I due uomini si fermarono di colpo. Shane fu spinto oltre una porta, sulla destra, in una stanza illuminata da un’unica, potente lampadina. Il contrasto con il cortile in penombra e il corridoio ancora più buio rese per un momento accecante quella luce. Quando i suoi occhi si abituarono, vide che era di fronte a un tavolo rotondo, e che la stanza era grande, con il soffitto alto e i muri ingrigiti dal tempo e un’unica alta finestra chiusa da una tenda per l’oscuramento. Il cordone della lampadina non spariva sotto traccia nel soffitto, ma passava accanto a un tubo del gas tappato, scendeva lungo la parete di fronte ed era collegata a un generatore a pedali. Un giovane dai capelli neri sedeva sul sellino e, quando la luce della lampadina incominciava ad affievolirsi, pedalava energicamente fino a che si ravvivava di nuovo.
C’erano altri uomini in piedi nella stanza, e due erano seduti al tavolo in compagnia dell’unica donna visibile. Shane la riconobbe: era la prigioniera che aveva visto attraverso la finestra. Lei lo guardò negli occhi con l’espressione di un’estranea, e sebbene fosse stordito Shane pensò che era strano che lui la riconoscesse con un’emozione tanto profonda, mentre la donna non lo conosceva affatto.
— Dov’è il proprietario del negozio d’abbigliamento? — disse uno degli uomini seduti al tavolo con un accento dell’Italia settentrionale sfumato da un altro accento, quello londinese. Era giovane, giovane come Shane; ma diversamente da Shane era asciutto e atletico con il naso diritto, la mascella quadrata, le labbra sottili e i capelli biondi molto corti.
— Fuori, in magazzino — disse una voce in italiano, ma senza accento inglese.
— Allora portatelo qui! — disse l’uomo dai capelli corti. L’altro seduto a tavola accanto a lui non disse niente. Era tondo e solido, oltre la quarantina, e portava una logora giacca di pelle. Teneva in bocca una pipa a canna corta. Sembrava italiano.
Alle spalle di Shane, la porta si aprì e si chiuse. Dopo un minuto si aprì e si chiuse di nuovo, e un uomo bendato, nel quale Shane riconobbe il proprietario del negozio dove aveva comprato la veste doublé face, venne condotto avanti e girato verso di lui. Gli tolsero la benda.
— Dunque? — chiese il giovane dai capelli corti.
Il negoziante batté le palpebre sotto la luce intensa. I suoi occhi si fissarono su Shane e subito si distolsero.
— Che cosa volete, signori? — chiese. La voce era appena un bisbiglio.
— Nessuno gliel’ha detto? Lui! — disse spazientito l’uomo dai capelli corti. — Lo guardi. Lo riconosce? Dove l’ha visto?
Il negoziante si umettò le labbra e alzò gli occhi.
— Oggi, signore — disse. — È venuto nel mio negozio e ha comprato un abito doublé face, azzurro e marrone…
— Questo? — L’uomo dai capelli corti fece un gesto. Uno di quelli che stavano in fondo alla stanza si fece avanti e mise un indumento avvoltolato nelle mani del negoziante, che lo spiegò e lo guardò.
— Questo è mio — disse con un filo di voce. — Sì. È quello che ha comprato.
— Bene, allora può andare. Tenga il vestito. Voi due… non dimenticate di bendarlo. — L’uomo dai capelli corti si rivolse al giovane seduto al generatore. — Allora, Carlo? È lui che hai seguito?
Carlo annuì. Aveva uno stuzzicadenti in un angolo della bocca. Stordito, Shane lo guardava stranamente affascinato, perché lo stuzzicadenti sembrava dargli un’aria bricconesca, infallibile.
— Ha lasciato piazza San Marco ed è tornato direttamente al Quartier Generale degli alieni — disse Carlo. — In tutta fretta.
— Allora non ci sono dubbi — disse l’uomo dai capelli corti. Squadrò Shane. — Bene, vuoi dirci che cosa ti avevano incaricato di fare gli aalaang? O dobbiamo aspettare che Carlo ti lavori un po’?
All’improvviso, Shane si sentì sopraffare da una stanchezza nauseata… era stanco dei sudditi umani e dei padroni alieni. Una furia inaspettata ribollì dentro di lui.
— Maledetto stupido! — gridò all’uomo dai capelli corti. — Stavo salvando lei!
E indicò la donna che ricambiò il suo sguardo aggrottando la fronte, intenta.
— Idioti! — sibilò Shane. — Stupidi imbecilli con i vostri giochetti della resistenza! Non sapete che cosa le avrebbero fatto? Non sapete dove sareste adesso tutti quanti, se non avessi dato loro un motivo per pensare che fosse stato qualcun altro? Per quanto tempo credete che avrebbe resistito a non dire tutto quello che sa di voi? Ve lo dico io, perché l’ho visto… quaranta minuti in media!
Tutti guardarono la donna, istintivamente.
— Non è vero — disse lei con voce esile. — Non hanno minacciato di farmi niente. Mi hanno tenuta lì un po’ ad aspettare e poi rilasciata per mancanza di prove.
— L’hanno lasciata libera perché io ho dato loro un motivo di dubitare che fosse stata lei a tracciare quel segno! — Il furore stava trascinando Shane come una marea scura e inesorabile. — L’hanno rilasciata perché è giovane e sana, e loro non sprecano le bestie utili senza una ragione. Mancanza di prove! Credete ancora di aver a che fare con gli umani!
— Sta bene — disse l’uomo dai capelli corti, in tono secco. — Tutto questo è molto bello, ma adesso spiegarci dove hai imparato il nostro Segno.
— Imparato? — Shane rise, una risata simile a un singulto di rabbia soffocata. — Buffoni! L’ho inventato io. Io! Lo incisi su un muro di mattoni ad Aalborg, due anni fa, per la prima volta. Dove l’ho imparato! Come l’avete imparato voi? Come l’hanno scoperto gli aalaang? Vedendolo inciso in qualche posto, naturalmente!
Vi fu un momento di silenzio, nella stanza, quando si spense l’eco della voce di Shane.
— Allora è pazzo — disse l’uomo con la pipa.
— Pazzo — ripeté Shane, e rise di nuovo.
— Un momento — disse la donna. Girò intorno al tavolo e si fermò di fronte a lui. — Chi sei? Cosa fai con gli aalaag?
— Sono un traduttore, un corriere — disse Shane. — Appartengo a Lyt Ahn… io e una trentina di altri uomini e donne come me.
— Maria… — disse l’uomo dai capelli corti.
— Aspetta, Peter. — Lei alzò la mano e continuò senza staccare gli occhi da Shane. — Sta bene. Raccontaci cos’è successo.
— Stavo consegnando dispacci speciali a Laa Ehon… conoscete il vostro Comandante locale, immagino…
— Conosciamo Laa Ehon — disse bruscamente Peter. — Continua.
— Avevo da consegnare comunicazioni speciali. Ho guardato da un falso specchio e ti ho vista. — Shane guardò Maria. — Sapevo cosa ti avrebbero fatto. Laa Ehon stava parlando di te con uno dei suoi ufficiali. Avevano avvistato un umano con una veste azzurra. C’era la vaga possibilità che se fosse arrivata un’altra segnalazione di un umano con la veste azzurra che tracciava quel segno avrebbero avuto abbastanza dubbi per non voler sprecare una bestia giovane e sana come te. Perciò sono sgattaiolato via e ho fatto in modo che ricevessero un’altra segnalazione. Ha funzionato.
— Perché l’hai fatto? — Maria lo stava guardando con occhi penetranti.
— Un momento, Maria — disse Peter. — Lascia che gli faccia qualche domanda. Tu, come ti chiami?
— Shane Everts.
— E hai detto di aver sentito Laa Ehon parlare con uno dei suoi ufficiali. Come mai eri lì?
— Stavo aspettando di consegnare i dispacci.
— E Laa Ehon ha discusso tutto quanto davanti a te… è questo che stai cercando di raccontarci?
— Loro non ci vedono a non ci sentono, a meno che abbiano bisogno di noi — disse amaramente Shane. — Siamo oggetti… animali.