Laa Ehon aveva detto che sarebbe tornato tra un’ora. Rivoli di sudore scorrevano sui fianchi nudi di Shane sotto la tunica. La sua mente aveva innestato le marce alte, e correva come un cuore che palpitasse incontrollato. Che via d’uscita c’era? Doveva essercene una… se fosse riuscita a trovarla. L’altra faccia della medaglia di ciò che avrebbero fatto alla ragazza era fondata sulla stessa assenza di sadismo. Gli aalaag distruggevano la loro proprietà soltanto per uno scopo. Se lo scopo non c’era, non sprecavano una bestia utile. Non avrebbero avuto un motivo per trattenerla solo perché era stata arrestata. La ragazza era troppo insignificante; gli aalaag erano troppo pragmatici.
La mente di Shane era febbricitante. Non era sicuro di ciò che stava progettando, ma tutta la conoscenza intima degli aalaag acquisita nei tre anni vissuti vicino a loro ribolliva in fondo ai suoi pensieri. Andò a piazzarsi davanti all’aalaag alla scrivania.
— Sì? — chiese l’aalaag dopo un po’, alzando gli occhi.
— Immacolato signore, il Capitano Comandante ha detto che sarebbe tornato fra un’ora per ricevere i miei messaggi, e che nel frattempo dovevo restare in servizio a mettermi comodo.
Gli occhi dalle pupille grigio-nere lo fissarono, alla stessa altezza dei suoi.
— Vuoi metterti comodo, è così?
— Immacolato signore, se potessi sedermi o sdraiarmi, sarei molto grato.
— Sì. Sta bene. Il Comandante ha ordinato così. Vai a cercare le attrezzature per tali attività nelle aree del nostro bestiame. Ritorna fra un’ora.
— Sono grato all’immacolato signore.
Le pupille grigio-nere vennero ombreggiate dalle sopracciglia nerissime che si contraevano.
— È questione di ordini. Non sono il tipo che permette alle bestie di adularmi.
— Signore, io obbedisco.
Le sopracciglia si decontrassero.
— Così va meglio. Va’.
Shane uscì. Si mosse rapidamente. Come quando, in Danimarca, si era finalmente reso conto di ciò che stava facendo. Non aveva più dubbi o esitazioni. Si avviò in fretta lungo il corridoio esterno che era deserto, con gli orecchi e gli occhi intenti per captare la presenza di qualcuno, ma soprattutto di qualche alieno. Quando passò accanto agli ascensori si fermò e guardò intorno.
Non c’era nessuno di guardia; e una volta a bordo dell’ascensore avrebbe potuto scendere da quel piano al pianterreno e anche più in basso senza essere visto. Ci sarebbero state altre porte che comunicavano con l’esterno, oltre a quella da cui era entrato; e le avrebbe forse trovate ad altri piani, ai piani sotterranei. Dovevano esserci porte usate soltanto dagli stessi aalaag e dai loro servitori più fidati: e quelli erano senza dubbio liberi di andare e venire senza essere notati.
Premette il pulsante per chiamare l’ascensore. Arrivò dopo un momento e le porte si aprirono. Shane si voltò dall’altra parte, per fingere (se a bordo ci fosse stato un aalaag) che lui stava semplicemente passando di lì. Ma la cabina era vuota.
Entrò. L’unico pericolo, adesso, era che qualche aalaag, a un piano inferiore, avesse chiamato l’ascensore. Se si fosse fermato per prendere a bordo uno degli alieni e la porta, aprendosi, l’avesse rivelato all’interno, sarebbe stato in trappola… doppiamente colpevole, perché era dove non doveva essere e perché era assente dal suo dovere, che al momento consisteva nello sdraiarsi o riposarsi in altro modo. Solo gli aalaag potevano usare gli ascensori.
Per un momento gli sembrò che la cabina rallentasse al primo piano. In fondo alla sua mente i piani saettavano come lampi di calore in una sera d’estate. Se si fosse fermato, se la porta si fosse aperta e fosse entrato un aalaag, intendeva gettarsi alla gola dell’alieno. Con un po’ di fortuna, l’altro l’avrebbe ucciso istintivamente e lui non sarebbe stato interrogato perché rivelasse come mai era lì.
Ma l’ascensore non si fermò. Continuò la discesa, e la spia luminosa che indicava i piani mostrò finalmente che si stava avvicinando al primo seminterrato. Shane premette il pulsante e l’ascensore si fermò. La porta si aprì, e uscì in un corridoietto che conduceva direttamente a una porta di vetro e a una rampa di scale che saliva. Aveva trovato una delle uscite degli alieni.
Lasciò l’ascensore e percorse a passo svelto il corridoio, fino alla porta. Era chiusa, ovviamente; ma lui aveva in tasca la Chiave di Lyt Ahn, o almeno la chiave che erano autorizzati a portare gli speciali servitori umani di Lyt Ahn: avrebbe aperto ogni porta normale in un edificio appartenente agli alieni.
Provò a usare la chiave, e funzionò. La porta si aprì senza far rumore. Dopo un istante Shane uscì, salì la scala e raggiunse la strada.
S’incamminò lungo la strada, a un passo svelto e quasi di corsa, e al primo incrocio svoltò a destra, in cerca d’una zona commerciale. Quattro isolati più avanti trovò una grande piazza con molti negozi. C’era un unico aalaag, in groppa alla sua cavalcatura, e torreggiava indifferente tra la folla, davanti al colonnato del portico che chiudeva un’estremità della piazza. Era impossibile capire se l’alieno era in servizio o se stava aspettando qualcosa o qualcuno. Ma per Shane, adesso, non sarebbe stato prudente servirsi di un negozio di quella piazza.
Proseguì in fretta. Qualche strada più avanti trovò alcuni negozi sui due lati di un vicolo cieco, e uno vendeva i semplici capi di abbigliamento che gli aalaag permettevano agli umani di indossare. Entrò, e il campanello sopra la porta tintinnò leggermente.
— Signore? — disse una voce.
Gli occhi di Shane si abituarono alla semioscurità dell’interno. Vide un banco carico di indumenti piegati dietro il quale stava un uomo basso e bruno con il naso affilato. Stranamente, in quei tempi d’occupazione aliena, il proprietario aveva un po’ di pancetta sotto il camice giallo.
— Voglio una veste lunga — disse Shane. — Double-face.
— Certo. — Il negoziante girò intorno al banco. — Di che tipo?
— Quanto costa il tipo più caro?
— Settantacinque nuove lire o l’equivalente, signore.
Shane frugò nella borsa appesa al cordiglio della cintura, e buttò sul banco le monete metalliche emesse dagli aalaag come valuta internazionale… i rettangoli d’oro e d’argento con i quali veniva pagato il suo lavoro come dipendente di Lyt Ahn.
Il negoziante si fermò di colpo. Fissò lo sguardo sulle monete, poi tornò a guardare in faccia Shane con un’espressione diversa. Solo gli umani molto potenti, sotto l’autorità aliena, o quelli che trafficavano ai mercato nero avevano di solito quelle monete per pagare i conti; e molto raramente uno di loro sarebbe entrato in un piccolo negozio.
L’uomo si mosse per avvicinarsi alle monete. Shane le coprì con una mano.
— Scelgo io la veste — disse. — Mi mostri l’assortimento.
— Ma certo, certo, signore.
Il negoziante passò oltre le monete e usci dietro il banco. Aprì la porta del retro e invitò Shane a entrare. All’interno c’erano tavoli carichi di indumenti e stoffe. In un angolo, sotto una lampada al cherosene, c’era un tavolo da sarto con pezze di tessuto, arnesi da lavoro, filo, e gessetti bianchi e blu.
— Ecco le vesti sono qui, su questi due tavoli — disse l’uomo.
— Bene — disse Shane in tono aspro. — Vada là nell’angolo e si volti. Sceglierò quello che voglio.
Il negoziante si mosse in fretta, incurvando le spalle. Se il visitatore era nel giro del mercato nero, sarebbe stato imprudente contraddirlo o farlo irritare.
Shane trovò le vesti double-face in mezzo alle altre, frugò, e scelse la più ampia che riuscì a trovare e che fosse azzurra da una parte. L’interno era marrone. L’infilò sulla sua veste, con la parte azzurra all’esterno, e tirò il cordone della cintura. Si avvicinò al tavolo da lavoro e prese un gessetto bianco.