aveva esaurito le sue forze. — Manterrò la nebbia finché potrò. Di’ agli altri di condurre i karg allo Strapiombo Alto.
Il fabbro fissò il figlio, che in quella strana nebbia umida sembrava un fantasma. Impiegò un minuto per comprendere il significato delle parole di Duny; ma quando capì corse via (senza far rumore, poiché conosceva ogni staccionata e ogni angolo del villaggio) a cercare gli altri e dir loro ciò che dovevano fare. Adesso tra la nebbia grigia fioriva una chiazza rosseggiante, perché i karg avevano incendiato il tetto di paglia di una casa. Tuttavia non si addentrarono nel villaggio, ma attesero all’estremità inferiore che la nebbia si alzasse scoprendo il loro bottino e le loro prede.
Il conciatore, cui avevano incendiato la casa, mandò un paio di ragazzini a saltellare proprio sotto il naso dei karg, a gridare e a beffarli per scomparire di nuovo come fumo nel fumo. Intanto gli uomini più vecchi, strisciando dietro le staccionate e correndo di casa in casa, si avvicinarono dalla parte opposta e scagliarono una pioggia di frecce e di lance sui guerrieri, che stavano tutti riuniti. Un karg cadde contorcendosi, trafitto da una lancia ancora calda delle fiamme della fucina. Altri furono colpiti da frecce, e tutti si infuriarono. Avanzarono alla carica per abbattere i loro miseri assalitori, ma trovarono solo la nebbia piena di voci. Seguirono le voci, sferrando colpi davanti a sé nella nebbia con le grandi lance piumate e macchiate di sangue. Percorsero la strada gridando, e non sì accorsero neppure di aver attraversato il villaggio, poiché le capanne e le case abbandonate apparivano e scomparivano nelle spire frementi della grigia nebbia. Gli abitanti del villaggio si dispersero: molti si tennero a buona distanza perché conoscevano il territorio; ma alcuni, ragazzi e vecchi, erano troppo lenti. I karg, quando s’imbattevano in loro, li trapassavano con le lance o li smembravano con le spade, lanciando il loro grido di guerra, i nomi dei bianchi dèi-fratelli di Atuan:
— Wuluah! Atwah!
Alcuni guerrieri si fermarono quando sentirono il terreno diventare accidentato sotto i loro piedi; ma altri proseguirono, cercando il villaggio fantasma e seguendo vaghe forme ondeggianti che sfuggivano appena giungevano alla loro portata. Tutta la nebbia si era animata di quelle forme che si dileguavano, svanivano, sbiadivano da ogni parte. Un gruppo di karg inseguì quei fantasmi fino allo Strapiombo Alto, il ciglio del precipizio sopra le sorgenti dell’Ar, e le forme inseguite corsero nell’aria e scomparvero nel diradarsi della nebbia, mentre gli inseguitori precipitavano urlando tra i vapori e l’inattesa luce del sole in uno strapiombo di cento piedi, giù fino alle pozze poco profonde, tra le rocce. E quelli che venivano dietro di loro e non caddero si fermarono sull’orlo dell’abisso, in ascolto.
La paura s’impadronì dei cuori dei karg, che cominciarono a cercarsi a vicenda in quella strana nebbia. Si radunarono sul pendio, eppure c’erano sempre tra loro fantasmi e forme spettrali e altre figure che correvano e li trafiggevano alle spalle con lance e coltelli prima di dileguarsi di nuovo. I karg presero a correre tutti insieme giù per il pendio, incespicando in silenzio, fino a quando uscirono all’improvviso dalla nebbia cieca e grigia e videro il fiume e i burroni sotto il villaggio, nudi e nitidi nel sole mattutino. Allora si fermarono, si radunarono e si voltarono a guardare. Una grigia muraglia ondeggiante tagliava il percorso, nascondendo tutto ciò che stava oltre. Ne uscirono di corsa due o tre ritardatari, inciampando e spiccando balzi, con le lunghe lance che oscillavano sulle spalle. Nessuno dei karg si voltò indietro a guardare più di una volta. Scesero tutti in fretta, per allontanarsi da quel luogo stregato.
Più giù, nella valle del Nord, quei guerrieri ebbero modo di combattere quanto volevano. I centri della foresta Orientale, da Ovark alla costa, avevano radunato i loro uomini e li avevano mandati contro gli invasori di Gont. Scesero a gruppi dalle colline, e per tutto quel giorno e il giorno seguente i karg vennero ricacciati verso le spiagge sopra Porto Orientale, dove trovarono le loro navi bruciate; e perciò si batterono con le spalle al mare fino a quando furono uccisi fino all’ultimo, e le sabbie della foce dell’Ar rimasero arrossate dal sangue finché venne la marea.
Ma quel mattino, nel villaggio di Dieci Ontani e su allo Strapiombo Alto, l’umida nebbia grigia era perdurata per un po’ e poi all’improvviso si era dispersa e disciolta. Qua e là, gli uomini si alzarono nel chiarore ventoso del mattino e si guardarono intorno stupiti. Qui giaceva un karg morto, con i lunghi capelli gialli sciolti e insanguinati; e là giaceva il conciatore del villaggio, ucciso in battaglia come un re.
Giù al villaggio, la casa cui era stato appiccato il fuoco bruciava ancora. Accorsero per spegnere le fiamme, poiché avevano vinto la loro battaglia. Sulla via, presso il grande tasso, trovarono Duny, il figlio del fabbro: solo, illeso, ma ammutolito e istupidito. Si resero conto di ciò che aveva fatto: perciò lo condussero in casa di suo padre e andarono a chiamare la strega perché scendesse dalla sua grotta e guarisse il ragazzo che aveva salvato la vita e gli averi di tutti, eccettuati i due che erano stati uccisi dai karg e l’unica casa che era stata bruciata.
Nessuna arma aveva ferito il ragazzo, ma lui non parlava, non mangiava e non dormiva: sembrava che non udisse ciò che gli veniva detto e che non vedesse coloro che accorrevano a contemplarlo. In quella zona non c’era nessuno che fosse abbastanza mago da guarire il male che l’affliggeva. Sua zia disse: — Ha consumato troppo il suo potere. — Ma lei non sapeva come aiutarlo.