— Dimmi un po’ — chiese Peter in inglese, nel tono più amichevole che avesse usato fino a quel momento, — come mai facesti quel primo segno in… dove hai detto che è stato?
— Danimarca — disse Shane, rispondendo in inglese. — La città di Aalborg. Ero andato a consegnare i messaggi e mentre tornavo indietro vidi due alieni, padre e figlio, sulle loro cavalcature, attraversare la piazza dove c’è la statua del toro Cymri…
Gli sembrava di rivedere tutto, mentre raccontava. Il figlio, con l’asta della lancia a energia, aveva spinto bruscamente a lato una donna che altrimenti sarebbe stata calpestata dalla cavalcatura. Il marito della donna, improvvisamente invasato dallo yowaragh, l’aveva aggredito a mani nude ed era finito privo di sensi. La donna aveva cercato di soccorrerlo ed era stata uccisa… e tutti gli umani presenti sulla piazza in quel momento erano stati costretti ad assistere, secondo la legge aalaag, mentre l’uomo ancora privo di sensi era stato gettato sulle punte acuminate del triplice gancio sul muro di una costruzione all’angolo della piazza.
Shane era rimasto lì, per tutta la mezz’ora che l’uomo ci aveva messo a morire, s’era fermato a poca distanza dai due aalaag in sella alla cavalcatura. E aveva sentito mentre il più anziano dei due, che non poteva sospettare d’essere a portata d’orecchio d’uno dei rari umani che capivano veramente l’aalaag, rimproverava gentilmente il figlio per l’errore di giudizio che aveva commesso cercando di evitare che la donna venisse calpestata. Per questo erano stati costretti a uccidere non una, ma due bestie sane, e a intraprendere un rituale di giustizia che per quanto necessario aveva un effetto perturbatore sugli altri animali.
Al ricordo, Shane si sentì agghiacciare lo stomaco per l’orrore, rivisse l’appressarsi della sua follia. Raccontò che era andato al bar, aveva bevuto lo schifoso liquore di contrabbando che secondo il barista era acquavite, ed era stato aggredito da tre vagabondi e ne aveva uccisi o feriti gravemente due con il bastone prima che il terzo si desse alla fuga. Non aveva avuto intenzione di raccontare tutto, movimento per movimento; ma inspiegabilmente, quando ebbe incominciato, non riuscì a trattenersi. Raccontò che, quando aveva riattraversato la piazza ormai vuota, d’impulso aveva inciso il segno del pellegrino sotto il corpo sui ganci, prima di tornare all’aeroporto.
— Ti credo — disse Peter.
Shane non disse nulla. Stretti com’erano, sentiva il contatto della coscia morbida di Maria, premuta contro la sua; e anche il tepore di lei sembrava pervaderlo, e dissolvere il gelo che aveva dentro come se si fosse sperduto in una tormenta e adesso ritrovasse vita e calore grazie alla temperatura corporea di un altro essere umano.
Provava un improvviso, disperato desiderio per Maria come donna. Gli aalaag incoraggiavano gli animali a riprodursi, soprattutto quelli preziosi come gli speciali corrieri-traduttori di Lyt Ahn; ma quando si viveva di continuo sotto gli occhi degli alieni, come Shane e gli altri, sopravveniva la paranoia. Conoscevano tutti troppo bene gli innumerevoli modi che potevano portarli all’eliminazione per mano dei padroni; e quando avevano terminato i loro compiti, l’istinto suggeriva di separarsi, di rifugiarsi soli nei loro letti e chiudere le porte, per timore che lo stretto contatto con un altro potesse mettere in pericolo la loro sopravvivenza.
E comunque, Shane non voleva pensare a riprodursi. Voleva l’amore… almeno per un momento; e l’amore era l’unica cosa che i servitori umani ben pagati del Primo Capitano della Terra non potevano permettersi. All’improvviso, il tepore di Maria lo attraeva come un sogno di pace…
Si strappò ai suoi pensieri. Peter lo fissava incuriosito. Che cosa aveva detto? Che gli credeva?
— Chiedi a qualcuno di informarsi ad Aalborg per sapere come andarono le cose. Il segno che feci io forse c’è ancora, se gli aalaag non l’hanno cancellato.
— Non è necessario — disse Peter. — Il tuo racconto spiega come mai il segno si è diffuso nel mondo in quel modo. Ci voleva qualcuno che possa muoversi liberamente come te per fare in modo che venisse conosciuto dovunque come simbolo della resistenza. Ho sempre pensato che doveva esserci qualcuno, all’origine della leggenda.
Shane lasciò passare la prima parte del commento di Peter, senza rispondere. Ovviamente Peter non capiva ciò che Shane aveva imparato nei suoi viaggi… la rapidità con cui una diceria, una voce poteva spargersi in una popolazione assoggettata. Shane era stato presente all’origine delle voci a Parigi, che poi aveva sentito ripetere proprio lì a Milano meno di una settimana più tardi. E Peter sembrava convinto che fosse stato lui a continuare a diffondere il segno per il mondo: e forse era meglio non correggerlo.
— Ma credo che dovresti renderti conto di una cosa — disse Peter, appoggiandosi contro di lui per un secondo mentre Carlo affrontava una curva a tutta velocità. — È ora di fare qualcosa di più che accontentarti d’essere una leggenda, di creare un’organizzazione con finalità pratiche di resistenza contro gli alieni, per preparare il giorno in cui potremo sterminarli tutti o scacciarli dalla Terra.
Shane lo guardò di sottecchi. Era incredibile che quell’uomo potesse dire cose simili in tutta serietà. Ma naturalmente Peter non aveva visto da vicino la potenza degli aalaag come l’aveva vista lui. Era come se i topi avessero sognato di sterminare i leoni o di metterli in fuga. Stava per dirglielo, brutalmente, quando l’istinto di sopravvivenza gli suggerì di continuare ad essere prudente. Evitando una risposta diretta, cambiò argomento.
— È la seconda volta che hai parlato d’una leggenda — disse. — Quale?
— Non lo sai? — C’era una nota di trionfo nella voce di Peter, ma non diede spiegazioni.
— Dicono che tutti i segni sono tracciati da una stessa persona — disse Maria. Anche lei parlava inglese, adesso, con una vaga traccia di accento veneziano. — Da qualcuno che viene chiamato il Pellegrino, e che può andare e venire senza che gli aalaag riescano a impedirlo o a catturarlo.
— E tutti voi avete aiutato il Pellegrino, è così? — chiese Shane alzando la voce.
— Il fatto è — l’interruppe Peter, — che adesso il Pellegrino dev’essere associato a una organizzazione solida. Non lo pensi anche tu?
Shane si sentì riassalire dalla stanchezza che l’aveva preso nel momento in cui l’avevano sequestrato.
— Se riuscite a trovare il vostro Pellegrino, chiedetelo a lui — rispose. — Non sono io, e non ho opinioni in proposito.
Peter lo fissò per un momento.
— Che tu sia o no il Pellegrino non c’entra — disse. — L’importante è che puoi aiutarci e che noi abbiamo bisogno di te. Il mondo ha bisogno di te. Da quello che ci hai detto, è evidente che potresti essere prezioso già soltanto fungendo da collegamento tra i gruppi della resistenza.
Shane rise, tristemente.
— Neppure per sogno — disse.
— Non vuoi neppure pensarci — disse Peter. — Come mai sei tanto sicuro di non volerlo fare?
— Ho cercato di spiegarvelo dal momento in cui mi avete sequestrato — disse Shane. — E non vuoi ascoltare. Tu non conosci gli aalaag. Io sì. Siccome non li conosci, puoi illuderti che la vostra resistenza abbia qualche possibilità. Io so che non è cosi. Da millenni continuano a impadronirsi di mondi come questi e ad asservire le popolazioni indigene. Credevi che questo fosse il primo pianeta dove hanno provato il loro sistema? Non potete trovare un mezzo per attaccarli che loro non abbiano già visto e che non sappiano sventare. Ma anche se riusciste a trovare qualcosa di nuovo, non potreste vincere.
— Perché no? — chiese Peter, accostando la testa.
— Perché sono esattamente ciò che dicono di essere… conquistatori nati che non possono venir dominati o sconfitti. Non puoi torturare un aalaag e strappargli informazioni. Non puoi puntare un’arma contro uno di loro e costringerlo a indietreggiare o ad arrendersi. Tutto ciò che puoi fare è ucciderli… se hai fortuna. Ma hanno una tale potenza, una potenza militare talmente enorme, che funzionerebbe solo se li sterminaste tutti nello stesso momento. Se uno solo sfuggisse e fosse sull’avviso, avreste perso.