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— Sì, immacolato signore.

— Da quanto tempo parli la vera lingua?

— Da due anni di questo mondo, immacolato signore.

Laa Ehon continuò a guardarlo, e un rivolo di sudore gelido scorse lungo la spina dorsale di Shane.

— Sei una bestia che val la pena di possedere — disse lentamente il Comandante. — Non pensavo che uno come te potesse imparare a parlare in modo tanto chiaro. Quanto sei valutato?

Shane si sentì mozzare il respiro in gola. L’esistenza era a malapena tollerabile per chi faceva parte del gruppo privilegiato di umani appartenenti all’alieno padrone della Terra. La follia che tanto temeva sarebbe venuta presto, se invece fosse rimasto imprigionato lì, in quell’edificio, tra i bruti che formavano la Guardia Interna.

— A quanto ne so, immacolato signore… — Shane non osò esitare prima di rispondere. — … sono valutato metà possesso di terreno…

Otah On, che era tornato a fianco del comandante, alzò le sopracciglia nere nel sentire quel prezzo; ma la faccia di Laa Ehon rimase pensierosa.

— … e il favore del mio padrone Lyt Ahn.

L’aria pensierosa abbandonò la faccia di Laa Ehon. Il cuore di Shane martellava. Era vero che aveva premesso alla risposta la frase «a quanto ne so», ma in realtà non aveva mai saputo ufficialmente che una parte del suo prezzo comportasse il favore del suo padrone. La valutazione che sapeva di avere, mezzo possesso di terreno (circa quaranta miglia quadrate di quella che gli aalaag chiamavano «buona campagna») era un prezzo enormemente alto in se stesso per una bestia umana. Era l’equivalente approssimativo di quello che, nei tempi pre-aalaag, sarebbe stato il costo di una lussuosa macchina sportiva fuori serie placcata d’oro e ornata di gemme. Ma Laa Ehon era sembrato disposto a considerare anche quello. Non era la prima volta che Shane si rendeva conto di godere della posizione di una specie di giocattolo di lusso. Ma questa volta aveva accennato che il suo prezzo includeva il favore di Lyt Ahn. «Favore» era un termine che trascendeva qualunque prezzo. La designazione indicava che il suo padrone era personalmente interessato a tenerlo, e che il prezzo di vendita poteva includere qualsiasi cosa… ma probabilmente qualcosa che Lyt Ahn avrebbe gradito almeno quanto ciò a cui rinunciava. Quel «favore», incluso in una vendita, poteva costituire in effetti un assegno in bianco firmato dal compratore, incassabile in qualunque momento futuro da parte del venditore, in merci o azioni, e garantito secondo l’inflessibile codice di obbligazioni degli aalaag.

A Shane nessuno aveva mai detto che aveva il favore di Lyt Ahn. Aveva semplicemente sentito, una volta, Lyt Ahn dire al suo capo di stato maggiore che doveva decidersi a estendere il suo favore a tutte le bestie del gruppo speciale al quale apparteneva Shane. Se Laa Ehon avesse chiesto conferma a Lyt Ahn, e questo non era mai stato fatto, allora Shane sarebbe stato spacciato perché aveva dimostrato d’essere una bestia bugiarda e indegna di fiducia. Anche se il favore era stato concesso, Lyt Ahn avrebbe potuto chiedere come mai Shane ne era venuto a conoscenza.

D’altra parte poteva darsi che il Primo Capitano, preso com’era dagli impegni importanti del governo, concludesse semplicemente che doveva averlo detto a Shane, a un certo momento, e poi l’aveva dimenticato. Rivendicarlo adesso era uno dei rischi quotidiani necessari all’esistenza umana in mezzo agli alieni.

— Dagli la ricevuta — disse Laa Ehon.

Otah On consegnò a Shane la ricevuta dei dispacci, preparata un attimo prima dall’ufficiale di servizio. Shane la mise nella borsa.

— Torni direttamente da Lyt Ahn? — disse Laa Ehon.

— Si, immacolato signore.

— I miei ossequi al Primo Capitano.

— Sarà fatto.

— Puoi andare.

Shane si voltò e uscì. Quando la porta si chiuse dietro di lui, trasse un profondo respiro e scese in fretta la scala, fino all’ingresso.

— Torno alla residenza del Primo Capitano — disse all’ufficiale delle Guardie Ordinarie in servizio all’entrata. Era l’uomo che parlava l’italiano con accento arabo. — Vuol prenotarmi il posto sull’aereo? Ho la precedenza, naturalmente.

— È già stato provveduto — disse l’ufficiale. — Viaggerà con uno dei Padroni in servizio di corriere su un piccolo aereo militare che parte fra due ore. Devo ordinare un mezzo di trasporto per condurla all’aeroporto?

— No — rispose laconicamente Shane. Non era tenuto a spiegare le ragioni delle sue azioni a quel lacché in uniforme. — Ci andrò da solo.

Gli sembrò di scorgere un lampo di ammirazione nello sguardo dell’ufficiale. Ma del resto, se l’altro pensava mai di aggirarsi da solo per le vie di Milano, l’avrebbe fatto con l’uniforme regolamentare che non era mai autorizzato a togliersi. Un tipo come l’ufficiale non poteva immaginare di quale libertà godeva Shane muovendosi, apparentemente come uno di loro, tra gli umani normali della città… e non poteva immaginare quanto gli fossero necessari quei pochi momenti di libertà illusoria.

— Sta bene — disse l’ufficiale. — Il Padrone che la porterà è Enech Ajin. Il banco dei Padroni, all’aerostazione, le indicheranno come raggiungerlo, quando arriverà.

— Grazie — disse Shane.

— Prego.

Avevano inevitabilmente assimilato entrambi, pensò con amarezza Shane, i convenevoli e le intonazioni dei padroni…

Uscì passando dalla pesante porta di destra dell’entrata e scese i gradini. Non c’erano tassì in vista… naturalmente. Nessun umano avrebbe ronzato intorno al quartier generale alieno se non in caso di necessità. Si avviò per la stessa strada che aveva percorso per raggiungere la piazza.

Aveva superato due incroci quando un tassì gli passò accanto, lentamente. Lo fermò e salì a bordo.

— All’aeroporto — disse. Guardò l’uomo magro e infagottato al volante, mentre apriva automaticamente la portiera. Salì… e incespicò su qualcosa che stava sul tappetino.

La portiera sbatté e il tassì sfrecciò via a tutta velocità. Shane si ritrovò bloccato da due uomini che prima stavano acquattati accanto al sedile posteriore. Lo tenevano immobilizzato, e gli puntavano contro la gola qualcosa di acuminato.

Abbassò lo sguardo e vide un cosiddetto coltello di vetro, ricavato da una scheggia di vetro legata fra le due metà di un manico di legno. Il vetro formava il filo tagliente e poteva essere acuminato come un rasoio… e quello lo era.

— Fermo! — ringhiò in italiano uno dei due uomini.

Shane non si mosse. Sentiva il puzzo degli abiti sporchi dei due che lo tenevano immobilizzato. Il tassì lo portava via, velocemente, per strade sconosciute, verso una destinazione inimmaginabile.

Viaggiarono almeno per una ventina di minuti: era impossibile capire se fosse il tempo necessario per coprire la distanza fino alla meta, o se in parte avesse lo scopo di confondere i suoi tentativi di calcolarla. Finalmente il tassì svoltò, sobbalzò sull’asfalto molto dissestato, e passò sotto l’ombra di un voltone. Poi si fermò e i due uomini trascinarono fuori Shane.

Intravvide appena un cortile buio e non troppo pulito circondato da edifici, e quindi fu spinto su per due gradini, oltre una porta e in un corridoio lungo e stretto saturo degli odori di cucina e di vernice vecchia.

Shane era più stordito che spaventato. Provava qualcosa di molto simile a un’accettazione fatalistica. Per due anni aveva vissuto con il pensiero che un giorno o l’altro gli umani comuni l’avrebbero identificato per uno di quelli che lavoravano per gli alieni; e allora avrebbero sfogato su di lui la paura e l’odio che tutti nutrivano per i conquistatori e che non osavano manifestare direttamente. Con l’immaginazione aveva vissuto molte volte quella scena. Era egualmente spiacevole, adesso che si era realizzata: ma era una situazione che aveva già esaurito le sue emozioni. Alla fine, era quasi un sollievo vedere che i giorni della mascherata erano finiti e che era stato scoperto per ciò che era in realtà.