— Perché?
— Perché con un minimo di preavviso, chiunque di loro potrebbe rendersi invulnerabile e poi prendersi tutto il tempo necessario per spazzar via intere città e regioni della terra, una ad una, fino a quando gli altri umani rimasti consegnerebbero all’aalaag su un piatto d’argento voi e tutti quelli che hanno combattuto, pur di fare cessare lo sterminio.
— E a che servirebbe all’aalaag superstite — chiese Peter, — se fosse l’ultimo rimasto sulla Terra?
— Non crederai che tutti gli aalaag dell’universo siano qui, vero? — disse Shane. — La terra, con un unico aalaag rimasto vivo, rappresenterebbe soltanto un nuovo spazio vitale per la popolazione aalaag in soprannumero altrove. Entro un anno o anche meno avreste qui tanti aalaag quanti ce n’erano prima; e gli unici risultati sarebbero gli umani morti, le aree distrutte, e il fatto che allora gli aalaag creerebbero un sistema di controllo ancora più rigoroso per assicurarsi che non vi siano altre interruzioni in futuro.
Vi fu un silenzio. Carlo affrontò un’altra curva a tutta velocità e Shane vide sulla strada il cartello che annunciava che mancava appena un chilometro all’aeroporto. Il tepore del corpo di Maria lo pervadeva e sentiva l’odore aspro e pulito del sapone con il quale doveva essersi lavata i capelli quella mattina.
— Allora non alzerai un dito per aiutarci? — chiese Peter.
— No — disse Shane.
Carlo svoltò sulla rampa che immetteva sulla strada dell’aeroporto.
— Nessuno è disposto a far niente? — scattò all’improvviso Maria. — Nessuno? Nessuno?
Una gelida scossa elettrica squassò Shane. Era come se una spada l’avesse trapassato. Affondava fino alle radici dell’istinto, fino agli antichi riflessi sessuali e razziali da cui scaturiva lo yowaragh. Le parole non erano nulla, il grido era tutto.
Per un momento rimase in silenzio, stordito.
— Sta bene — disse. — Lasciate che ci pensi, allora.
Sentì la propria voce lontana, remota.
— Non concluderete mai nulla, così come avete agito finore — disse. — Sbagliate tutto perché non capite gli aalaag. Io li capisco. Forse potrei dirvi che cosa fare… ma dovreste lasciare che sia io a dirvelo, e non cercare semplicemente di frugarmi nella mente, altrimenti non funzionerà. Siete disposti ad accettare? Se no, è inutile.
— Sì! — disse Maria.
Un altro breve silenzio.
— D’accordo — disse Peter. Shane si voltò a guardarlo.
— Altrimenti sarà inutile.
— Siamo disposti a tutto, pur di colpire gli aalaag — disse Peter, e questa volta la risposta fu immediata.
— Bene — disse Shane, stancamente. — Dovrò pensarci, comunque. Come posso mettermi in contatto con voi?
— Potremo trovarti noi, se sapremo in che città andrai quando viaggerai — disse Peter. — Pubblicheremo un annuncio convenzionale sul giornale locale prima che tu arrivi…
— Non ho mai un preavviso così lungo — disse Shane. — Ma potrei entrare in un negozio nel centro di una città, appena arrivo, e comprare una veste da pellegrino, grigia come quella che porto adesso… e pagarla in monete aalaag d’oro e d’argento. Potrete chiedere ai negozianti di informarvi. E se la descrizione corrisponde, tenete d’occhio il quartier generale locale degli aalaag, e prelevatemi mentre entro o esco.
— D’accordo — disse Peter.
— Un’altra cosa — disse Shane. Erano quasi arrivati all’aerostazione. Guardò Peter negli occhi. — Ho visto gli aalaag interrogare gli umani e so quello che dico. Se sospetteranno di me, mi interrogheranno. Se mi interrogheranno, scopriranno tutto quello che so. Dovete rendervene conto. Se tutti gli altri sistemi non servono, hanno droghe che ti inducono a parlare e a parlare fino alla morte. Non amano servirsene perché nel frattempo non sono efficienti: sono costretti ad ascoltare ore di chiacchiere prive di senso prima di ottenere le risposte che vogliono. Ma quando è necessario le usano. Capite? Se interrogano qualcuno, quello gli dice tutto. Non io soltanto… chiunque. È una delle cose di cui dovrete tener conto.
— D’accordo — disse Peter.
— Il che significa che, per quanto mi riguarda, non voglio che nessuno sappia della mia esistenza, a parte quelli che lo sanno già.
Fissò Peter negli occhi, lanciò un’occhiata significativa a Carlo e tornò a guardare Peter.
— E quelli che non dovranno più avere a che fare con me in futuro, ammesso che decida di avere qualcosa a che fare con voi, devono credere che adesso scenderò da questa macchina e che nessuno di voi mi rivedrà più.
— Capisco — disse Peter. Annuì. — Non preoccuparti.
Shane rise seccamente.
— Io mi preoccupo sempre — disse. — Sarei un pazzo se non lo facessi. Sono preoccupato per me stesso, in questo momento. Dovrei andare da uno psichiatra già solo perché ho accettato di pensare alle vostre richieste.
Il tassì si fermò accanto al lungo marciapiedi di cemento davanti all’aerostazione. Peter, che era dalla parte del marciapiedi, apri la portiera e scese per lasciar smontare Shane. Shane fece per seguirlo, esitò e per un istante si voltò verso Maria.
— Ci penserò — disse. — Farò tutto ciò che posso, meglio che posso.
Nella penombra del tassì, il viso di Maria era indecifrabile. Gli tese la mano. Shane la prese, la strinse per un secondo. Lei aveva le dita gelide com’era stata l’aria di Milano, quella mattina.
— Ci penserò — ripeté Shane, le strinse di nuovo la mano e scese. Sul marciapiedi si fermò per un secondo di fronte a Peter.
— Se non avrete mie notizie entro sei mesi, dimenticatemi — disse.
Peter socchiuse le labbra. Sembrò sul punto di dire qualcosa, poi richiuse la bocca.
Annuì.
Shane gli voltò le spalle ed entrò in fretta nell’aerostazione. Subito oltre la porta vide un poliziotto aeroportuale e si avvicinò; estrasse la Chiave dalla borsa e la mostrò nel palmo della mano.
— Questa è la Chiave di Lyt Ahn, Primo Capitano della Terra — disse frettolosamente in italiano. — Io sono uno dei suoi corrieri speciali, e ho bisogno d’un mezzo di trasporto per raggiungere la sezione riservata ai Padroni. Subito. Subito! È un’emergenza. Ma senza attirare l’attenzione.
L’agente scattò, si sganciò il telefono dalla cintura e cominciò a parlare. In meno di trenta secondi, un’auto elettrica arrivò tra la folla, planando sul cuscino d’aria. Shane saltò a bordo dietro l’autista e consultò l’orologio.
— Agli hangar degli aerei militari piccoli — disse. Esitò, poi decise: — Innesti la sirena.
L’autista innestò la sirena, la folla si aprì mentre girava l’auto e avanzava. Scivolarono sul pavimento lucido, uscirono da un passaggio per veicoli accanto all’ingresso della pista.
L’auto si sollevò più in alto sul cuscino d’aria e procedette più veloce. Fiancheggiarono due lati dell’aeroporto e si avvicinarono agli hangar argentei ben sorvegliati dove stavano i mezzi militari atmosferici degli aalaag. Rallentarono al cancello del recinto. Shane mostrò la chiave e spiegò la ragione della sua presenza alla Guardia Speciale umana in servizio.
— Siamo stati avvertiti del suo arrivo — disse la guardia. — Hangar Tre. L’aereo corriere è pilotato dal Padrone Enech Ajin, del trentacinquesimo rango.
Shane annuì e l’autista dell’auto elettrica, che aveva sentito, ripartì senza bisogno d’altri ordini.