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E restò in piedi. Dopo una ventina di minuti, l’aalaag alla scrivania lo notò.

— Vieni — disse alzando il pollice, grosso come il paletto di una tenda.

Aveva parlato in aalaag, perché quasi tutti i servitori umani conoscevano i rudimenti della lingua dei padroni. Ma la sua espressione cambiò leggermente quando Shane rispose: perché c’erano pochi umani come Shane (e Shane lavorava e viveva con quei pochi) che sapessero parlare quella lingua correntemente e senza accento.

— Immacolato signore — disse Shane, avvicinandosi alla scrivania, — ho messaggi di Lyt Ahn, direttamente per il Comandante del Quartier Generale di Milano.

Non fece il gesto di estrarre dalla borsa i rotoli dei messaggi; e la mano massiccia dell’aalaag, che aveva incominciato a tendersi verso di lui con il palmo in alto alla parola messaggi, si ritrasse quando Shane pronunciò il nome di Lyt Ahn.

— Sei una bestia preziosa — disse l’aalaag. — Laa Ehon riceverà presto i tuoi messaggi.

— «Presto» poteva significare qualunque cosa, da «fra pochi minuti» a «fra qualche settimana». Ma poiché i messaggi erano di Lyt Ahn, e per giunta personali, era probabile che si sarebbe trattato di pochi minuti. Shane tornò nel suo angolo.

La porta si aprì ed entrarono altri due aalaag. Erano entrambi maschi di mezza età, uno del dodicesimo e l’altro del sesto rango. Quello del sesto rango poteva essere soltanto Laa Ehon. Un Capitano d’un rango così elevato era anzi troppo qualificato per comandare un unico Quartier Generale come quello. Era impensabile che ce ne fossero due, lì.

I nuovi venuti ignorarono Shane. No, pensò lui, mentre quelli distoglievano lo sguardo: non l’avevano ignorato. I loro occhi l’avevano notato, catalogato e accantonato in fretta. Si avviarono insieme verso la falsa finestra, e quello che doveva essere Laa Ehon parlò in aalaag:

— Questa?

Stavano osservando la ragazza dalla veste azzurra, che sedeva nell’altra stanza, ignara della loro attenzione.

— Sì, immacolato signore. L’ufficiale di servizio nella piazza l’ha vista allontanarsi dal muro di cui ti ho parlato, poco prima di notare il graffito. — Il Capitano del dodicesimo rango indicò la ragazza con il pollice. — Poi ha esaminato il graffito, ha visto che era stato fatto di recente ed è andato a cercarla. Per un momento ha pensato che si fosse confusa nel branco sulla piazza, poi l’ha vista di spalle a una certa distanza, mentre si allontanava in fretta. L’ha stordita e l’ha portata qui.

— Il suo rango?

— Trentaduesimo, immacolato signore.

— E questa è stata interrogata?

— No, signore. Ho atteso per parlarti della procedura.

Laa Ehon restò immobile per un momento senza rispondere, a guardare la ragazza.

— Trentaduesimo, hai detto? Conosceva questa particolare bestia Prima di vederla nella piazza?

— No, signore. Ma ricordava il colore del rivestimento. Non ce n’erano altri eguali nei pressi.

Laa Ehon si staccò dalla finestra.

— Vorrei prima parlare con lui. Mandalo da me.

— Signore, in questo momento è in servizio.

— Ah.

Shane capiva la momentanea pensierosità di Laa Ehon. Nella sua qualità di comandante, poteva facilmente ordinare che l’ufficiale in questione venisse sollevato dal servizio il tempo sufficiente per riferire a lui in persona. Ma l’indole degli aalaag era tale che solo una ragione gravissima gli avrebbe permesso di giustificare un simile ordine. Un aalaag in servizio, indipendentemnete dal rango, era sempre sacro.

— Dove? — chiese Laa Ehon.

— All’aeroporto locale, immacolato signore.

— Andrò a parlargli sul posto. Capitano Otah On, hai l’ordine di accompagnarmi.

— Sì, immacolato signore.

— Allora muoviamoci cercando di perdere meno tempo possibile. È improbabile che questa faccenda sia più importante di quanto appaia ora, ma dobbiamo accertarci.

Si girò verso la porta, con Otah On alle calcagna. Ancora una volta passò lo sguardo su Shane. Si fermò e si voltò a guardare l’aalaag.

— Questo chi è? — chiese.

— Signore. — L’aalaag alla scrivania era in piedi. — Un corriere che porta messaggi di Lyt Ahn per la tua mano.

Laa Ehon tornò a guardare Shane.

— Riceverò i tuoi messaggi fra un’ora, non di più, quando sarò tornato. Capisci ciò che ti ho appena detto?

— Capisco, immacolato signore — rispose Shane.

— Fino a quel momento, rimani in servizio. Ma mettiti comodo. Laa Ehon uscì per primo, seguito da Otah On. L’aalaag alla scrivania tornò a sedersi e riprese a esaminare i fogli.

Shane guardò di nuovo la ragazza al di là della vetrata. Era seduta, e non sapeva cosa sarebbe accaduto tra un’ora. L’avrebbero interrogata ricorrendo a sostanze chimiche, dapprima. Ma poi avrebbero usato metodi fisici. Non c’era sadismo nel carattere degli aalaag. Se qualcuno degli alieni l’avesse manifestato, i suoi simili l’avrebbero considerata una debolezza indecorosa e l’avrebbero eliminato. Ma si sapeva che i capi di bestiame potevano essere indotti a dire tutto ciò che sapevano se venivano sottoposti a disagi sufficienti. Un aalaag, naturalmente, era inaccessibile a questo genere di persuasione. La morte sarebbe venuta molto prima che il disagio potesse cambiare il carattere del singolo alieno al punto d’indurlo a rivelare ciò che desiderava tener nascosto.

Shane sentì che la veste gli aderiva addosso, incollata dal sudore. La donna era seduta quasi di profilo, con i capelli biondi sciolti sulle spalle; il viso, dalla carnagione sorprendentemente chiara per quella latitudine, era liscio e gentile. Non poteva avere molto più di vent’anni. Shane avrebbe voluto distogliere lo sguardo da lei, per non pensare più a ciò che l’attendeva, ma, come gli era accaduto un anno prima con l’uomo sui triplici uncini, quando aveva creato per la prima volta il simbolo, Shane non riusciva a girare la testa.

Ora lo riconosceva per ciò che era… una pazzia. Una pazzia nata dalla sua ripugnanza segreta e dal suo terrore per gli umanoidi massicci calati sulla Terra per impadronirsene. Erano i padroni che serviva, che gli permettevano di stare al caldo e di mangiare bene mentre il resto dell’umanità soffriva il freddo e aveva poco da mangiare. Che gli elargivano qualche complimento condiscendente… come se fosse realmente un animale, il cane di casa pronto a scodinzolare per un’occhiata o una parola gentile. La paura della morte era come un lingotto di ferro gelido, dentro di lui, quando pensava agli aalaag; e la paura d’una morte lenta e dolorosa era come lo stesso lingotto con gli orli affilati come rasoi. Ma nello stesso tempo c’era quella follia… quella follia che, se non l’avesse controllata con qualche piccola azione, sarebbe esplosa e l’avrebbe spinto a gettare i suoi dispacci in faccia a qualche aalaag, ad avventarsi un giorno, come un terrier contro una tigre, alla gola del suo Padrone, il Primo Capitano della Terra, Lyt Ahn.

Era una realtà, quella follia. Persino gli aalaag ne conoscevano l’esistenza nei loro popoli soggetti. C’era persino una parola per indicarla, nella loro lingua… Yowaragh. Lo yowaragh aveva indotto l’uomo morto un anno prima sui ganci a compiere un tentativo disperato per difendere la moglie contro quella che aveva interpretato come brutalità degli aalaag. Lo yowaragh, ogni giorno, faceva sì che almeno un umano, in qualche angolo del mondo, scagliasse inutilmente un bastone o un sasso contro un conquistatore schermato e intoccabile o in una situazione in cui la fuga era impossibile e la fine era certa. Lo yowaragh aveva bussato una volta alla mente di Shane, un anno fa, minacciando di erompere. Adesso stava bussando di nuovo.

Non poteva fare a meno di guardare la giovane donna, e non sopportava di guardarla… e l’unica alternativa alla fine per entrambi era impedire che accadesse… il ritorno di Laa Ehon, la tortura della ragazza e lo yowaragh che avrebbe portato alla morte anche lui.